Ancora su Pinocchio e sul fascino che ha esercitato
e che continua ad esercitare. Non si vuole contrapporre al Pinocchio dello
scrittore Fabio Stassi (riportato nel post del 14 di ottobre) il Pinocchio
dell’antropologo Marino Niola – “Pinocchio
facci crescere” – pubblicato sul quotidiano “la Repubblica” del 7 di luglio
2021. Poiché, nonostante tutto, Pinocchio ha aiutato a “crescere” tutti quei
giovani e giovanissimi che abbiano avuto la fortuna di avvicinarlo e di
conoscerlo. Sono convinto, e lo ribadisco, che non ci possa essere una
contrapposizione tra la “lettura” di Pinocchio fatta dallo scrittore e la
lettura del Pinocchio fatta dall’antropologo. Pinocchio è per tutti, Pinocchio
è di tutti. E tale lo sarà sino a quando i sogni riempiranno le menti ed i
cuori dei giovani e dei giovanissimi. Ha scritto Marino Niola: Ha
centoquarant'anni ma sembra scritto ieri e ci aiuta a capire l’oggi. La storia
del burattino più famoso del mondo, inventata da Carlo Collodi nel 1881, è
diventata subito un bestseller e non ha mai smesso di esserlo. Compatibile con
tutte le culture, al punto da essere stata pubblicata in 240 lingue. È,
infatti, il libro più tradotto di sempre dopo la Bibbia e il Corano. E si
contende con Cenerentola e la Sirenetta il primo posto nella hit parade delle
fiabe. Anche se Pinocchio non è semplicemente un racconto per bambini, ma parla
anche agli adulti. Di fanciullesco il figlio di Geppetto ha lo sguardo sul
mondo, che mette a disposizione del lettore, un modo di affacciarsi alla vita
sorgivo e al tempo stesso profondo, umanissimo e mai ingenuo. In questo senso
aveva ragione Benedetto Croce a dire che il legno in cui è intagliato Pinocchio
si chiama umanità. E sono proprio i segni e le venature di questo legno, che
non tutti conoscono ma tutti riconoscono, a fare di Pinocchio un’icona
universale. Forse nessuno lo ha capito quanto Carmelo Bene, il Maestro del
non-io, che si “impinocchiava” segnandosi sul volto quelle venature e quei
nodi. Trasformandoli in stralunate incarnazioni dei grandi nodi dell’essere.Il
fatto è che Pinocchio ha in sé la potenza del mito, il che lo proietta al di là
delle lingue e dei canoni estetici. Il suo corpo metamorfico e il suo naso
rivelatore, sincero a sua insaputa, esprimono qualcosa di etologicamente umano,
perché scritto sul soma. Mai affidato ai lambiccati incunaboli
dell’interiorità. Ecco perché, come dicevano Giorgio Manganelli e Paolo Fabbri,
non è possibile spiegare il successo del racconto collodiano solo con ragioni
storiche, sociali, di mercato, come per molti grandi boom editoriali. Perché
nel caso del nasuto, entra in gioco la misteriosa inattualità del mito e del
rituale, che lo fanno essere di casa in tutte le epoche e in tutti i paesi.
Passando indenne attraverso traduzioni e riduzioni, tradimenti e adattamenti.Le
avventure del burattino, di fatto sono altrettante sequenze di un rito
iniziatico, articolato in una serie di tappe che sono altrettanti colpi di
sonda sulla genesi dell’umano. L’intaglio primordiale che lo fa venire al
mondo. L’incontro-scontro con il grillo parlante. I raggiri del gatto e della
volpe. Il duplice viaggio nel paese dei balocchi e in quello delle api
industriose.La metamorfosi in somaro che richiama
l’asino d’oro di Apuleio. L’esperienza nel ventre del pesce-cane che evoca
l’episodio biblico di Giona nella pancia della balena e la Storia vera di
Luciano di Samosata. La presenza costante della fatina iniziatrice. E infine
l’umanizzazione del pezzo di legno, con l’ingresso nel mondo adulto. Che di
fatto adultera il burattino. Spegnendo per sempre il lampo di quegli occhi
indagatori e quelle domande senza veli, che in realtà fanno di ogni bambino un
pinocchio in bilico tra l’illusione e la realtà.Proprio perché nel percorso
iniziatico tutto è simbolo, le avventure e disavventure di Pinocchio si possono
leggere alla luce del nostro presente, per rifletterci nelle mosse e
contromosse della birba. Nei suoi smarrimenti e ravvedimenti, nelle sue fughe e
nei suoi ritorni, nella sua fame di vita e nella sua riluttanza ad uscire dalla
sua bolla ludica, nelle sue paure e nelle sue spavalderie. E in effetti la
pandemia ci ha gettato come naufraghi in un mondo oscuro come un ventre di
balena e che di quello precedente rappresenta la versione deformata.In
fondo proprio come Pinocchio dobbiamo imparare a stare al mondo. Siamo in piena
emergenza iniziatica. Sottoposti a mille prove. Lusingati dal gatto e dalla
volpe, che dopo averci illuso con il miraggio della crescita infinita e del
guadagno facile, ora girano come avvoltoi facendoci immaginare il recovery fund
come il campo dei miracoli, dove gli zecchini crescono sugli alberi. Spaventati
dalla malattia e al tempo stesso dalla medicina che la cura. In questo senso la
nostra titubanza con il vaccino anti covid-19 somiglia al tiramolla di
Pinocchio con la fata che vuole fargli prendere la pillola. Ma le similitudini
con l’oggi non finiscono qui. L’attualità stringente di Pinocchio balza in
primo piano nella frase di Geppetto, che nel ventre del grande pesce ha voluto
leggere tutti i libri per vedere se è vero che c’è differenza tra quelli che
sanno e quelli che non sanno, cioè gli ignoranti. Il che in un paese dove a
sapere sono in pochi e a parlare in molti, dove spesso fra asini e dottori non
si fa più differenza, indica un nervo particolarmente scoperto.Come
dire che le iniziazioni non finiscono mai e servono a crescere, per i figli
burattini come per i loro padri.Morale della favola. Pinocchio è lo specchio
fedele e implacabile dei nostri attuali dilemmi. Diventare uomini dopo la prova
cui siamo sottoposti, facendo uno sforzo per comprendere dove va il mondo,
interpretare con saggezza il cambiamento. Come fanno quelli che riscoprono
luoghi e tempi a misura d’uomo, si rimettono a studiare, immaginano una virata
ecologica e se ne assumono la responsabilità, inventano cose nuove. Sapendo che
non arriverà nessuna fatina con la bacchetta magica e che non esiste il paese
dei balocchi dove, parola di Lucignolo, ti danno soldi da spendere come ti
pare.L’alternativa è restare burattini, fantocci che non crescono mai, per
dirla con la fata turchina. E continuare a mentire a sé stessi e agli altri.
Così a crescere sarà solo il nostro naso. Mentre diventeremo sempre più ciuchi.
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