"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi

"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi
"Il bruco" (2017). Nikon Coolpix P900. Foto macro. Stato larvale della falena diurna "Macroglossum stellatarum" volgarmente detta "sfinge colibrì".

venerdì 15 ottobre 2021

Piccolegrandistorie. 06 «Voi festeggiaste con la mia carne le Ferie di Agosto, addormentati nell'indifferenza del vostro ventre sazio».

 

Racconta il “misterioso” Filelfo alle pagine 80/81 del Suo volume “L’assemblea degli animali” - Einaudi editore (2020) -: (…). Aveva detto qualcuno, ricordava la gatta, che la vicinanza della morte intensifica il sentimento della vita negli umani che sembrano averlo smarrito, contagiati dal germe della dimenticanza, catturati dalle loro cieche e inderogabili faccende. Adesso, incalzati da un altro contagio, isolati nelle loro società, tallonati dal continuo agguato della morte che domina la vita delle bestie, osservano rabbrividendo l’epifania della natura, come all’alba dei tempi. Guardavano ma non vedevano quello che invece incontrava lo sguardo della gatta bianca, perché non erano più abituati a distinguere altro da ciò che avevano davanti agli occhi e solo a pochissimi umani era stato lasciato il dono della visione, che hanno invece conservato tutti gli animali, come il gufo o la civetta, o il cavallo bianco, o le renne inquiete o i chiaroveggenti elefanti, per non parlare dei poteri del cervo. (…). Tratto da “C’era una volta il gallo del paradiso” del “misterioso” Filelfo, riportato sul quotidiano “la Repubblica” del 21 di agosto 2021: C'era una volta un gallo. C'era una volta il mio antenato, venuto al mondo nella sacra India, madre del pensiero, della meditazione e della liberazione. Fu il primo a svolgere il compito che gli fu assegnato dal grande Brahman quando, cantando l'inno della creazione del mondo, destinò a ogni vivente, pietra, pianta, essere umano o altro animale, la sua parte. Tu, uccello del paradiso, modulò il Brahman con la vibrazione che solo lo speciale udito del gallo poteva avvertire, annuncerai l'arrivo del giorno che pone fine all'oscurità delle notti. Ricorderai al mondo che il ciclo delle albe e dei tramonti non è che lo specchio del grande ciclo del Brahman, che non esiste buio senza luce, aurora senza crepuscolo, sonno senza veglia, e che la vita è sogno come i sogni sogni sono. Ma ricorda, figlio del cielo che del nero della notte e del bianco del giorno porti i vessilli nelle piume e del rosso del sole che sorge ti fai cimiero: sia il tuo canto compassionevole, poiché difficile è per tutti, specie per gli umani, levarsi ogni mattina e riprendere a far girare la pesante ruota del divenire. Perché ogni risveglio porta con sé il rimpianto del sonno che si è appena lasciato e altro non è che il ricordo sbiadito di quando ciascuno era tutt'uno con il Brahman. Sia il tuo squillo acuto come lo shanai, ma echeggi gentile come il sitar, poiché deve guidare nel transito dall'uno all'altro mondo, quello del sonno e quello della veglia, e vi si nasconde il segreto dell'illuminazione. Questo disse colui che fecondò il grande uovo cosmico dal quale tutti, ma noi polli più di ogni altro, proveniamo. E il gallo da allora, dalla prima alba del mondo, con eterna devozione proclama l'inizio del giorno: "Chicchirichì!". E quel suo richiamo rituale ricorda che tutti obbediamo alle stesse leggi di natura, poiché in lei tutti abbiamo origine. Il mio antenato era apparso nella verde India. I suoi discendenti percorsero a ritroso le vie desertiche che avrebbero portato il giovane Alessandro, sospinto dalla sua inestinguibile sete di grandezza, ai confini del mondo ignoto agli abitanti dell'occidente dove il sole tramonta. Quando giungemmo nelle vostre terre la grande guerra degli achei per il fantasma di Elena era ormai finita. Non fummo lì a destare i guerrieri dai sonanti