Ha scritto oggi – sabato 23 di
ottobre 2021 - Michele Serra in “Un
vecchio incubo”, pubblicato sul quotidiano “la Repubblica”, dopo che il
signore di Arcore, condannato in via definitiva per frode fiscale ai danni del
popolo italiano, è stato acclamato quale candidato al Quirinale da quelli del cosiddetto
centro-destra: Accecato dalla vanità, forse Berlusconi crede veramente di poter
diventare presidente (dunque garante, padre, denominatore comune) di un paese
che proprio lui, divisivo come nessun altro tranne Mussolini, spaccò in due
metà inconciliabili, perché alla contrapposizione ideologica aggiunse una
specie di frattura antropologica. Vivere come Berlusconi, essere Berlusconi per
mezza Italia è stato un sogno, per l'altra mezza - alla quale appartengo - un
autentico incubo. Tutto quello che ci ripugna, in termini di vita, gusti,
ambizioni, estetica, etica, era da lui superbamente interpretato. I suoi
giovani alleati, amici di Le Pen, di Orbán, di Vox, della peggiore destra
europea, lo lusingano, lo fanno sentire un padre nobile, ma lo usano come una
foglia di fico. Senza di lui, primo sdoganatore del neofascismo e inventore del
populismo, Salvini e Meloni neppure esisterebbero. Ora cercano di usare, un po'
per opportunismo un po' perché non hanno altri nomi da spendere, il Berlusconi
"liberale" della sua estrema stagione politica, una specie di
travestimento anagrafico (da vecchi, si sa, si diventa saggi) che non ha alcuna
pezza d'appoggio nella storia del vecchio leader, che quando ebbe l'età per
farlo fu anche più aggressivo, più disinvolto, più arrogante, più
menefreghista, soprattutto infinitamente più ricco e potente di questi suoi
figliastri avventurieri e improvvisatori: soprattutto il Salvini, perché
Meloni, dalla sua, almeno ha un albero genealogico in proprio, che è il
neofascismo. Noi, dalla sponda opposta, si parteggia per i Brunetta, Toti,
Gelmini, Carfagna, che vedono il loro capo in ostaggio di una destra di guerra
e di malora, e lo dicono. Ma il vecchio tramontato è sensibile alle claque, non
ai buoni consigli. Bene, a causa di un popolo “immemore” potrà pure accadere
che quel signore divenga il prossimo ospite del Quirinale, rimanendo comunque per
la legge della Repubblica un pre-giudicato. E l’Europa? E il resto del mondo
come giudicherà la pantomima italiana? Ha lasciato scritto l’indimenticato Franco
Cordero in “Il crollo dei mercati e i
canti di Nerone”, pubblicato sul quotidiano “la Repubblica” del 23 di
settembre dell’anno 2011, scritto terribilmente profetico: (…). Era disceso dalle nuvole,
soi-disant imprenditore geniale: qualunque cosa tocchi, diventa oro; e s’impegna
al miracolo economico, firmando il contratto nel salotto televisivo; sono il
suo forte le pantomime da fiera. Corre l’undicesimo anno dell’era
berlusconiana, meno i due d’uno spettrale intervallo centrosinistro: le Camere
gli ubbidivano (mai viste maggioranze simili); gli avversari stavano a testa
china, cappello in mano. Ogni tanto brandiva l’arma plebiscitaria, sicuro d’avere
due elettori su tre dalla sua. Il collasso sbalordisce e non incolpi stelle
nefaste o prose nemiche. Se lo combina da solo, disincantando le platee:
inetto, ciarlatano, abile solo nell’arricchirsi, enorme parassita, spende il
tempo politico in frodi legislative intese all’impunità; le finanze vanno a
picco e lui manda una lettera autografa alla Camera affinché vieti l´uso del
materiale fonico sulle serate postribolari d´Arcore (bel delirio d´onnipotenza,
in spregio alla procedura penale). Nella terribile crisi planetaria non muoveva
dito, intento ai loschi affari suoi. Costituito in mora dall´Ue, giocava carte
false. Almeno non strepitasse vantandosi salvatore del Paese contro toghe rosse
e mercati, mentre indagini svelate dalla sua stampa aprono scenari dove figura
