È accaduto, non certamente sul finire di una giornata,
ma sul finire di quella che passerà come “la pazza estate”, “pazza estate” nel
corso della quale tutti gli “spiriti” più riprovevoli hanno dispiegato il loro
mal-essere nelle più strabilianti imprese agostane. C’è stato un tempo che uno
chansonnier “de’ noantri” canticchiava “odio l’estate”. L’avesse fatto
nella “pazza estate” appena estinta ne avrebbe rischiato grosso. È accaduto, al
declinare della “pazza estate” che Diego Bianchi ne abbia scritto – “Scappare dal caldo” - sul settimanale “il
Venerdì di Repubblica” del 20 di agosto 2021: (…). L’impressione (amara), (…),
è che ai contemporanei dei posteri poco importi, e che a meno di non trovarsi
al cospetto di un cataclisma di portata inaudita, il tema “ambiente” non
rientrerà mai nell’agenda politica di una classe dirigente mai così compiaciuta
nell’usare la parola “futuro” quanto preoccupata unicamente della polemica
social di giornata. Ragionare di scioglimento dei ghiacciai o prosciugamento
dei laghi non è mai non è mai stato considerato particolarmente cool nel
momento della ricerca del consenso, e se è impresa titanica raccontare i fenomeni
migratori legati a guerre e povertà, introdurre la categoria dei migranti
climatici è stato sempre motivo d’ilarità. Impossibile dimenticare il
memorabile intervento di Giorgia Meloni contro il Global Compact, indignata per
il fatto che il documento della Nazioni Unite stabilisse che l’immigrazione è
un diritto fondamentale dell’essere umano, anche quella «di chi scappa dal caldo». Gente che “scappava”
dal caldo o per colpa del caldo ne avevo vista qualche anno prima. Erano pescatori
del Lago Ciad, che siccome il lago si era ritirato non avevano più acqua per
pescare (…). Ammesso che esistano ancora posti “freschi”, i prossimi a dover “scappare”
per il caldo potremmo essere noi. Lo dice la scienza, lo dicono i fatti. Come per
la pandemia, sarà interessante vedere se e quando lo capirà la politica. E
Michele Serra in “La quantità
dimenticata”, pubblicato sul quotidiano “la Repubblica” del 26 di settembre
2021, ad “estate pazza” sempre più declinante, ha scritto: (…). …non c'è leader, non c'è
partito che si conceda il lusso di mettere a fuoco quella gigantesca questione
rimossa che è l'escalation demografica. Homo sapiens sfiora gli otto miliardi
di viventi. Eravamo un miliardo due secoli fa, due miliardi un secolo fa,
quattro miliardi mezzo secolo fa, negli ultimi cinquant'anni abbiamo
raddoppiato i ranghi. Le Nazioni Unite stimano il traguardo dei dieci miliardi
entro il 2080: significa che la crescita non è più esponenziale; è comunque
costante e impetuosa. Essendo ovvio che il nostro numero, seppure molte
varianti (tecnologia, economia, politica) possano mitigarne l'impatto
sull'ecosistema, è una componente decisiva del problema, è lecito domandarsi
come mai di questione demografica non si parli più. Incombe, ma è sfocata.
