Ha scritto Gad Lerner in «Aberrazione
giuridica contro un “giusto”», pubblicato su “il
Fatto Quotidiano” di oggi: La condanna di Mimmo Lucano a 13 anni e 2
mesi di reclusione non è solo accanimento feroce contro un uomo giusto, che mai
ha tratto lucro alcuno dal modello di accoglienza sperimentato a Riace. È
altresì un’offesa recata allo spirito della nostra Costituzione, come argomentò
da par suo Piero Calamandrei dopo la condanna (ben più lieve) subita nel 1956
da Danilo Dolci, colpevole d’invasione di terre siciliane incolte. Se affianco
il nome di Mimmo Lucano a quello di Danilo Dolci è perché entrambi incarnano il
diritto/dovere della disobbedienza civile nonviolenta allorquando il sistema –
e l’ottusità delle sue normative – impediscono l’attuarsi di un’azione
finalizzata al bene pubblico, come prescritto dalla nostra Carta fondamentale. (…).
La sentenza di cui è vittima capovolge il senso comune della giustizia. Mimmo
Lucano, come Gino Strada, ha scosso con il suo esempio le nostre cattive
coscienze. Continueremo a essergliene grati. Lo ha condannato uno Stato i cui
funzionari di notte lo svegliavano per chiedergli di ospitare dei poveretti che
non sapevano dove mandare. Tratto da “La giustizia rovesciata” di Francesco Merlo pubblicato sul
quotidiano “la Repubblica” di oggi venerdì primo di ottobre 2021: (…). La sentenza del Tribunale di Locri, che condanna a 13 anni e due mesi Mimmo
Lucano, il sindaco povero degli immigrati poveri nella Calabria povera, è così
crudelmente esagerata da far subito pensare all'iperbole, alla
"sparata", al bum!, appunto. Qui salta persino la prudenza che magari
ipocritamente tutti noi ad ogni lettura di sentenza esibiamo in attesa delle
motivazioni. C'è, infatti, il troppo che stroppia, cioè deturpa, da quella
parola turpis che, senza andare troppo in fondo, arriva al dunque, e trasforma
ogni cosa nel suo contrario, è l'eccesso che rovescia la giustizia quale che
sia la colpa di Lucano, quale che sia la virtù di Lucano, quale che sia la
verità di Lucano. Giorgio Manganelli la chiamava "troppità", una
patologia che danneggia chi l'esibisce molto più di chi la subisce. E forse
questa sentenza-boomerang a questo servirà: a mostrare tutta la troppità della
Giustizia italiana: troppa ideologia, troppa parzialità, troppo corporativismo,
troppo protagonismo, troppa irresponsabilità civile, troppa disinvoltura,
troppo moralismo, troppa disumanità, troppa iniquità... Una volta caduti i
reati di concussione e favoreggiamento dell'immigrazione clandestina (assolto e
prescritto), l'aritmetica delle truffe attribuite a Lucano qui sembra quella di
Platone che stabiliva a quale distanza dal mare peccaminoso bisognasse
costruire le città affinché fossero virtuose: tredici anni e due mesi, poco
meno del doppio dei sette, chiesti da una Procura già platealmente accanita,
per reati che manco i truffatori del secolo, il lupo di Wall Street, o Frank
Abagnale Jr. che nel film di Spielberg è Leonardo DiCaprio: Prova a prendermi. Povero
Lucano. L'hanno preso, ma senza contestargli né trovargli un solo euro. E passi
che l'accusa, che nel processo è parte, non tenga conto della personalità
dell'imputato, ma il tribunale, calcolando la pena, sapeva che Lucano,
incensurato, aveva rifiutato le candidature sicure (in primis quella europea)
che gli avrebbero garantito l'immunità e uno stipendio, a lui che non ha i
soldi per mangiare. Si trattava, voglio dire, di truffe a fin di bene, come
ammise lo stesso procuratore già nell'ottobre del 2018 quando ne chiese
l'arresto: "Non possiamo consentire, come Stato italiano, come istituzione
della Repubblica, che qualcuno persegua un'idea passando bellamente sopra i
principi e sopra le norme". E va bene. Ma dopo l'arresto ai domiciliari ci
fu pure la sofferenza del divieto di dimora che stabilì che Lucano, umiliato e
punito, potesse andare dappertutto tranne al suo paese, dove comunque, quando
gli imposero questa sadica restrizione, non era più sindaco perché era stato
sospeso. Ed ecco che nella troppità della sentenza salta fuori anche il
sospetto di una revanche verso i colleghi della Cassazione, che stabilì che gli
avevano comminato penose misure immotivate. E non fu per niente usuale quella
netta pronunzia della Suprema Corte che entrava nel merito. Era il 2019 e la
Cassazione, che è il giudice della Forma, sentì il bisogno di tracciare, in
maniera esemplare, i confini delle decisioni capricciose. Di sicuro già nel
2018 l'arresto estirpò con l'efficienza della chirurgia sociale un modello di
integrazione che era vincente anche da un punto di vista economico, visto che
con i 35 euro per immigrato, che allora versava lo Stato, a Riace non
compravano panini da dare in pasto ai disperati rinchiusi in qualche palazzo
sbrecciato di periferia, ma creavano lavoro. "Non hanno condannato
me" mi dice adesso Mimmo Lucano "ma l'idea di una forma di vita alternativa,
in un villaggio rurale morente". Ancora nel 2020 quest'idea di Lucano fu
esposta al Moma di New York, e non per solidarietà internazionale, ma come
esempio di vita di campagna spopolata, insieme alle new town cinesi, alle
fattorie robotizzate dell'Olanda e del Canada, alle coltivazioni con i droni
nell'Africa subsahariana. Si può imbrogliare non cercando di arricchirsi? Che
significa truffare, ma non per fare soldi? Significa pasticciare con gli atti
amministrativi, procedere in disordine. E dunque così, per dire, i soldi del
frantoio andavano agli artigiani del vetro e quelli del vetro venivano girati
al laboratorio degli aquiloni di Herat, e il ricamo era sovvenzionato con i
fondi assegnati alla carta e quelli della carta erano i soldi dei vasi di
Kabul... Non cambia il totale, ma solo l'ordine dei fattori mescolati e
sovrapposti. Perché è così Lucano, è il leader, rustico e disordinato ma
lucido, che meglio di tutti impersona l'accoglienza e la pietà nella Calabria
aspra e dirupata. E lasciamo perdere Robin Hood, per carità. In questo modo
ogni fattore disordinato può diventare una truffa: una carta d'identità e
l'asilo nido multietnico, una scuola e i presidii medici, il ristorante e le
borse-lavoro. E Riace era persino albergo-diffuso per accogliere il turismo
equo solidale: in una casa aveva vissuto Wim Wenders, in un'altra Fiorello.
Ebbene, invece di riprodurlo nelle terre abbandonate del Sud, nelle campagne
desertificate della Sicilia, questo modello, questo povero castello
dell'accoglienza e dell'integrazione nel mondo sovranista del respingimento e
della disintegrazione, è stato spazzato via senza le ruspe di Salvini e senza
fomentare le guerre tra i poveri di Giorgia Meloni, ma con il codice penale
applicato con accanimento talebano fino al bum dei tredici anni e due mesi di
ieri. Andava comunque punito, Mimmo Lucano? Non è compito nostro stabilire se
bisognasse condannarlo o assolverlo. Ma abusare del potere discrezionale che la
legge concede al giudice nel calcolo della pena è qui mostruoso. Così venivano
puniti nel '500 gli Ugonotti, e nel '600 i valdesi di Torre Pellice, così
venivano massacrati gli eretici.
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