Va giù pesante Michele Serra in “L’organizzazione della pazzia”
pubblicato sul quotidiano “la Repubblica” del 26 di ottobre 2021: (…). Le
categorie politiche non bastano a capire che cosa sta succedendo in quella
porzione di mondo che chiamiamo Occidente. Il complottismo, Qanon, l'assalto al
Campidoglio, gli elmi cornuti, la denuncia della Dittatura Sanitaria, la stessa
apparizione dell'incredibile Trump sulla scena mondiale, consentono una lettura
solo parzialmente politica. Tantomeno ideologica. Valgono meglio le categorie
psichiatriche: e sia detto senza nessuna superficialità o irrisione, semmai con
la massima considerazione della sofferenza e del disagio di chi le porta
addosso. Ma questa è la sostanziale novità dell'epoca: la pazzia come agente
politico, come organizzatrice delle folle. Poiché sono i regimi autoritari che
bollano e dannano la pazzia, alle democrazie spetta il compito (ben diverso) di
cercare di capire come mai, in misura così evidente, la pazzia abbia preteso e
ottenuto la sua rappresentanza politica. Tratto da “Quei filosofi irresponsabili” di Massimo Recalcati –
psicoterapeuta di scuola “lacaniana” – pubblicato sul quotidiano “la Repubblica”
di oggi 28 di ottobre 2021: Ho avuto recentemente l'occasione di cenare
con dei miei cari amici di Trieste di origine argentina che mi hanno raccontato
cosa è stata la dittatura militare nella seconda metà degli anni Settanta nel
loro Paese. Si può riassumere efficacemente il macabro progetto dei militari
con le parole del governatore della provincia di Buenos Aries, Iberico Manuel
Saint-Jean: "Prima uccideremo tutti i sovversivi, poi uccideremo i loro
collaboratori, poi i loro simpatizzanti, poi quelli che rimangono indifferenti,
e infine uccideremo i timidi". (…). Anche in quel regime - come in tutti i
regimi dittatoriali - veniva imposta una tracciabilità dei movimenti
individuali. Si trattava di un sistema finalizzato a rendere pervasiva la
persecuzione degli antagonisti, dell'istituzione di un vero e proprio
terrorismo di Stato. Il generale Videla nel 1975 ebbe modo di affermare che
"in Argentina dovranno morire tutte le persone che saranno necessarie per
raggiungere la sicurezza del paese". Gli oppositori furono semplicemente
soppressi con l'uso spietato della violenza. La tortura e l'omicidio politico
erano all'ordine del giorno. I camion militari trascinavano in massa i
dissidenti verso il loro drammatico destino. La tracciabilità era in quel caso
al servizio dell'eliminazione fisica del dissenso; essa serviva a comporre
"liste nere" che individuavano gli oppositori del regime che dovevano
essere soppressi. La semplice idea di poter urlare "Libertà, libertà,
libertà!" in una piazza o di esprimere il proprio giudizio critico in
televisione era impensabile e sarebbe stata pagata al prezzo della vita. Anche
nel tempo della crisi provocata dalla pandemia abbiamo dovuto ricorrere alla
tracciabilità dei nostri movimenti individuali. Ma questa tracciabilità non è
al servizio della morte, come avviene in ogni dittatura, ma della vita. È così
difficile capirlo? Eppure nel nostro Paese l'estrema destra e l'estrema
sinistra si sono scatenate in una radicale critica alla gestione della pandemia
e delle relative misure di prudenza e di sicurezza sanitaria (vaccinazione e
Green Pass tra tutte) approvate dal nostro governo. Questa critica furiosa
avviene nel nome della libertà. Conosciamo il ritornello più raffinato: la
gestione della pandemia ha aperto la strada a una virata repressiva delle
nostre istituzioni che rischia di dare luogo a uno stato di emergenza
permanente che finisce per giustificare una legislazione antidemocratica. Di
fatto al grido di "Libertà! Libertà!" una estrema minoranza del nostro
Paese denuncia la virata autoritaria dello Stato democratico minacciando la
stragrande maggioranza. Non è la prima volta che nella storia più recente
dell'Occidente il carattere ideologicamente illiberale della sinistra estrema
converga con quello della destra estrema. Il carattere paradossale di questa
convergenza è dato dal fatto che nella protesta No Vax e No Green Pass si
rivela una idea solo élitaria della libertà che vorrebbe escludere il vincolo,
il legame sociale, la solidarietà. È il punto dove l'anarchismo e la vocazione
totalitaria si intrecciano in modo inquietante. Non a caso è proprio la libertà
ad essere un principio etico che nell'estrema destra e nell'estrema sinistra
non trova alcun diritto di cittadinanza. La violenza anarchica di pochi
vorrebbe infatti dettare Legge alla maggioranza della popolazione. È una
vecchia e terribile storia che nel Novecento ha attraversato egualmente
fascismi e comunismi. La lettura della presenza di una dittatura sanitaria e
politica che rischierebbe o, addirittura, avrebbe già stravolto l'assetto
democratico del nostro Paese, è non a caso una lettura condivisa dall'estrema
sinistra e dall'estrema destra. È lo stesso giudizio che esprimono autorevoli
intellettuali che, pur evitando aristocraticamente di partecipare alle sommosse
popolari, ne sono di fatto irresponsabilmente gli involontari maitres à penser.
Dall'elucubrazione filosofica allo scatenamento della rabbia nelle piazze il
passo è più breve di quello che si possa immaginare. L'élitarismo del pensiero
e i cortei che sfidano lo Stato non si accorgono che oggi la tracciabilità,
diversamente da quella argentina, non è al servizio della dittatura ma della
libertà, che il Green Pass non restringe la nostra vita ma è un mezzo
fondamentale per recuperarla. Chi confonde le idee su questo punto fondamentale
foraggia di fatto una protesta contro le istituzioni in un momento dove
dovrebbe prevalere una solidarietà senza condizioni. Speriamo sia questo
l'ultimo drammatico spasmo della tetra stagione del populismo.
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