"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi

"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi
"Il bruco" (2017). Nikon Coolpix P900. Foto macro. Stato larvale della falena diurna "Macroglossum stellatarum" volgarmente detta "sfinge colibrì".

sabato 23 ottobre 2021

Lamemoriadeigiornipassati. 18 «Provvedano le Parche, se hanno a cuore le sorti d’Italia».

Ha scritto oggi – sabato 23 di ottobre 2021 - Michele Serra in “Un vecchio incubo”, pubblicato sul quotidiano “la Repubblica”, dopo che il signore di Arcore, condannato in via definitiva per frode fiscale ai danni del popolo italiano, è stato acclamato quale candidato al Quirinale da quelli del cosiddetto centro-destra: Accecato dalla vanità, forse Berlusconi crede veramente di poter diventare presidente (dunque garante, padre, denominatore comune) di un paese che proprio lui, divisivo come nessun altro tranne Mussolini, spaccò in due metà inconciliabili, perché alla contrapposizione ideologica aggiunse una specie di frattura antropologica. Vivere come Berlusconi, essere Berlusconi per mezza Italia è stato un sogno, per l'altra mezza - alla quale appartengo - un autentico incubo. Tutto quello che ci ripugna, in termini di vita, gusti, ambizioni, estetica, etica, era da lui superbamente interpretato. I suoi giovani alleati, amici di Le Pen, di Orbán, di Vox, della peggiore destra europea, lo lusingano, lo fanno sentire un padre nobile, ma lo usano come una foglia di fico. Senza di lui, primo sdoganatore del neofascismo e inventore del populismo, Salvini e Meloni neppure esisterebbero. Ora cercano di usare, un po' per opportunismo un po' perché non hanno altri nomi da spendere, il Berlusconi "liberale" della sua estrema stagione politica, una specie di travestimento anagrafico (da vecchi, si sa, si diventa saggi) che non ha alcuna pezza d'appoggio nella storia del vecchio leader, che quando ebbe l'età per farlo fu anche più aggressivo, più disinvolto, più arrogante, più menefreghista, soprattutto infinitamente più ricco e potente di questi suoi figliastri avventurieri e improvvisatori: soprattutto il Salvini, perché Meloni, dalla sua, almeno ha un albero genealogico in proprio, che è il neofascismo. Noi, dalla sponda opposta, si parteggia per i Brunetta, Toti, Gelmini, Carfagna, che vedono il loro capo in ostaggio di una destra di guerra e di malora, e lo dicono. Ma il vecchio tramontato è sensibile alle claque, non ai buoni consigli. Bene, a causa di un popolo “immemore” potrà pure accadere che quel signore divenga il prossimo ospite del Quirinale, rimanendo comunque per la legge della Repubblica un pre-giudicato. E l’Europa? E il resto del mondo come giudicherà la pantomima italiana? Ha lasciato scritto l’indimenticato Franco Cordero in “Il crollo dei mercati e i canti di Nerone”, pubblicato sul quotidiano “la Repubblica” del 23 di settembre dell’anno 2011, scritto terribilmente profetico: (…). Era disceso dalle nuvole, soi-disant imprenditore geniale: qualunque cosa tocchi, diventa oro; e s’impegna al miracolo economico, firmando il contratto nel salotto televisivo; sono il suo forte le pantomime da fiera. Corre l’undicesimo anno dell’era berlusconiana, meno i due d’uno spettrale intervallo centrosinistro: le Camere gli ubbidivano (mai viste maggioranze simili); gli avversari stavano a testa china, cappello in mano. Ogni tanto brandiva l’arma plebiscitaria, sicuro d’avere due elettori su tre dalla sua. Il collasso sbalordisce e non incolpi stelle nefaste o prose nemiche. Se lo combina da solo, disincantando le platee: inetto, ciarlatano, abile solo nell’arricchirsi, enorme parassita, spende il tempo politico in frodi legislative intese all’impunità; le finanze vanno a picco e lui manda una lettera autografa alla Camera affinché vieti l´uso del materiale fonico sulle serate postribolari d´Arcore (bel delirio d´onnipotenza, in spregio alla procedura penale). Nella terribile crisi planetaria non muoveva dito, intento ai loschi affari