Pesa, ma non è misurata. Erano noti, nel passato, gli ostracismi soprattutto
religiosi nei confronti della contraccezione e di qualunque forma di
denatalità. Ma oggi? Oggi che molti tabù sono caduti o in bilico, almeno nel
mondo occidentale, perché non compare mai, nell'elenco delle questioni
importanti, anche il nostro esorbitante numero? È impopolare dirlo, che siamo
in troppi? È antipatico, perché incrina tutto il mieloso marketing
dell'ottimismo, che si regge sull'idea che a tutto e a tutti provvederanno
tecnologia e mercato? Comunque la si pensi, è una questione, quella della
superfetazione di noi sapiens, che messa fuori dalla porta rientrerà dalla
finestra. Tratto da “L’uomo che
parla alle querce” di Enzo Bianchi – già priore della Comunità monastica di
Bose – pubblicato sul quotidiano “la Repubblica” del 27 di settembre 2021: Sovente
la tradizione ebraico-cristiana è accusata di un esagerato antropocentrismo, le
cui vittime sono non solo gli animali ma tutta la Terra, sulla quale l'umanità
agisce da padrona assoluta, nella persuasione che la sua vocazione sia dominare
il mondo. D'altronde, una certa lettura della Genesi, prologo della civiltà
occidentale, per secoli ha autorizzato l'uomo a dirsi culmine della creazione. Il
cristianesimo del secondo millennio ha coltivato una fede acosmica e ha
concepito la natura, i vegetali e gli animali come il contesto della sua
affermazione. L'attenzione si è focalizzata solo sull'uomo. Tommaso d'Aquino
attesta: "Animali e piante non hanno una vita razionale, sono servi
secondo natura, fatti per l'uso da parte degli uomini". Per Cartesio gli
animali sono "macchine", ma sarà Schopenhauer a denunciare che
"per il cristianesimo è stato un errore aver separato l'uomo dal mondo
degli animali al quale appartiene, considerando gli animali solo cose". Le
ragioni sono tante, dalla paura del panteismo alla volontà di demitizzare ogni
creatura, ma così sono state depotenziate le responsabilità e la custodia della
Terra, vera madre misconosciuta dai terrestri. In verità, la Bibbia contiene
anche altri messaggi. E pone l'uomo, fin dall'inizio del mondo, in una comunità
di creature, come co-creatura che condivide con gli animali la somiglianza, la
solidarietà, lo spazio, la sofferenza e il ritorno alla Terra. L'uomo non
esiste senza il "suo" mondo e il mondo esiste come luogo e dimora
dell'uomo, degli animali e di tutte le creature vegetali e minerali. Perciò
l'uomo ha la vocazione a essere responsabile di tutte le creature, il loro
custode, rispettandole e mai dominandole. Né gli è stato dato alcun potere
arbitrario e assoluto, né facoltà di sfruttamento della Terra. Anche quando
all'uomo è concesso di cibarsi della carne degli animali, lo potrà fare nel
rispetto della vita, non cibandosi mai del sangue (kasher) che deve essere
restituito alla Terra, in attesa del regno messianico in cui non ci sarà più
violenza. Mangiare kasher è riconoscere che anche della vita degli animali non
si è padroni.Il mondo ha bisogno di rispetto e
solidarietà tra co-creature, anche se ciò che vediamo contraddice questo sogno.
Dobbiamo esercitarci alla conoscenza di tutti gli esseri, imparare la
contemplazione della natura e lo sguardo che sa vedere come tutti insieme
viviamo e ci salviamo. Se per paura dell'idolatria panteista abbiamo
desacralizzato la natura, il Vangelo ci dice che la speranza è "Dio per
tutti in tutti", in una compassione cosmica e comunione universale. Umani,
animali, vegetali e la Terra hanno una vocazione alla vita e una dignità che va
riconosciuta, nella consapevolezza che noi umani siamo responsabili delle creature,
le creature invece non possono esserlo per noi. Siamo inquilini e non padroni!
E gli animali sono nostri compagni di viaggio. Perché sono rari quelli che,
come Francesco d'Assisi, sanno parlare agli uccelli, ai fiori e alle querce?
"Non è l'uomo che deve battersi contro una natura ostile, ma è la natura indifesa che da generazioni è vittima dell'umanità".(Jacques-Yves Cousteau). "I nostri problemi ambientali originano dall'arroganza di immaginare noi stessi come il sistema nervoso centrale o il cervello della natura. Noi non siamo il cervello, siamo il cancro della natura".(Dave Foreman). "In nome di un progresso, l'uomo sta trasformando il mondo in un luogo fetido e velenoso. Sta inquinando l'aria, l'acqua, il suolo, gli animali...e se stesso,al punto che è legittimo domandarsi se, fra un centinaio d'anni, sarà ancora possibile vivere sulla terra ".(Erich Fromm)." La natura ci sfida ad essere solidali e attenti alla custodia del creato, anche per prevenire, per quanto possibile, le conseguenze più gravi ".(Papa Francesco). Grazie, carissimo Aldo, per questo post che mi ha consentito di tuffarmi in quel meraviglioso "panteismo" di cui sono tanto innamorata e di riflettere con immensa serenità sul mistero della vita e della morte. Buona continuazione.
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