elmi, destinati a scontare la loro condanna a interminabili rinascite nella maledizione dei campi di battaglia e degli assedi. Non conoscevano il nostro grido nemmeno i grandi legislatori micenei, costruttori di labirinti. Non potemmo risvegliare Arianna, abbandonata da Teseo a Nasso, dal suo sonno. Ma quando arrivammo, furono i migliori tra gli umani, i giusti, i mansueti, i filosofi a riconoscere il nostro lignaggio. Non è un caso che due di loro, congedandosi dai propri simili al cospetto della morte che li attendeva - poiché questo riserva ai giusti la cecità degli uomini - chiamarono in causa noi. Non disse forse Socrate prima della sua esecuzione: "Sacrificate un gallo ad Asclepio"? E il suo fratello in spirito, che come lui fu ingiustamente processato e messo a morte, il profeta nato in una grotta, che amava gli animali poiché l'asino e il bue lo scaldarono con il loro fiato, non pensò forse a noi quando, nella notte più oscura, profetizzò l'avverarsi del suo destino "prima che il gallo canti"? Ci riconobbero i saggi e noi riconoscemmo loro. Siamo gli aiutanti di Asclepio, signore della medicina, guardiani del tempo, compagni di viaggio degli dèi dall'Ade alla luce. Risvegliamo alla preghiera i credenti, segnaliamo l'arrivo dei demoni ai santi. Le uova dei nostri harem danno nutrimento agli umani senza far loro spargere sangue, anche se più di ogni altro animale ne abbiamo versato per volere dell'uomo, che ha scannato e divorato il mio popolo. Dagli altari, per rendere grazie a dèi che non lo richiedevano, alle mense, per riempire ventri di uomini che lo imploravano, abbiamo accettato il nostro fato, poiché la legge della natura è crudele ma necessaria e perché anche l'uomo vi era soggetto. Allora, in quegli antichi sanguinari tempi, quale differenza vi era, domando a voi che ascoltate questo mio grido, tra il nostro destino segnato dalla mannaia e quello di miliardi di voi trafitti dalle vostre spade? La vita è dolore, diceva il saggio bodhisattva venuto come me dall'India, e cos'altro si può fare se non cercare una via che ce ne liberi? E la via era annunciata. Ogni mattina, obbedendo all'ordine che il grande Brahman diede al mio antenato, noi galli tendiamo la gola a rammentarla: sia questo vostro risveglio presagio di un risveglio più grande, non aggiungete altra crudeltà al mondo. Ma ora che questo mondo sembra più gentile a molti di voi, che non uccidete e non siete uccisi continuamente in battaglia, per noi la carneficina non è cessata. Anzi, si è incrudelita. Il mio popolo è prigioniero nei grandi campi di sterminio dei vostri allevamenti. I nostri pulcini vengono al mondo accecati dalla luce artificiale che tiene sveglie le loro madri affinché depongano uova sino a sfinirsi e a morire. Quando escono, divenuti adulti troppo in fretta, ad attenderli c'è solo la fine. Agli umani non importa se non potranno mai cantare l'inno del mondo, hanno dimenticato l'onore che si riserva ai musici e ai messaggeri. Gli umani sono andati troppo lontano e il loro viaggio verso le terre del tramonto è più lungo e più oscuro di quello che compirono, da oriente a occidente, i miei avi. Chicchirichì! Io sono il gallo, discendente di grandi sacerdoti indiani, primo araldo del paradiso, sentinella della luce. Ho avuto l'onore di dare inizio ai lavori dell'ultima assemblea degli animali, in cui si è discusso a lungo della malattia dell'uomo, non questa nuova epidemia che lo opprime, ma quella più antica: l'oblio, l'avere dimenticato di essere parte di un unico mondo, di un'unica anima. Il mio canto vi giunge da dove non c'è notte né aurora. Sono morto pochi giorni fa, perché voi festeggiaste con la mia carne le Ferie di Agosto, inconsapevoli della vostra crudeltà, addormentati nell'indifferenza del vostro ventre sazio. Ma mentre voi dormite, il mio cuore ancora veglia.

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