Mi è pervenuto, dalla carissima amica Agnese A., il testo di Marco Aime – antropologo e scrittore – ritrovato su di una pagina di “facebook.com”: Dicono: difendiamo i valori dell’Europa e tutti ad applaudire. Ma quali? Silenzio. Questo appello generico mette in evidenza nient’altro che un mai sopito eurocentrismo, un malcelato senso di superiorità spesso sbandierato, senza dubbio alcuno, da quei giornalisti televisivi glamour, che iniziano un articolo, dicendoci che mentre accompagnavano il cane a Central Park… Sacrosanto difendere dei valori, ma prima di scendere in piazza, decidiamo per quali di essi vale la pena per lottare e per quali, forse, dovremmo addirittura chiedere scusa. «Non è stato l’Occidente a essere colpito dal Mondo – ha scritto il grande storico inglese Arnold Toynbee - è il mondo che è stato colpito – e duramente colpito – dall’Occidente». La tratta degli schiavi fu condivisa da molti Paesi europei, così come il colonialismo e le violenze a esso connesse. Il razzismo istituzionalizzato e non fa anche parte della nostra storia, come i gulag sovietici, come il massacro di Srebreniça, il terrorismo basco, irlandese, italiano. In uno struggente passaggio de Gli aquiloni, Romain Gary scrive: «Si dice che la cosa più tremenda del nazismo sia il suo lato disumano. Sì. Ma ci si deve arrendere all’evidenza: questo lato disumano fa parte dell’umano. Fintantoché non si riconoscerà che la disumanità è cosa umana, si resterà in una pietosa bugia». Non solo il nazismo è stato disumano, è stato anche un valore espresso dall’Europa, come il fascismo. Che dire poi di un’Europa come quella attuale, che studia ed elabora sempre nuovi metodi per respingere persone che sfuggono a vite dolorose e spezzate, spesso anche a causa dello sfruttamento di imprese europee, dimenticandosi il valore della solidarietà umana? Questo sì un valore che si dovrebbe difendere. E che dire di un’Europa rimasta assolutamente indifferente di fronte al massacro di Gaza? La democrazia, certo, è un valore da difendere, ma attenzione, perché considerarlo solo ed esclusivamente una nostra creazione? Ne La democrazia degli altri il premio Nobel Amartya Sen ci spiega come presso altre culture, esistevano ed esistono forme di gestione, basate su principi diversi da quello elettivo, che possono però essere definite a tutti gli effetti “democratiche”, se non si riduce il concetto di democrazia alla semplice pratica del voto. Sen riporta esempi riguardanti l’India del III secolo a.C., sotto l’imperatore Ashoka, il Giappone del VII secolo e la Cina antica, dove la discussione pubblica era frequente e la partecipazione aperta a tutti i cittadini. La democrazia, secondo Sen, è innanzitutto discussione pubblica. In molti villaggi africani, le assemblee collettive vedono la partecipazione di tutti gli uomini e anche nelle situazioni più moderne, in cui le comunità si trovano a votare i loro rappresentanti in parlamento, spesso le decisioni vengono prese in modo collettivo, a dispetto della segretezza del voto, importata dal modello occidentale. «La storia del mondo va da Oriente a Occidente», ha scritto Hegel, «l'Europa è assolutamente la fine della storia del mondo, così come l'Asia ne è il principio». Ogni angolo di mondo, in realtà, ha espresso valori condivisibili da tutti e altri che trovano un senso solo nella dimensione culturale che li esprime. «Il nostro giocare in piccolo non serve al mondo» ha detto Nelson Mandela, uno che ha saputo superare i ristretti confini del nazionalismo, dell’etnicità, dell’identitarismo. Scendiamo in piazza per difendere i valori di un’umanità condivisa, anche dell’Europa, ma non solo dell’Europa.
"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi

"Il bruco" (2017). Nikon Coolpix P900. Foto macro. Stato larvale della falena diurna "Macroglossum stellatarum" volgarmente detta "sfinge colibrì".
sabato 15 marzo 2025
Lastoriasiamonoi. 42 Arnold Toynbee: «Non è stato l’Occidente a essere colpito dal Mondo è il mondo che è stato colpito – e duramente colpito – dall’Occidente».