suoi. Costituito in mora dall´Ue, giocava carte false. Almeno non strepitasse vantandosi salvatore del Paese contro toghe rosse e mercati, mentre indagini svelate dalla sua stampa aprono scenari dove figura molto male, sotto possibile ricatto da chi gli portava demoiselles a pagamento: nega d’essere parte lesa e racconta d’avere soccorso dei bisognosi (pratica una carità molto particolare, verso lenoni, traviate rampanti, malaffaristi), senza sospettare l’effetto ilare nel pubblico; è una campana sorda in materia autocritica. Varie voci lo qualificano falso testimone: stavolta non rischia condanne perché nemo tenetur turpitudinem suam detegere; ammettendo d’essere ricattabile patirebbe nell’onore (art. 384 c. p.), ammesso che quest’eterea entità gli prema; mille volte l’abbiamo visto insensibile alla vergogna, germe dell’etica. Ai bei tempi spacciava favole sguaiate trovando larga audience: adesso fredde occhiate misurano parole, smorfie, maschere, gesti; mala tempora, gli converrebbe stare quatto. (…). Lui non vuol andarsene, ovvio: le dimissioni ripugnano all’Ego tirannico; sarebbe catastrofe psichica nonché politica, irrimediabile, non essendo presumibile la seconda vita d’un perdente prossimo agli ottanta più che ai settanta; non parliamo delle ripercussioni nel fiabesco patrimonio; e i maledetti processi? S’era giocato tutto, quasi una roulette russa. Fallisce l’assurdo tentativo del decreto urgente che lo salvi dai dialoghi intercettati (14 settembre). Gli sgherri meno presentabili, senza futuro fuori del serraglio, chiedono decisioni estreme, sbarrano gli occhi, battono pugni sul tavolo, urlano ma è schiuma da poco. I cauti scoprono lembi d’anima finalmente moderata, nella logica del salvare il salvabile. Ormai basta una spinta. Supponiamo che lo spread con i titoli tedeschi resti agli allarmanti livelli attuali o addirittura salga, nonostante l’onerosa manovra, mentre Berlusco illo tempore felix, in fuga dai pubblici ministeri, affonda tra scandali e affari penali; il senso sarebbe chiaro: l’Italia rimane sotto tiro finché sia identificabile nel malfamato. A quel punto le Camere voteranno: merita ancora fiducia?; e presumiamo vari giudiziosi «no» nelle sue file. Troppe cose sono cambiate dall’Avvento 2010, quando pochi voti venali gli evitavano una débâcle, ma concessa l’improbabile risposta positiva, la legislatura ha le settimane contate; tempi calamitosi richiedono governi seri. Sul responso elettorale esistono pochi dubbi. È peso morto l’allora invincibile agonista e nell’attuale partito tirano arie discordi: era compagnia di ventura nel culto del padrone; caduto o svilito il quale, ai postberlusconiani resta la via della destra senza collare delineata dai futuristi. Sull’altra sponda anche i sinora interessati alla mistica del Capo sanno che handicap sia trascinarselo logoro, perdente, ormai molesto. L’ideale sarebbe un partito del «Caro Estinto», fabulous man, con tutti gli assets (reti televisive, giornali, editoria, capitali), sotto la guida della bellicosa figliola, i cui carismi cantava uno che s´è votato alla Casa d´Arcore, sotto cimiero, barbuta, cotta, relatore dell´insigne ddl sul processo cosiddetto breve. Quest’Ordine dei credenti, che ubbidiscono e combattono, batte bandiera Mediaset. Vi figurano colonnelli post-Msi, l’onniloquio capogruppo veterano piduista, lo speaker già radicale, il ministro socialcattolico, declamatore gesticolante dell’historiette osée su cinquanta monache violate, meno l’unica riluttante, e quanti messeri. Speculavamo su dei futuribili. Lo scherzo prognostico è anche augurio. Chiudiamolo nello stile lieve d’Esopo, Fedro, La Fontaine, Leopardi fabulante (non Orwell: nel finale tragico d´Animal Farm niente distingue più i maiali dall’uomo). La rana s’era gonfiata a dismisura: gli animali l’adoravano, finché cade il velo; vedono quanto sia brutta e lì svanisce la batracomonarchia. Provvedano le Parche, se hanno a cuore le sorti d’Italia.

Nessun commento:

Posta un commento