"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi

"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi
"Il bruco" (2017). Nikon Coolpix P900. Foto macro. Stato larvale della falena diurna "Macroglossum stellatarum" volgarmente detta "sfinge colibrì".

lunedì 19 aprile 2021

Paginedaleggere. 13 «Sulla terra non potrà mai darsi equilibrio tra dolore e piacere finché esisteranno fratelli privi di diritto».

 

A lato. "Flipper" (08/05/2017). Foto di Eva Collica (dog sitter).

Ha scritto il “misterioso” Filelfo alla pagina 74 della Sua straordinaria “favola ecologica” “L’assemblea degli animali” (Einaudi, 2020, pagg.184, euro 15): “Nessun metodo, nessun esercizio umano possono eguagliare la naturalezza di un cane nello stare sempre sul chi vive. Che cos’è un corso di storia o filosofia o poesia, per quanto ben scelto, o cosa sono la migliore frequentazione o la più ammirevole pratica di vita, di fronte alla disciplina di guardare sempre ciò che deve essere veduto, fiutare ciò che deve essere annusato, fare ciò che deve essere fatto?

L’uomo l’aveva dimenticata e il cane, per quanto gli stesse accanto, non era mai riuscito del tutto a ricordargliela. Solo certi santi o mistici avevano intuito quell’obbedienza e prendendo a modello la devozione, l’equilibrio e la gioia del cane erano divenuti amici del loro dio come il cane lo era dell’uomo”. Dedicato a tutti i “Flipper” di questo consunto mondo. Tratto da “I segreti che gli animali ci sussurrano” di Filelfo, riportato sul settimanale “Robinson” del quotidiano “la Repubblica” di sabato 17 di aprile 2021: Anche per noi il 1789 fu l'anno della grande rivoluzione (dichiarazione dei “diritti delle bestie” del filosofo Jeremy Bentham n.d.r.). Ma non quella di cui abbaiano i fratelli quadrupedi francesi, sempre inclini a menare vanto della nazione gallica, come usa tra i bipedi e perfino tra i millepiedi di quelle contrade. Chi di noi non ha fissato la mascella quadrata di un bracco di Saint-Germain intenta a rimasticare la convocazione degli Stati generali, quell'assemblea dove più numerosi erano i senza pedigree, come da sempre lo sono tra le specie viventi, poiché è nel meticcio e nel molteplice che la natura ama nascondersi? O non ha annuito ai versi alessandrini con i quali un basset bleu di Gascogna, dall'animo libertario dei cadetti di lungo naso, fa festa al popolo sciamante nella sala della Pallacorda come gli animali sull'arca ai tempi del benefattore Noè? O chi di noi non ha subito il comizio di un dogo di Bordeaux, cittadino poco incline a scaldarsi quando non si tratti di presa della Bastiglia, cui ritiene aver dato ampio contributo considerate le pieghe del muso corrucciato, che, per aver fiutato tali e tanti odori in quei giorni, non è più riuscito a decidere quale espressione tenere? Sì, la delegazione canina fu partecipe della rivoluzione dei cittadini umani, come lo è sempre di tutto ciò che fanno. E però no, non furono gli eventi francesi che si tramandano da allora grifoni di Bretagna e pastori di Brie, bracchi borbonesi e segugi di Vandea, a segnare, nell'anno 1789, la nostra rivoluzione. Fu più silenziosa dei ringhi del terzo stato, più pacifica degli ululati dei sanculotti. Poiché noi, così pronti a fare cagnara all'approssimarsi di un pericolo, le cose che ci riguardano non andiamo ad abbaiarle in giro, come bene insegnava quel giovane pastore di greggi smarrite quando ammoniva a non suonare la tromba davanti a noi, come fanno gli ipocriti per essere lodati dai loro simili. Avvenne in Inghilterra e non in Francia. E forse non fu un caso, perché è laggiù, dove i cavalieri si confondono coi cavalli e i feudi desertificati