Tratto da “Il
guru delle poltrone che dà del tu a Draghi e non fa mai comizi” di Pino
Corrias, pubblicato su “il Fatto Quotidiano” del 2 di ottobre 2021: (…). Giorgetti
saltò fuori direttamente dal fumo del sigaro di Bossi una trentina d’anni fa,
quando l’altro celebre fondatore della Lega, l’architetto Leoni si aggiustò il
papillon e disse al capo: “C’è questo ragazzone di Varese che sa di numeri e di
economia. È sveglio. È persino laureato alla Bocconi”. E il Bossi di allora,
che all’università di Medicina di Pavia ci andava per finta (“studio il cuore
alle alte temperature, diventerò un elettro-dottore” diceva alla prima moglie
che poverina gli credeva) rimase impressionato. Accese il sigaro, sbuffò in
meditazione, disse: “Candidiamolo”. E così fu. Era l'anno 1996. Le acque del
lago di Varese erano già avvelenate dagli scarichi delle fabbriche
metallurgiche e dai cessi degli alacri abitanti che si erano dimenticati di
costruire le fogne, e Giorgio Bocca aveva scritto da gran tempo quel
formidabile inizio del suo reportage che diceva: “Mentre Piacenza galleggia
nella nebbia, Varese si specchia nella sua merda”. Quell’acqua violentata
lambisce i natali di Giorgetti Giancarlo, sponde di Cazzago Brabbia, anno 1966,
paesello di 800 anime, babbo pescatore, madre operaia tessile, educazione
cattolica che è diventata carattere, visto che una volta l’anno il pio
Giancarlo, il “pretino” (ancora Bossi dixit) sale a piedi sul Sacro Monte di
Maria, lungo le 14 cappelle devozionali, sempre recitando il rosario che mai si
sognerebbe di esibire in pubblico È di indole mansueta. Riflessivo. Siccome da
sbarbato faceva il portiere – quello che sta da solo tra i pali, para quando
può e quando incassa il gol abbassa la testa e resta muto – nella Lega, ha
fatto grosso modo lo stesso. Almeno fino a un certo giorno che era più o meno
l’altro ieri, quando è andato fino al centrocampo a dire basta così al “Salvini
che fa il Salvini”. La Lega sta con Draghi e non con Orbán. Sta con Washington
e non con Putin. Non candida dei cartonati a Milano e Roma per perdere la
faccia e forse la poltrona. La Lega non citofona. Non si ubriaca al Papeete.
Non frequenta l’Hotel Metropol di Mosca, dove servono aperitivi &
microfoni. Non difende quel filiforme della storia patria, il Durigon di
Latina, che cancella l’omaggio a Falcone e Borsellino per inchinarsi a un certo
Mussolini minore. Non manda tutti giorni alla malora i migranti e meno che mai
distribuisce i bacioni, che sono stati l’alfa e l’omega della Bestia, finita
bestialmente. La Lega, versione Giorgetti, sta al governo, possibilmente in
cravatta, a coltivare i fiori e le spine del potere. Per una decina di anni la
sua vanga è stata la presidenza della Commissione Bilancio della Camera, anni
2001-2006 e poi 2008-2013, dove ha coltivato relazioni grazie al suo mentore,
nonché cugino di lago, il ricco, ricchissimo, Massimo Ponzellini, che amava
guidare le aziende di Stato e le sue 6 Ferrari, prima correndo dietro a Prodi,
poi Berlusconi, poi Bossi, lungo le paraboliche della coerenza. Al quale
agevolò molte nomine, compresa quella di presidente della Banca popolare di
Milano, anno 2009, da cui uscì in manette, tre anni dopo, ma senza
stropicciarsi troppo il gessato, visto che la condanna per corruzione aveva la
prescrizione incorporata e Giorgio Napolitano, dal Quirinale, l’aveva appena
battezzato Cavaliere del lavoro. Specializzato in nomine, Giorgetti partecipa
alle spartizioni dei colossi come Eni, Enel, Finmeccanica, oggi Leonardo. È lui
che tratta per i vertici di A2A, Expo, Malpensa, Fiera di Milano, seduto sempre
ai tavoli che a occhio nudo non si vedono, accanto a Gianni Letta, Luigi
Bisignani, Denis Verdini, la crema, e naturalmente a Giulio Tremonti, durante i
mitici tempi delle cartolarizzazioni, quando faceva ancora coppia con Marco
Milanese. Berlusconi si fida di lui. Quando c’è da tagliare la torta, parlano
la stessa lingua, per questo aveva il posto fisso, accanto a Bossi, alle cene
del lunedì di Arcore. E aveva il posto fisso anche quando si trattava di varare
le manovre economiche dei suoi governi, compresa l’ultima, anno 2011, l’Italia
a un passo dalla bancarotta che costrinse Berlusconi alle dimissioni, inseguito
dai suoi elettori e dal fantasma di Ruby Rubacuori. Ai tempi di Bancopoli, sta
con Antonio Fazio, il governatore della Banca d’Italia che faceva l’elemosina
ai mendicanti e anche a quel Gianpiero Fiorani, leggendario ragioniere di Lodi,
che provò a scalare Antonveneta e che un giorno del 2006 lasciò alla segreteria
di Giorgetti un biglietto di ringraziamento in cima a un pacco di banconote:
100 mila euro prontamente restituite (ma non denunciate). Laconico com’è, non
usa né Facebook, né Twitter. Non fa comizi. “Ho tre amici in tutto e nessuno
nella politica”. Tifa Southampton, in subordine Juve. Parla talmente riservato
che un giorno Bossi gli ha chiesto: “Ma sei massone?” E lui ridendo: “Magari!”.
Che è il suo modo di dire e non dire. Come piace ai leghè, gli uomini di lago
che “sono il mio dna”. Al punto che nel lago ci fa il bagno, nonostante i
divieti. A breve volerà in America, dove incontrerà gli uomini
dell’amministrazione Biden. Visiterà Washington. E magari anche le acque del
fiume Potomac che scorre accanto alla Casa Bianca e qualche volta sfocia a
Palazzo Chigi.
Nessun commento:
Posta un commento