A lato. "Impressioni", penna ed acquerello (2021) di Anna Fiore.
Ha scritto Umberto Galimberti in “La filosofia? Uno stile di vita”,
pubblicato sul settimanale “D” del quotidiano “la Repubblica” del 6 di ottobre
dell’anno 2012:
Chi ha la mente aperta sa trovare soluzioni in modo più agile e veloce.
Ma il mercato del lavoro non lo sa. La filosofia, (…), è "uno stile di
vita", che caratterizza persone che non si accontentano dell'esistente,
dell'ovvio, del senso comune, che cercano risposte a domande che molti neppure
si pongono, che sono affascinate più dalle idee che dalle cose, ma che
purtroppo oggi, a differenza di quanto accadeva trent'anni fa, non garantisce
più un'occupazione in linea con gli studi effettuati. Questo non vale solo per
la filosofia, ma in generale per gli studi umanistici, psicologici,
sociologici, pedagogici, volti alla formazione delle persone, che oggi non
sembra un tema che riscuota un particolare interesse in un mondo, come quello
attuale, che visualizza gli individui solo dal punto di vista del profitto che
possono rendere nell'immediato. (…). La frequentazione delle idee, infatti, se
è uno "stile di vita" o addirittura un'esigenza incondizionata o una
passione irrinunciabile, non per questo garantisce un'occupazione. E allora con
la testa formata da quegli studi, bisogna gettarsi in tutti i campi, anche
quelli che sembrano più distanti dalla propria formazione, e scrivere nel
curriculum che, nonostante la laurea in filosofia o in discipline affini che il
mercato del lavoro non prende in gran considerazione, proprio grazie a quegli
studi si ha una testa in grado di visualizzare i problemi e di trovare
soluzioni in modo più agile e veloce di chi quegli studi non ha frequentato. È
una piccola chance in una stagione, la nostra, che ai giovani non prospetta
alcun futuro, perché trascura la forza ideativa e quindi innovativa che è
massima dai 15 ai 30 anni, ma su cui non si fa alcun investimento, perché il tempo
di rendimento e di profitto di questa forza ideativa e innovativa è troppo
lungo rispetto al tempo breve che vuole il profitto dall'oggi al domani. E
così, ragionando sull'immediato presente, non solo si emargina un'intera
generazione di giovani, ma si prepara l'inevitabile decadenza dell'intera
società di domani. Cosa che non importa granché ai vecchi che nella nostra
società ancora detengono occupazione e potere, perché il domani in fondo non li
riguarda. Questo disinteresse è la peggior cosa che possa capitare a una
società, peggiore persino della crisi economica che stiamo attraversando, e da
cui difficilmente potremo uscire, dopo aver negato l'avvenire a un'intera
generazione di giovani, che abbiamo illuso assecondando le loro scelte e poi
deluso dopo il loro impegno e le loro speranze. Di seguito, “Le emozioni off-line. Intervista a Umberto
Galimberti” di Vincenzo Fiore, letto - su cortese segnalazione dell’amica
Agnese A. – sul sito www.corriereirpinia.it del 19 di ottobre 2021: (…). Professore
nel suo nuovo libro (“Il libro delle emozioni”, Feltrinelli editrice n.d.r.) scrive
che i nativi digitali non si rendono conto che la rete non è un mezzo a loro
disposizione, ma è un mondo in cui sono immersi. Un mondo che intercetta e
plasma il loro modo di pensare e sentire. «Sì, se pensa al fatto che né io né lei siamo liberi
di non avere un telefonino o un computer. Questo significa che la tecnica è già
esondata dal suo campo ed è diventata società. I ragazzi immersi in questo
mondo hanno una modificazione del loro pensiero, così come l’informatica è
strutturata a lavorare in codice binario, loro si stanno adeguando a rispondere
soltanto “sì” e “no”. Questo è un grande impoverimento del pensiero, poiché in
una società complessa come la nostra non si può pensare secondo schemi
semplicemente alternativi. Per quanto riguarda il modo di sentire,
l’informatica ci mette in comunicazione con il mondo, ma la nostra psiche non
oltrepassa il mondo-ambiente. In concreto, se muore un mio parente soffro
tantissimo, se muore un mio vicino vado a fare le condoglianze, se so che ogni
dieci secondi muore un bambino di fame in Africa, questa notizia resta soltanto
una statistica. Il nostro mondo interiore ha altre tempistiche rispetto alla
velocità dettata dalla rete, abbiamo perso l’attesa, il silenzio, la
possibilità di non rispondere immediatamente. Ciò ha anche delle conseguenze:
ovvero l’incapacità di gestire la distanza e i deliri di onnipotenza, che a
volte si traducono nel tentativo pericoloso di controllare i movimenti e le
frequentazioni di un’altra persona».
Nel suo testo si sofferma sulla
necessità di un’educazione emotiva in un’epoca di razionalità tecnica e fa il
punto sull’esibizionismo emotivo. Molti ragazzi infatti sui social si sforzano
di apparire felici a ogni costo, condividono contenuti molto simili fra loro,
con le stesse canzoni, con le stesse didascalie, provando così a costruire
un’approvazione della propria personalità inseguendo o facendosi inseguire più
o meno consapevolmente da trend e algoritmi. Diventeremo tutti vittime di un
like? «Sì, perché
ormai l’identità non è più il reperimento di ciò che
propriamente siamo, non ci si conosce e questa identità viene costruita in
base alla quantità di follower. L’apparire ha un primato rispetto all’essere.