dalle guerre della Corona sono popolati più di armenti di pecore che di greggi di umani, che noi bestie siamo state sempre più stimate. E non avvenne nel tumulto delle piazze, ma nello studio silenzioso di un quartiere orientale di Londra, dove un uomo di mezza età, chino sulle sue carte, cercava ispirazione per una formula algebrica della felicità umana. Non trovandola, faceva errare lo sguardo tra la candela, la finestra dietro il cui vetro ormai grigio la notte cessava e il mucchio di libri che un'ombra tronca dilatava sulla tavola opaca, certo che qualcuno ve ne fosse che non avrebbe mai letto. Il disegno di quel filosofo era ambizioso. Voleva dimostrare che la libertà universale inscritta nel motto dei suoi amici giacobini - liberté, égalité, fraternité - si poteva raggiungere senza violenza. Quante volte, fin dai tempi antichi, abbiamo visto le rivoluzioni finire nel terrore, i capipopolo divenire cesari e i popoli ingannati ritrovarsi più schiavi e infelici di prima? L'unico modo per evitarlo era fare sì che l'egoismo dell'interesse particolare e l'altruismo dell'utile collettivo coincidessero con naturale armonia in una sovrapposizione perfetta, che chiamava felicità pubblica, da cui nessuno fosse escluso. Ma come? Fu allora che i suoi occhi assonnati si posarono sull'eroe di questa storia: un piccolo terrier bianco delle Highlands, dal pelo arricciato come il merletto di una gorgiera. Un tratto tipico della famiglia dalla quale anch'io mi vanto di discendere, poiché fin dal primo antenato conosciuto, nel lontano Quattrocento veneziano, siamo stati ritratti ai piedi delle scrivanie dei filosofi. Così se ne stava lui, le zampe incrociate sotto il muso paffuto e baffuto, apparentemente addormentato non fosse stato per il fremito delle orecchie, pronto, come tutti noi cani, a scattare a ogni eventuale richiesta umana. Nel mondo, a perlustrarlo mentalmente di là dal buio della Discarica dei Cani oltre cui scorreva il fiume, rimuginava il filosofo mentre fissava i suoi occhi in quelli del terrier bianco, non esistono diritti naturali. Il cane ricambiava lo sguardo dell'uomo come se si sentisse chiamato. Stirandosi e sbadigliando, gli si avvicinò. Si sedette tutto impettito, come un magistrato in parrucca e jabot. Anche lo sguardo era quello non di un servitore ma di un tutore. L'uomo non era abituato ad averne - fin dall'età di tre anni si era istruito da solo - ma va detto che tra loro non c'era mai stato un cane, creatura che molto raramente abbandona il proprio riserbo per usare, come sta facendo ora il sottoscritto, in via del tutto eccezionale, la lingua dell'uomo. E così il cane parlò al filosofo. "Credi che la felicità universale sia racchiusa in una formula, che piacere e dolore stiano in un'equazione". Il cane fece una pausa per dare tempo al filosofo di riaversi dallo stupore. "Ma non ti accorgi che sulla terra non potrà mai darsi equilibrio tra dolore e piacere finché esisteranno fratelli privi di diritto", guaì, annusando l'aria in direzione della finestra, "che al mendicare un boccone ottengono solo calci e ingiurie? Quando non obbligati alla catena, schiavi costretti in ceppi?". "Ma io," - mormorò il filosofo, ancora incerto se stesse parlando tra sé o al piccolo giudice che lo squadrava con il naso umido e gli occhi lucenti - "sogno la fine della schiavitù. E l'abolizione delle punizioni fisiche, e un trattamento più umano anche per chi sta in ceppi". "Sei sicuro che umano sia la parola giusta?", abbaiò l'altro. "Sono un cane, nulla di ciò che è umano mi è estraneo e so che l'uomo è legato alla terra, come il suo nome, homo, ex humo". "Libereremo i servi della gleba e gli