A lato. "Cityscape", penna ed acquerello (2021) di Anna Fiore.
Ha scritto Michele Serra in “Il pensiero unico non è unico”, pubblicato sul quotidiano “la Repubblica” di oggi 30 di ottobre 2021: (…). In ogni campo (il lavoro, i diritti, l'ambiente, l'immigrazione, la cultura, l'eros) c'è stato e c'è conflitto. Perfino l'apparente dittatura del profitto, stravincente su ogni altro fattore economico, non contiene né spiega fenomeni come il boom del volontariato, la resurrezione del Welfare e dello Stato come suo agente, la vitalità (anche come bersaglio di odio politico) di un'istituzione novecentesca come il sindacato.
Può
darsi che decretare la morte delle ideologie sia stata, per molti, soprattutto
una forma di comfort: evitava la fatica di prendere una posizione chiara su
questo e quello, affidando a un sereno pragmatismo il compito di risolvere
qualunque questione. Invece "la storia dà torto o dà ragione", come
cantava De Gregori nel lontano 1985, e dunque bisognerebbe riprendersi la briga
di rischiare il torto, o conquistare la ragione, abbandonando l'idea, imbelle e
vecchissima, che i giochi siano già fatti. Il futuro sarà, prima di ogni altra
cosa, una sequenza ininterrotta di conflitti tra interessi diversi e opinioni
differenti. Evitando spocchia e fanatismo, prendere posizione sarà un modo per
restituire senso alla nostra vita in società. Tratto da “Destra e sinistra sono morte” di Massimo
Fini, pubblicato su “il Fatto Quotidiano” del 6 di luglio 2021: (…). Destra
e sinistra sono due ideologie nate con l’Illuminismo che cercò di
razionalizzare quel grande evento epocale nato in Inghilterra a metà del XVIII
secolo, la Rivoluzione industriale, che ha cambiato radicalmente le nostre vite
e che a sua volta è preceduta dalla rivoluzione scientifica e, in modo più
profondo, dall’avvento del mercante come forte e rispettata classe sociale,
mentre fino ad allora il mercate occupava l’ultimo gradino nella gerarchia dei
valori. Destra e sinistra hanno quindi un’origine comune e molti tratti in
comune. Sono entrambe positiviste, progressiste, ottimiste, moderniste,
economiciste, entrambe hanno il mito del lavoro (per Marx è “l’essenza del
valore”, per i liberisti è esattamente quel fattore che, combinandosi col
capitale, dà il famoso “plusvalore”), sono industrialismi che pensano che
l’industria e la tecnica creeranno una tale cornucopia di beni da dare la
felicità a tutti (Marx) o, più realisticamente per i liberisti, al maggior
numero di uomini. Fin qui ciò che hanno in comune. Divergono profondamente, invece,
sul modo di produrre e soprattutto di distribuire la ricchezza. Per
semplificare le cose è lo scontro in atto dalla metà del XVIII secolo fra
capitalismo e, al suo estremo opposto, il comunismo nelle sue varie
declinazioni. Io vedo capitalismo e marxismo come due arcate di un ponte che
per secoli si sono sostenute a vicenda. Ma il crollo del marxismo prelude,
rifacendoci all’immagine del ponte, a quello del capitalismo per la mancanza di
opposizione e di limiti. Come scrivo ne Il Ribelle dalla A alla Z: “Se il
comunismo è vittima del suo insuccesso, il capitalismo lo è del suo successo”.
Ma per ora il capitalismo è pienamente in sella. Tutto il mondo oggi è
organizzato secondo il libero mercato, che è l’essenza stessa del capitalismo.
Anche paesi totalitari, come ad esempio la Cina, sono a libero mercato sia
all’interno che all’esterno. E dove c’è il libero mercato non ci può essere
comunismo o fascismo se non nella loro forma più deteriore che è quella della
dittatura e della cancellazione di ogni libertà civile. Anche la ricerca della
famosa “terza via”, cioè di una composizione fra liberismo e diritti civili, su
cui le sinistre storiche si sono divise mille volte, non ha dato risultato,
perché dove c’è libero mercato non ci può essere quell’uguaglianza che è forse
l’obiettivo principale del pensiero di Marx. Per la verità una soluzione,
almeno teorica, ci sarebbe e si chiama socialismo, che cerca di coniugare una
ragionevole uguaglianza sociale con i diritti civili. Ma quel che resta del
socialismo è combattuto in tutto il mondo dal capitalismo occidentale imperante
e viene bollato come dittatura anche quando dittatura non è, come nel caso del
socialismo bolivariano preso in mano in Venezuela da Chávez e poi da Maduro, o
da Lula in Brasile, fatto fuori con un pretesto risibile (è chiaro che
Bolsonaro è molto più funzionale) o la Serbia di Milosevic che aveva il
gravissimo torto di essere rimasto l’ultimo paese socialcomunista d’Europa. Destra
e sinistra, cioè le ideologie, hanno avuto anche, per molto tempo,
un’importante funzione psicologica. Hanno sostituito laicamente il vuoto
lasciato dalla “morte di Dio” e più in generale del sacro, che l’Illuminismo,
come ha scritto benissimo Nietzsche, aveva consumato. Ma a due secoli e mezzo
di distanza possiamo dire, con amarezza, che questa utopia bifronte ha fallito.
Oggi l’uomo è stato spossessato di se stesso dall’Economia, il cui tono non è
più nemmeno industriale ma finanziario, dalla Tecnologia, dalla Scienza, idoli
cui bisogna sacrificare senza obiezioni. Siamo tutti omologati. Destra e
sinistra, categorie di cui non si può negare l’importanza storica, oggi son
divenute obsolete perché non sono in grado di intercettare le esigenze più
profonde dell’uomo contemporaneo, occidentale, che, al di là delle apparenze,
non sono economiche ma esistenziali. (…).
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