Per quanto riguarda la modificazione emotiva, noi nasciamo con delle pulsioni e
chi non impara a gestirle diventa un bullo. La scuola dovrebbe lavorare il
doppio con questi ragazzi anziché procedere con sospensioni, per farli passare
al livello emotivo e conquistare una risonanza emotiva dei propri
comportamenti. Kant diceva che bene e male si possono anche non definire,
perché ciascuno li sente naturalmente da sé. Oggi non è più vero, i ragazzi non
capiscono la differenza fra insultare un professore o prenderlo a calci,
corteggiare una ragazza o stuprarla e non sto esagerando. Se leggiamo le
risposte di alcuni ragazzi accusati di stupro, ai giudici rispondono sminuendo
l’atto. Non c’è risonanza emotiva dei propri comportamenti e questo è
pericoloso».
Senza giri di parole, lei
sostiene che la scuola oggi è impreparata a educare e gestire determinati
fenomeni. Però nello stesso tempo lei individua un possibile antidoto nella
letteratura… «Dalle
emozioni bisognerebbe passare ai sentimenti. Dimentichiamo che i sentimenti non
sono una dote naturale, ma culturale. Già le tribù primitive attraverso miti e
racconti tentavano di spiegare il proprio sentire interiore, poi la mitologia
greca ha dato una rappresentazione delle emozioni e dei sentimenti umani: Zeus
era il potere, Atena l’intelligenza e così via. Oggi abbiamo la letteratura che
ci insegna cos’è il dolore, l’amore, l’angoscia, queste cose vanno apprese e
apprenderle significa codificare le proprie emozioni e i propri sentimenti. La
conoscenza ci fornisce gli strumenti per capire ed eventualmente uscire da una
situazione di tristezza, di dolore. Aveva ragione Eschilo quando diceva che il
dolore è un errore della mente. Se la tua testa è vuota, il tuo dolore è
devastante, se hai uno schema di interpretazione, lo attutisci».
Un giovane neolaureato che voglia insegnare
si ritrova catapultato in un meccanismo di concorsi rimandati, graduatorie che
premiano l’anzianità e la necessità di accumulazione di titoli e di
certificazioni talvolta inutili. La precarietà è quasi un destino già scritto.
Sarà anche per questo che la scuola non funziona? «La scuola non funziona per due ragioni. La prima
oggettiva è quella che se io ho una classe di trenta persone non posso seguire
l’educazione di tutti e trenta. Se sono bravo, al massimo, riesco a dare
un’istruzione, ma non è sufficiente. In questo modo non riesco a cogliere le diverse
intelligenze di tutti, la scuola invece tende a privilegiare soltanto
l’intelligenza logico-matematica. La seconda è soggettiva: i professori
dovrebbero essere sottoposti a un test di personalità per stabilire se hanno
empatia, se sono adatti a capire i ragazzi che hanno di fronte. Il docente
dovrebbe essere empatico, carismatico, il docente deve essere un trascinatore.
Platone diceva che la mente non si apre se prima non si apre il cuore. Quanti
docenti oggi in cattedra non sono capaci di aprire il cuore? Io ho paura dei
docenti che pur demotivando continuano a restare in cattedra e intanto magari
non c’è spazio per qualche giovane».
A proposito di scuola, il Ministro Bianchi
ha parlato della possibilità dell’introduzione della filosofia anche negli
istituti tecnici. Cosa pensa di questa proposta? «È assolutamente necessario perché la filosofia non è
un sapere, il sapere è della scienza, la filosofia è un atteggiamento e
consiste nella capacità di mettere in discussione le proprie idee nel dialogo
con l’altro, come ci insegna Socrate. Solo con tale atteggiamento si evitano il
dogmatismo e l’intolleranza».
(…).
"Se vuoi avere la libertà devi farti servo della filosofia".(Lucio Anneo Seneca). "Quale è il tuo scopo nella filosofia? Mostrare alla mosca la via d'uscita dalla sua trappola". (Ludwig Wittgenstein). "Imparare non è sapere. Ci sono gli eruditi e i sapienti. È la memoria a fare i primi, ma è la filosofia che fa i secondi".(Alexandre Dumas Padre). "La meraviglia è un sentimento assolutamente tipico del filosofo. La filosofia non ha altra origine che questa".(Socrate). "Tu presti fede a quel che senti dire. Ma dovresti credere a quanto non viene detto:il silenzio dell'uomo si accosta alla verità più della sua parola".(Khalil Gibran). "I due mali contro cui la ragione filosofica ha sempre combattuto - e deve combattere ora più che mai - sono da un lato il non credere a nulla e dall'altro la fede cieca".(Norberto Bobbio). "La filosofia è l'equilibrio tra scienza e religiosità, l'unica chiave per iniziare a concepire il senso della vita".(Samuele Di Banella). Grazie per questo post che considero particolarmente coinvolgente, ma, sicuramente, anche altrettanto interessante, illuminante e attuale. Buona continuazione.
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