schiavi della terra. Perché l'uomo progredisce, si evolve, la ricchezza aumenta", balbettò il filosofo, "e crescendo il benessere non ci saranno più discriminazioni tra gli esseri umani...". Fu allora che il piccolo terrier si alzò sulle zampe posteriori rampando come una bestia araldica: "Esseri umani?", ululò. Gli occhi presero a fiammeggiare come torce. Parve grande come un alano quando rizzò il pelo ricciuto. Le orecchie appuntite sembravano quelle di un dèmone, mentre levava un latrato che mai l'uomo avrebbe pensato potesse uscire dal suo piccolo petto: "Ascolta il mio grido, filosofo, non nasconderti dietro ai tuoi cavilli. Svaniscono come fumo i miei giorni, ardono come brace le mie ossa, erba ingiallita è il mio cuore. Mi credi cane? Sono il pellicano del deserto, il gufo che strepita tra le rovine, il passero affamato che piange solitario sul tetto. Sono ogni bestia insultata che nutri di cenere, e l'acqua nella ciotola si mescola al pianto. Tu, umano, ti credi eterno. Ascoltami, filosofo che parli di terra: su di lei, che esiste dal principio, i tuoi simili periranno, logorandosi come un vestito che la terra dismette, e da lei svaniranno. Io, bestia, resterò, i miei anni non hanno fine". Cadde il silenzio. Il cane abbassò pelo e orecchie, si allontanò come nulla fosse e si accucciò ai piedi del fuoco. In quel momento, secondo il racconto che in seguito avrebbe reso il filosofo, una frotta di uccelli volò su per la cappa del camino, in un crepitìo d'ali che si confondeva con quello del fuoco e dei fogli che sulla sua scrivania sussultavano scompaginati come da un vento di tempesta. E dalla finestra sull'Houndsditch, che l'uomo con sorpresa vide aperta, balzarono via dorsi di animali che non avrebbe saputo nominare, grandi e piccoli, che svanirono nel buio. Finché anche le scintille del fuoco si posarono. Fu in quel momento che Jeremy Bentham estrasse un foglio dalla risma, lo piegò, prese la penna, la intinse nel calamaio, e scrisse le parole che sarebbero fiorite in quella che a buon diritto, credetemi, è la dichiarazione universale dei diritti di noi animali: "Verrà il giorno in cui tutte le altre creature animali acquisiranno quei diritti che nessuno, se non un tiranno, avrebbe dovuto negare loro. Un giorno si arriverà a riconoscere che il numero delle zampe, la villosità della pelle o la terminazione dell'osso sacro sono ragioni insufficienti per abbandonare al capriccio di un torturatore un essere senziente. Cos'altro dovrebbe tracciare la linea invalicabile? la facoltà razionale? o forse quella di discorrere? Ma un cavallo o un cane da adulti sono animali incomparabilmente più razionali e più articolati nella conversazione di un bambino di un giorno, di una settimana o di un mese. E anche supponendo che così non fosse, che mai conterebbe? La domanda da porsi non è: sanno ragionare?, e neppure: sanno parlare?, bensì: possono soffrire?". “Flipper”, venuto tra gli umani il primo di aprile dell’anno 2016, è il nome del mio cane, cosa dico “cane”, di un altro prezioso, affettuoso compagno di vita.

2 commenti:

  1. "Quando guardo negli occhi di un animale, non vedo un animale. Vedo un essere vivente. Vedo un amico. Sento un'anima".(A.D.Williams). "Se tu guardi negli occhi un cane, tutti i sistemi filosofici del mondo crollano".(L.Pirandello). "I cani non hanno che un difetto credono agli uomini".(Elian J.Finbert). Piacevolissima la lettura di questo post, ma veramente bellissimo e dolcissimo il tuo Flipper. È una meraviglia!

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  2. Amica carissima, grazie a nome di Flipper.

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