Una “memoriadeigiornipassati”
affidata alla scrittura unica, straordinaria, erudita dell’indimenticato Franco
Cordero – “Il berlusconismo visto dalla
luna” - pubblicata sul quotidiano “la Repubblica” del 3 di settembre dell’anno
2015, nella quale, tra i tanti fatti e misfatti, figuranti e prestidigitatori che
la politica del bel paese ci ha maldestramente donato, spunta quel tale venuto
da Rignano sull’Arno. Come siam visti dalla Luna? Un pezzo – non rimosso ancora
- della “storiaccia” del bel paese: “GAFFE”, vocabolo nautico, è l’asta munita
d’un ferro a uncino per l’accosto; nonché l’atto inopportuno; e Matteo Renzi, è
gaffeur nei due sensi. Tale l’abbiamo visto in varie occasioni, da quando
saltava sul palco allontanando un dolente predecessore; «togliti, mi metto io».
Nel Nazareno, santuario Pd (febbraio2014), dichiara «piena sintonia» con Silvio
Berlusconi. Così prende le parti d’un avventuriero la cui stella vola bassa
(cortigiani di lungo corso cambiano cautamente divisa): stupore in platea; ma
che la peripezia del sindaco fiorentino non finisca qui, è segno d’uno stato
morboso nell’organismo politico. Il Colle soffiava lo sciagurato vento delle
“larghe intese”. Dalla fine secolo oligarchi della pseudosinistra baciavano la
pantofola berlusconiana, dando a intendere che fosse Realpolitik. Era egemone,
pifferaio ricco da scoppiare, e lo rimane quando va al governo il
centrosinistra: ex comunisti garantiscono intangibili i fondamenti del
conflitto d’interesse; manovre camerali lo riqualificano aprendogli la via
d’una doppia rivincita. Fosse meno malaccorto, con rudimenti d’ ars gubernardi,
in mano sua saremmo una monarchia caraibica. Siamo quasi salvi perché gli mancano
le abilità dei maiali nell’Animal Farm. Qui filtra il significato etimologico
del bisillabo “gaffe”, l’uncino. L’ingordo rampante s’è impadronito del Pd: era
la prima mossa e non basta; cercando sostegni meno malsicuri (mancava poco che
un redivivo strappasse il premio a Montecitorio), s’è visto erede naturale
dell’ormai ottuagenario; e agisce quale futuro autocrate d’un partito
“nazionale” (l’aggettivo figurava nelle sigle fascista e nazista). La
scandalosa «piena sintonia» era gesto rassicurante verso i “moderati”: «non
vengo da sinistra»; e che l’idea abbia radici profonde, lo dicono Rimini e
Pesaro. Comunione e Liberazione non regala favori. Erano applausi sviscerati.
Re Lanterna ha un Delfino. Esistono gaffe perdonabili, anche se gravi ad
litteram, quando l’atto o l’emissione verbale siano accidenti del
comportamento. Non pare il nostro caso. Nel predetto meeting (26 agosto) lo
strenuo parlatore condanna vent’anni della storia d’Italia, presupponendo che
Berlusco Magnus fosse uno statista con le carte in regola, e chi lo nega
disseminasse peste giacobina. Forse viveva sulla luna ignorando conflitto
d’interessi, illegalismo sfrenato, abuso dello strumento legislativo: quindi
non sa come l’Olonese abbia dissestato la macchina
penale instaurando aree d’impunità; con che toupet tentasse tre volte
d’arrogarsi l’immunità mediante leggi invalide; e quanto una devastante
criminofilia incidesse nelle sventure economiche d’Italia. L’aveva portata a
due dita dalla bancarotta. O sa l’accaduto e lo ritiene fisiologico, quasi
fosse prassi politica svenare un Paese istupidendolo: l’inquinamento sapeva
d’epidemia cinquecentesca (morbo gallico o ispanico); se è così, l’indifferenza
indica vuoto morale. L’ascesa berlusconiana è malaffare: corrompe, falsifica,
plagia, froda; l’impunità della quale gode, fa scuola; ancora qualche anno e lo
scenario sarebbe molto triste. Matteo Renzi non ha gli spiriti animali del
caimano, né issa bandiera nera, ma la successione a Re Lanterna presuppone
delle affinità. Una è l’impulso a esibirsi. Stavolta svelava un disegno:
battere cento teatri con musiche, film, scene dal vivo, raccontando mirabilia
governativi; e sarebbe visione allucinatoria mussoliniana; l’animavano divise,
sfilate, armi finte, parole ipnotiche (una molto spesa era “impero”).
L’inconveniente delle fantasmagorie è che non resistano al vaglio empirico. Ad
esempio, nessuno può abolire l’imposta sulla casa dall’anno 2016, lasciando
intatti i quadri della spesa e l’enorme debito pubblico, quando la crescita
resta un desiderio. Il ministro competente, sgomento, domanda sotto voce dove
scovare i soldi. Lo scilinguato Delfino non se ne preoccupa. Nel gesto
autocratico supera l’ancora quasi regnante (non s’illuda d’una devoluzione
spontanea). Davanti ai ministri sta in posa napoleonica. Tra le dicerie fornite
dal meeting adriatico eccone una: li convoca in colloqui a due voci; ognuno
dica in qual modo magnificare l’opera governativa nelle predette messinscene.
Quintino Sella e Giolitti inorridirebbero. Non è più tempo d’en plein alle
urne. Sette Regioni davano MR declinante. Grazie all’Italicum, monumento
d’insigne furberia, può darsi che per il rotto della cuffia esca autocrate d’un
“partito nazionale”, disponendo dei numeri nella monocamera: avrebbe vinto la
componente berlusconoide d’un elettorato ibrido; non è apporto gratuito né
duraturo. Corrono dei patti. I partner esigono quel che garantiva il
predecessore ossia affari facili e rendite comode, quindi privilegi, linea
criminofila (la chiamano garantismo), norme malleabili, condoni; e risorsa sine
qua non, la prescrizione qual è assurdamente congegnata, che inghiotta uno o
due processi su tre. La calcolava sulla misura delle sue pendenze penali.
Confessando «piena sintonia», li rassicura, ma la politica morbida ha dei costi.
Il patto elettorale include un volatile dal nome melodioso, “vampiro”:
corruzione, evasione fiscale, economia criminale sommersa dissanguano lo
sventurato Paese, divorandogli il futuro; tengono banchetto i parassiti e non
se ne esce perché la crisi economica innesca circoli perversi (causando declino
intellettuale e atonia morale, esaspera l’impoverimento). Rivediamo l’Italia
descritta da Leopardi, parolaia, bigotta, sguaiata, inerte. Sa d’imbonimento
che l’impresario le mandi una compagnia ministeriale in cento teatri con musica
e recite.
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