"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi

"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi
"Il bruco" (2017). Nikon Coolpix P900. Foto macro. Stato larvale della falena diurna "Macroglossum stellatarum" volgarmente detta "sfinge colibrì".

mercoledì 13 ottobre 2021

Virusememorie. 79 «Il magistero del Covid ci ha insegnato che il nostro modo di concepire la vita individuale e collettiva deve essere profondamente rettificato».

 

Ha scritto Michele Serra in “Malattie e malati prima del Covid” pubblicato sul quotidiano “la Repubblica” dell’8 di ottobre 2021: Se fossimo intelligenti, il vaccino contro la malaria sarebbe una notizia così grande, così importante, che non parleremmo d'altro per giorni. Lungo i secoli decine (più probabilmente centinaia) di milioni di persone, soprattutto nei Paesi poveri, e nelle zone povere e malsane dei Paesi più ricchi, sono morte di malaria. Più della metà, bambini. Ancora nel 2020 i morti sono stati 400mila, in gran parte in Africa. Al cospetto della secolare, titanica lotta della scienza, dei governi, delle autorità sanitarie contro la malaria, gli attuali psicodrammi sul Covid, in primo luogo le ridicole beghe sui vaccini, fanno la figura di un lussuoso passatempo per una società viziata, che ha dimenticato da quali penurie, quali dolori, quali lutti noi discendiamo, pronipoti immemori di generazioni vissute tra guerre, pestilenze, carestie, dittature, penuria di tutto, certezza di niente. Oggi si discetta dei pericoli di una puntura che ieri era attesa come la salvezza (non dovuta!) dalle pestilenze, così come un tetto sulla testa e un piatto caldo in tavola non erano un diritto scontato, ma una conquista importante, della quale rendere grazie a Dio o al sindacato, a seconda delle credenze. Veniamo dalle spelonche ma ci comportiamo come se fossimo sempre vissuti all'Hilton, con il culo nella bambagia. E se il Welfare e lo Stato ci offrono (gratis!) la possibilità di immunizzarci contro una polmonite mortale, ci domandiamo se e quanto dire "sì grazie" ci renda sudditi, e dire "no grazie" ci renda liberi, e anche fighi. Ma quando facevamo la fila, non troppi anni fa, per salvarci dalla polio, o dal vaiolo, uno che fosse saltato fuori per dire che nessuna scienza, nessun governo aveva il diritto di insegnare qualcosa al fottuto Io che ci sta avvelenando la vita, sarebbe stato zittito in un attimo, e dimenticato l'attimo successivo. Tratto da “Dopo il Covid è il momento di ricostruire” di Massimo Recalcati – psicoterapeuta – pubblicato sul quotidiano “la Repubblica” di oggi 13 di ottobre 2021: (…). Kum! è la parola imperativa che invita a rialzarsi, a riprendere il cammino, a ritornare in vita: Kum! Alzati! Così Gesù si rivolge a Lazzaro sepolto nella tomba. Dovremmo provare a fare laicamente di questo appello non solo l’invito imperioso ad un risveglio individuale, ma una vera e propria scossa capace di coinvolgere una intera comunità. È questo, infatti, il tempo di rialzarsi, di ricominciare, è questo il tempo per un nuovo inizio. E iniziare è già sempre costruire, è già rendere di nuovo possibile l’orizzonte del futuro che sembrava invece compromesso drammaticamente dal trauma violento del virus. L’accasciamento e la demoralizzazione depressiva sono stati profondi. Avremmo potuto ancora incontrare il mondo così come lo avevamo amato? Ci sarebbe stato per noi ancora un avvenire? Alzati! Kum! È la parola anti-melanconica della cura. Essa invita alla vita perché c’è ancora vita, perché non tutto è morte, perché c’è ancora tempo per ripartire. Nondimeno l’inizio non si può pensare solo come il tempo di un istante. Ogni vero inizio è un compito che lo rende simile ad un cantiere, ovvero ad un luogo dove si lavora insieme per dare fondamento e forma ad una nuova costruzione, ad una nuova possibilità. Non si tratta infatti di ricuperare semplicemente quello che c’era, di ritornare a come era prima perché come era prima non è affatto estraneo a quello che ci è accaduto. Per questa ragione i nostri cantieri non devono essere luoghi di restauro o di conservazione, ma di progetti. Il magistero del Covid ci ha insegnato che il nostro modo di concepire la vita individuale e collettiva deve essere profondamente rettificato. Troppi errori. Non poteva continuare così. Il Covid ci ha costretto a fermarci e a pensare. Non dovremmo dimenticare la sua lezione troppo rapidamente. Abbiamo coltivato un’idea solo libertina della libertà concepita come diritto della propria volontà di imporre la sua forza dimenticando che la libertà o è solidarietà o è una pura astrazione perché non ci