Una cosa va detta: sul nome sono stati
onesti. Altro che difesa comune, cooperazione per la pace, solidarietà europea:
il coniglio estratto dal cilindro della sempre più spregiudicata presidente
della Commissione Ue si chiama ReArm Europe, muscolare e spaventosa
affermazione di intenti, che nel tradire lo spirito con cui nacque l’Europa
indica fin da subito il vicolo cieco in cui ci stanno cacciando. Trattasi di
una montagna di soldi, e di futuri debiti, affinché ogni Stato compri per sé
armi, armi e ancora armi; denari irreperibili per sanità, istruzione, ricerca,
riconversione industriale e abbattimento delle atroci disuguaglianze che stanno
sfaldando la radice sociale dell’Europa, nonché minando la sua tenuta
democratica. Pazienza dunque se parte delle risorse per missili e bombe saranno
sottratte proprio ai fondi di coesione pensati per rammendare squilibri e
disparità, e se per trasformarci in una improbabile potenza bellica sarà
concesso addirittura superare l’assurda gabbia del Patto di stabilità appena
varato e apparentemente inscalfibile. Abituiamoci pure alla neolingua
orwelliana che disegna come Safe, Security action for Europe, il piano di
debito per il riarmo che potrebbe invece distruggere lo spazio comune, mentre
l’Italia che in Costituzione ha scritto tra i principi fondamentali il ripudio
della guerra pianifica addirittura un nuovo arruolamento; “La pace è guerra, la
libertà è schiavitù, l’ignoranza è forza”, era lo slogan del ministero della
Verità nel romanzo 1984, e sembra oggi straordinariamente attuale. Tanto più
quando sono i generali stessi a spiegare, in coerenza col proprio mandato, che
in assenza di un coordinamento tra i 27 Paesi dell’Unione, senza visione e
chiarezza politica su piani di sviluppo, interoperabilità, utilizzi, linee
comuni e tutto quello che distingue una strategia da una reazione emotiva
spronata da interessi specifici, l’imponente mobilitazione economica per il
riarmo europeo servirà solo a fare ancora più ricca la lobby degli armamenti,
anche e soprattutto fuori dall’Europa. Servirà a ingrossare le dotazioni
nazionali, a creare domani nuovi problemi decisionali su comandi e chiarezza, e
non certo alla difesa e sicurezza comune invocate e utilizzate come scudo per
prendere decisioni scellerate. Ecco, allora, che la “piazza per l’Europa”
convocata per il prossimo sabato nel dirsi “pre-politica” si presta
consapevolmente a essere utilizzata proprio per validare quelle decisioni
scellerate, checché ne dica la strana ma non inedita combinazione tra
autoproclamato progressismo e salotti bene che la promuove. Perché, se davanti
alla brutalità fascistoide delle azioni statunitensi, il sussulto di europeismo
è non solo giusto ma doveroso, è ancora più doveroso un interrogativo su quale
sia l’Europa che siamo chiamati a difendere. Molte organizzazioni, a partire
dal Forum Disuguaglianze e Diversità, lo hanno chiarito con forza, aggiungendo
indicazioni nette da portare in piazza, ma anche all’Europarlamento, nel
dibattito pubblico e in quello politico, misurandosi anche sul tema della
necessaria difesa comune. È essenziale dire qual è l’aspirazione che deve
muovere il continente, e ancora più segnalare con chiarezza adamantina gli
errori di percorso di questa Commissione che appare sovente scandalosamente
inadeguata ai tempi: unità e solidarietà non possono infatti essere tributate a
questa leadership e, soprattutto, a questi provvedimenti, in contrasto netto
con le premesse e le promesse della fondazione stessa dell’Unione europea. Il
sussulto di speranza e orgoglio che spinge la piazza chiede cooperazione
internazionale e transizione climatica, diritto alla salute e una politica
migratoria sideralmente lontana dall’autolesionismo sadico della Fortezza
Europa: soltanto così la Ue può rimettere al centro la propria azione, non
certo con la follia del riarmo. (Tratto da “La nuova Europa orwelliana: più guerra e disuguaglianze” a firma “Sottosopra”
pubblicato su “il Fatto Quotidiano” di oggi, sabato 15 di marzo 2025).
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