"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi

"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi
"Il bruco" (2017). Nikon Coolpix P900. Foto macro. Stato larvale della falena diurna "Macroglossum stellatarum" volgarmente detta "sfinge colibrì".

giovedì 7 ottobre 2021

Paginedaleggere. 53 Rousseau: «Lungi dall'affezionare il cuore dei cittadini allo Stato, il cristianesimo li distacca come da tutte le altre cose terrene».

 

A lato. Jean Jacques Rousseau.

Tratto da “Noi, così individualisti. Ma come lo siamo diventati?” di Umberto Galimberti, pubblicato sul settimanale “D” del quotidiano “la Repubblica” di sabato 7 di ottobre dell’anno 2017:

Si deve al Cristianesimo la scissione tra cittadino e società. Che in occidente raggiunge forme esasperate. La denuncia (…) della nostra cultura individualistica è corretta, così come corretta è la segnalazione delle sue conseguenze disastrose per il nostro Paese. Le radici affondano nella tradizione cristiana, che ha anteposto la sorte dell'individuo a a quella della comunità. Nel mondo greco, il primato spettava alla comunità (polis), a proposito della quale Aristotele, nella Politica (Libro I, 1253a), afferma: «La polis esiste per natura ed è anteriore a ciascun individuo, per la semplice ragione che nessun individuo è autosufficiente, per cui chi non è in grado di entrare in una comunità, o per la sua autosufficienza non ne sente il bisogno, non è parte della polis e di conseguenza o è bestia o è dio». Dello stesso avviso è Platone che nelle Leggi (Libro X, 903c) scrive: «Anche quel piccolo frammento che tu rappresenti, o uomo meschino, ha un intimo rapporto con il Tutto e un orientamento a esso, per cui tu sei giusto se ti aggiusti all'universa armonia».Il cristianesimo, a partire da Sant'Agostino, fissa nell'anima il principio dell'individualità personale e colloca nella sua interiorità la rivelazione della parola di Dio, quindi la verità. Leggiamo, infatti, nel Commento agostiniano al Vangelo di S. Giovanni: «Nell'uomo interiore abita Cristo»; in un altro passo: «Nell'uomo interiore abita la verità»; infine: «Chi ama il mondo non conosce Dio». Qui prende avvio quella scissione tra individuo e società che sarà il tratto caratteristico della cultura cristiana perché, se la destinazione dell'individuo è ultraterrena, la sua esistenza, pur svolgendosi nel mondo, dovrà essere separata dal mondo stesso, e il senso della sua vita privatizzato o spiritualizzato. All'individuo il compito di conseguire la propria salvezza; alla società e a chi la governa quello di ridurre gli ostacoli che si frappongono a questa realizzazione. Dal momento che la destinazione dell'individuo non ha più parentela con la destinazione della società, si consuma definitivamente la separazione tra individuo e comunità. Perciò Rousseau può scrivere nel Contratto sociale (Libro IV, capitolo VIII): «Lungi dall'affezionare il cuore dei cittadini allo Stato, il cristianesimo li distacca come da tutte le altre cose terrene. Non conosco nulla di più contrario allo spirito sociale. Siccome la patria del cristianesimo non è di questo mondo, il cristiano fa il suo dovere, è vero, ma lo fa con una profonda indifferenza, riguardo al buono o cattivo esito dei suoi sforzi. Purché non abbia nulla da rimproverarsi, poco gli importa che tutta vada bene o male quaggiù». Nella nostra epoca, caratterizzata dall'egemonia della tecnica, l'individuo è in crisi non perché «si è affezionato allo Stato», ma perché, (…), si sente sempre più funzionario di apparati, in cui la sua individualità dipende dal ruolo che occupa nell'organizzazione. E la sua identità dai riconoscimenti o misconoscimenti all'interno dell'apparato di appartenenza, che richiede un'uniformità di pensiero e di comportamento. Ne consegue, come scrive Max Horkheimer, che: «Riecheggiando, imitando, copiando coloro che lo circondano, adattandosi a tutti i potenti gruppi di cui entra a far parte, trasformandosi da essere umano in membro di un'organizzazione, sacrificando le proprie potenzialità alla buona volontà e alla capacità di adattarsi a quelle organizzazioni e di ottenere una certa influenza nell'ambito di esse, l'individuo riesce a sopravvivere. Deve dunque la salvezza al più antico espediente biologico di sopravvivenza, il mimetismo». L'individualismo, vale a dire la perversione derivante dalla cultura che ha affermato il primato dell'individuo, quando è contenuto e represso nel mondo del lavoro, e più in generale nel pubblico, si potenzia nel privato. Che diventa quel recinto inviolabile dove nessuno può entrare (non solo i ladri, ma neanche i vicini di casa di cui neppure si conosce il nome), in quella difesa strenua delle cose che si possiedono, a loro volta incaricate di rappresentare chi siamo. Nella più totale indifferenza nei confronti di quanti, più disagiati di noi, chiedono almeno uno sguardo.

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