molto male, sotto possibile ricatto da chi gli portava demoiselles a pagamento:
nega d’essere parte lesa e racconta d’avere soccorso dei bisognosi (pratica una
carità molto particolare, verso lenoni, traviate rampanti, malaffaristi), senza
sospettare l’effetto ilare nel pubblico; è una campana sorda in materia
autocritica. Varie voci lo qualificano falso testimone: stavolta non rischia
condanne perché nemo tenetur turpitudinem suam detegere; ammettendo d’essere
ricattabile patirebbe nell’onore (art. 384 c. p.), ammesso che quest’eterea
entità gli prema; mille volte l’abbiamo visto insensibile alla vergogna, germe
dell’etica. Ai bei tempi spacciava favole sguaiate trovando larga audience:
adesso fredde occhiate misurano parole, smorfie, maschere, gesti; mala tempora,
gli converrebbe stare quatto. (…). Lui non vuol andarsene, ovvio: le dimissioni
ripugnano all’Ego tirannico; sarebbe catastrofe psichica nonché politica,
irrimediabile, non essendo presumibile la seconda vita d’un perdente prossimo
agli ottanta più che ai settanta; non parliamo delle ripercussioni nel fiabesco
patrimonio; e i maledetti processi? S’era giocato tutto, quasi una roulette
russa. Fallisce l’assurdo tentativo del decreto urgente che lo salvi dai
dialoghi intercettati (14 settembre). Gli sgherri meno presentabili, senza
futuro fuori del serraglio, chiedono decisioni estreme, sbarrano gli occhi,
battono pugni sul tavolo, urlano ma è schiuma da poco. I cauti scoprono lembi d’anima
finalmente moderata, nella logica del salvare il salvabile. Ormai basta una
spinta. Supponiamo che lo spread con i titoli tedeschi resti agli allarmanti
livelli attuali o addirittura salga, nonostante l’onerosa manovra, mentre
Berlusco illo tempore felix, in fuga dai pubblici ministeri, affonda tra
scandali e affari penali; il senso sarebbe chiaro: l’Italia rimane sotto tiro
finché sia identificabile nel malfamato. A quel punto le Camere voteranno:
merita ancora fiducia?; e presumiamo vari giudiziosi «no» nelle sue file.
Troppe cose sono cambiate dall’Avvento 2010, quando pochi voti venali gli
evitavano una débâcle, ma concessa l’improbabile risposta positiva, la
legislatura ha le settimane contate; tempi calamitosi richiedono governi seri.
Sul responso elettorale esistono pochi dubbi. È peso morto l’allora invincibile
agonista e nell’attuale partito tirano arie discordi: era compagnia di ventura
nel culto del padrone; caduto o svilito il quale, ai postberlusconiani resta la
via della destra senza collare delineata dai futuristi. Sull’altra sponda anche
i sinora interessati alla mistica del Capo sanno che handicap sia trascinarselo
logoro, perdente, ormai molesto. L’ideale sarebbe un partito del «Caro
Estinto», fabulous man, con tutti gli assets (reti televisive, giornali,
editoria, capitali), sotto la guida della bellicosa figliola, i cui carismi
cantava uno che s´è votato alla Casa d´Arcore, sotto cimiero, barbuta, cotta,
relatore dell´insigne ddl sul processo cosiddetto breve. Quest’Ordine dei
credenti, che ubbidiscono e combattono, batte bandiera Mediaset. Vi figurano
colonnelli post-Msi, l’onniloquio capogruppo veterano piduista, lo speaker già
radicale, il ministro socialcattolico, declamatore gesticolante dell’historiette
osée su cinquanta monache violate, meno l’unica riluttante, e quanti messeri.
Speculavamo su dei futuribili. Lo scherzo prognostico è anche augurio.
Chiudiamolo nello stile lieve d’Esopo, Fedro, La Fontaine, Leopardi fabulante
(non Orwell: nel finale tragico d´Animal Farm niente distingue più i maiali
dall’uomo). La rana s’era gonfiata a dismisura: gli animali l’adoravano, finché
cade il velo; vedono quanto sia brutta e lì svanisce la batracomonarchia.
Provvedano le Parche, se hanno a cuore le sorti d’Italia.
Nessun commento:
Posta un commento