Ha lasciato scritto George Robert Gissing (Wakefield, 22 di novembre dell’anno1857
– Ispoure, 28 di dicembre dell’anno 1903)
in “Sulle rive dello Jonio”: (…). Tutte
le colpe degli italiani sono perdonate appena la loro musica risuona sotto il
loro cielo. Ci si ricorda di tutto quello che hanno sofferto e di tutto quello
che sono riusciti a fare malgrado i torti ricevuti. Razze brute si sono
gettate, una dopo l’altra, su questa terra dolce e gloriosa; la sottomissione e
la schiavitù sono state, attraverso i secoli, il destino di questo popolo. Dovunque
si cammini, si calpesta sempre terreno che è stato inzuppato di sangue. Un
dolore immemorabile risuona anche attraverso le eccitanti note della vivacità
italiana. È un paese stanco e pieno di rimpianti, che guarda sempre indietro,
verso le cose del passato; banale nella vita presente e incapace di sperare
sinceramente nel futuro. (…). È legittimo condannare i dirigenti dell’Italia,
quelli che s’incaricano di plasmare la sua vita politica e sconsideratamente la
caricano di pesi insopportabili. “Dopo il caso Lucano in Calabria
l’accoglienza è un delitto” a firma
di Francesco Pellegrini del 2 di ottobre 2021, letto – su cortese segnalazione
dell’amica Agnese A. - sul sito “icalabresi.it”: La
condanna dell'ex sindaco di Riace non dove indebolire la nostra vocazione alla
tolleranza e alla solidarietà. Eppure questo rischio esiste. La vicenda
giudiziaria di Lucano in Calabria per il momento finisce qui. Con una sentenza
«aberrante» quanto «abusare del potere discrezionale che la legge concede al
giudice nel calcolo della pena è mostruoso. Cosi venivano puniti nel ‘500 gli
Ugonotti e nel ‘600 i valdesi di Torre Pellice, cosi venivano massacrati gli
eretici». Sono parole che traggo dall’articolo La giustizia rovesciata a firma
di Francesco Merlo, su la Repubblica di venerdì 30 settembre. È, credo, tempo
di fare alcune considerazioni che potrebbero o dovrebbero condividere i
cittadini calabresi, senza distinzione di parti politiche. Perché sono essi, è
la loro terra che viene segnata, marcata a fuoco da una giustizia “rovesciata”,
ingiusta e apparentemente vendicativa. Un messaggio sbagliato. (…). …a Locri è
stato pronunciato il “giudizio di Dio”, non una sentenza emendabile – lo è
tecnicamente, non sostanzialmente – perché il messaggio che essa lancia, magari
a dispetto della volontà dei giudici, è una specie di intimidazione a non
praticare in alcuna forma l’accoglienza di poveri disgraziati, a non esercitare
il culto della pietà, a non provare a mettere in campo un’esperienza come a
Riace che è possibile solo violando le leggi. Quelle che perseguono l’obiettivo
contrario, cioè di liberarsi una volta per tutte di questi nivuri che ci disturbano
solo esibendo la loro condizione disgraziata. Timori legittimi. La giustizia
non gode di una buona salute oggi. Il racconto deprimente che è uscito dal CSM
ci obbliga a non considerare tutti i magistrati santi ed eroi. Ce ne sono,
certo la maggioranza, di magistrati che servono i cittadini e la giustizia, ma
non sono tutti. E di questi dobbiamo preoccuparci e aver timore. Lucano è la
classica vittima sacrificale, un sovversivo agli occhi dei benpensanti, un
esempio di arrogante indipendenza da chi è sacerdote corrotto della iniquità e
della mediocrità. Le reazioni. Poiché Lucano si ritrova per una specie di
eterogenesi dei fini ingiustamente vittima a causa di una sentenza aberrante,
tutti noi calabresi, che siamo certo molto migliori di come ci rappresentano
abusando di ignobili pregiudizi, dovremmo smetterla con le espressioni
ingiuriose, false, banali con cui qualcuno ha accolto sulla rete le parole di
sgomento, rabbia, sorpresa pronunciate da tanti e riproposte, all’indomani
della sentenza, con ancora maggiore severità dai commentatori più autorevoli.
No ai seminatori d’odio. Non dobbiamo per forza essere ammiratori di Lucano. Ma
non possiamo neanche atteggiarci o essere suoi persecutori, perché quelli che
lo hanno fatto con sentenze e pandette o con gazzette malefiche bastano e
avanzano. Non possiamo essere più servi dei servi che oggi lucrano sulle
disgrazie altrui, non possiamo inquinare la nostra vocazione alla tolleranza e
alla solidarietà che è il vero patrimonio di cui andare fieri. Non è per fare
un favore a Lucano – che pure di solidarietà avrebbe bisogno – ma per non
confonderci con i seminatori di odio e di disprezzo. (…).
“Comunicato
dei e delle docenti di discipline giuridiche degli Atenei italiani a seguito
della sentenza di condanna nei confronti di Mimmo Lucano” letto – su
cortese segnalazione dell’amica Annamaria M. – sul sito www.adir.unifi.it: La sentenza di primo grado che
condanna Mimmo Lucano, ex sindaco di Riace, a 13 anni e 2 mesi interroga il
nostro senso di giustizia. Da giuristi e giuriste, e studiosi e studiose del
diritto e delle istituzioni, attendiamo, prima di ogni valutazione nel merito,
di leggere le motivazioni della sentenza e con fiducia pensiamo ai successivi
gradi di giudizio come a momenti in cui maggiore chiarezza potrà essere fatta.
Sin da subito, però, non possiamo esimerci dal sottolineare come il Tribunale
di Locri abbia ritenuto, per i reati di associazione, truffa sulle erogazioni
pubbliche e di peculato, ai cui singoli episodi è stata riconosciuta la
continuazione, di applicare una pena estremamente elevata, a fronte di uno
stimato danno erariale di meno di 800.000 euro di cui è stato comunque imposto
il risarcimento. La sentenza irroga di conseguenza un ammontare complessivo di
pena che raramente è stato disposto per reati analoghi anche in procedimenti in
cui il vantaggio ingiusto era ben più consistente e rivolto a finalità ben più
individualistiche di quelle attribuite a Mimmo Lucano. Basti pensare alle
condanne inflitte, nell'ambito del cosiddetto processo "Mafia
capitale", poi diventato "Mondo di mezzo", a Salvatore Buzzi e
Massimo Carminati, che pur relative a sedici episodi corruttivi, sette di
turbativa d'asta, uno di traffico di influenze illecite e uno di trasferimento
fraudolento di valori, sono state di gravità inferiore a quella stabilita per
l'ex sindaco di Riace. Questo lascia spazio a dubbi, stupore, e al timore
legittimo di un accanimento verso un uomo e una vicenda divenuti simbolo di una
visione dell'accoglienza in Italia mirata alla costruzione di percorsi
inclusivi effettivi e non alla burocratica osservanza dei protocolli
ministeriali. Ci meraviglia in particolare il fatto che il collegio non abbia
ritenuto di applicare alcuna attenuante. Dichiariamo la nostra preoccupazione
per un clima di ostilità che si respira a volte anche nelle aule giudiziarie
nei confronti di chi, a vario titolo e in vari contesti, appartiene al mondo
che esprime fattivamente solidarietà alle persone migranti, e la volontà di
monitorare con tutti gli strumenti a nostra disposizione le fasi successive del
procedimento aperto nei confronti di Mimmo Lucano.
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