può essere salvezza individuale ma solo collettiva. Abbiamo confuso antropocentrismo e umanismo invertendo brutalmente la relazione tra l’abitare e il costruire, interpretando la nostra condizione umana come legittimazione all’esercizio di una potenza senza limiti, dimenticando, appunto, che prima c’è l’abitare la terra e la sua custodia e solo grazie a questo si dà la possibilità, solo secondaria, del costruire. Abbiamo contrapposto populisticamente la vita alle istituzioni pensando che queste ultime fossero solo il luogo di una alienazione malvagia, corrotta e marcia, dimenticando che la vita umana senza istituzioni è destinata a perire, che la vita e le istituzioni, (…). Abbiamo dimenticato l’importanza della ricerca, della cultura, del sapere di fronte alla rivendicazione incestuosa di una democrazia fasulla dove uno vale uno e di fronte al trionfo di una intossicazione di informazioni senza pensiero. Abbiamo smarrito l’importanza di una sanità pubblica a misura di uomo, dove la cura è innanzitutto attenzione per la singolarità e non una iperspecializzazione che riduce la medicina all’applicazione di standard protocollari che cancellano quella singolarità. Abbiamo cancellato l’importanza della Scuola nella costruzione di una cittadinanza critica e democratica, riducendola ad un’azienda (scassata) con mire di efficientismo produttivistico. Abbiamo alimentato il culto del profitto e del denaro a scapito dell’etica del lavoro favorendo l’affermazione di una economia di carta che non ha più rapporti con la vita delle persone, dimenticando che la qualità della vita collettiva è ciò che rende ogni organizzazione generativa. Non abbiamo considerato che erigere muri, militarizzare le frontiere, difendere i propri spazi nazionali senza pensare all’Europa e ad un’idea più porosa dei confini, ci conduce fatalmente all’isolamento e alla rovina. Abbiamo dimenticato che la cura dei nostri figli non si realizza con una loro difesa d’ufficio perpetua che minimizza le responsabilità che invece essi devono necessariamente imparare ad assumere. La prova che hanno dovuto sopportare è stata severa ma niente ci deve autorizzare ad indentificarli nella tenebrosa posizione della vittima, in una generazione Covid che non esiste. Piuttosto a loro dovremmo essere in grado di trasmettere il senso rinnovato di una alleanza tra le generazioni che permetta di leggere anche le esperienze più difficili e dolorose, com’è quella del Covid, come essenziali in un processo di formazione. I nostri cantieri proveranno a fare tesoro del trauma. È questo il compito individuale e collettivo che ci spetta. Non la risposta demoralizzata o rabbiosa, ma la messa in opera di un lavoro collettivo che in questo tempo, ancora minato dall’incertezza, sappia offrire idee, pensieri lunghi, possibilità inedite. Ha scritto Pier Paolo Pasolini in tempi non sospetti: «L’Italia – e non solo l’Italia del Palazzo e del potere – è un paese ridicolo e sinistro: i suoi potenti sono delle maschere comiche, vagamente imbrattate di sangue… Ma i cittadini italiani non sono da meno. Li ho visti, li ho visti in folla a Ferragosto. Erano l’immagine della frenesia più insolente. Ponevano un tale impegno nel divertirsi a tutti i costi, che parevano in uno stato di “raptus”: era difficile non considerarli spregevoli o comunque colpevolmente incoscienti». Non si era al tempo dello scritto di Pasolini in un ferragosto da Covid. Ma l’impressione è sempre la stessa. Di un popolo “improvvisato”.

1 commento:

  1. "L'etica della responsabilità è così rara da rintracciare nei nostri comportamenti pubblici e privati". (Antonio Caprarica). "Quando prendiamo una decisione dobbiamo sempre pensare alle conseguenze che essa avrà su di noi e sugli altri". (Albert Acremant). "Abbiamo bisogno gli uni degli altri. Siamo responsabili gli uni degli altri". (Dalai Lama). "Credo che un eroe sia quello che comprende la responsabilità che comporta la sua libertà".(Bob Dylan). "Noi siamo la memoria che abbiamo e la responsabilità che ci assumiamo. Senza memoria non esistiamo e senza responsabilità forse non meritiamo di esistere".(José Saramago). Il padre che non insegna a suo figlio i suoi compiti è egualmente responsabile come il figlio che li trascura".(Confucio). Grazie per la condivisione di questo post veramente singolare, importantissimo per la ricchezza di stimoli efficaci che inducono a prendere coscienza degli errori,per poi trovare la forza di progettare la "messa in opera di un lavoro individuale e collettivo inedito...". Buona continuazione.

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