(…). Lo conosce, Renzi? “Certo. Un giovane molto intelligente, decisionista, svelto. Troppo svelto. La capacità politica si attenua molto negli impulsivi. Inoltre purtroppo è un uomo in perpetuo conflitto con chi pensa possa fargli ombra. È una debolezza grande. Di recente sono stato ai 90 anni di De Mita e si diceva: noi eravamo di correnti diverse ma ci rispettavamo, una volta vinceva uno una volta l’altro. Non c’era ostracismo dell’avversario interno: è assurdo, perché la ruota gira. Renzi ha fatto un errore mortale: eliminando tutti si è fatto tutti nemici. Aveva il 40 per cento e pensava che fosse suo: invece, ha visto, non gliene è rimasto in mano neppure la metà”.
Del Movimento 5 stelle cosa pensa? “Le dico una cosa che ho visto qui a Fabriano. Durante la campagna elettorale chi è andato nelle frazioni a parlare un po’ di politica sono stati solo i 5 stelle. Gli altri erano tutte congreghe che si parlavano e si promettevano voti tra loro. Il Movimento è stato quell’anima popolare che è andata tra la gente: hanno conosciuto le persone, hanno dato una presenza. Per far politica bisogna essere aperti, cordiali, curiosi”.
Di Berlusconi che opinione ha? “Lo conosco da tantissimo tempo. Era democristiano”.
Prima di essere socialista. “Sì. Noi con Forlani eravamo un po’ contro l’apertura a sinistra di Moro. Facemmo un convegno ad Ancona, e Berlusconi c’era. Ma poi anche dopo, da craxiano, con Forlani ha mantenuto rapporti di amicizia. Quando Arnaldo veniva in Sardegna, ospite di un amico mio, Berlusconi si invitava sempre a casa sua”.
Si invitava? “Diceva: vengo. Un tipo simpatico. E poi avevamo un aereo insieme”.
Un aereo? “Un aereo che era di Borghi, voleva venderlo e siccome mio fratello Vittorio lo conosceva, insomma, l’abbiamo preso Berlusconi ed io. Poi un giorno Berlusconi mi dice: sai questo aereo va bene però bisognerebbe valorizzarlo. Riverniciamo, cambiamo le poltrone, diamo una rimodernata. Ho detto: va bene facciamolo. E lui: ci penso io. Dopo un mese dice: è fatto, venitelo a vedere. È andato uno dei miei e quando l’ha visto è rimasto così. Berlusconi mi chiama e mi dice: allora, vi piace? Beh, sì bello, dico: ma ci hai messo lo stemma del Biscione”.
Com’è finita? “Si è tenuto lui l’aereo”.
Lei è molto legato a Prodi. “Siamo amici da tanti anni. Lui è stato consulente nostro dal 1971. Quando mio fratello Vittorio fece il discorso da presidente di Confindustria le idee e le parole erano di Prodi”.
Che spiegazione si è dato della sua mancata elezione al Colle: la congiura dei 101, il punto di svolta della politica di questi anni? “Ma è semplicissimo. I 101 – in verità qualcuno di più, glieli potrei elencare per nome e cognome uno per uno – erano per metà di Renzi e per metà di D’Alema. Si sono messi d’accordo: nessuno dei due voleva Prodi presidente della Repubblica, per motivi diversi. D’Alema pensava forse di farlo lui, e comunque non voleva che toccasse a Prodi per ragioni di rivalsa personale. Renzi capiva che con Prodi presidente la sua carriera politica sarebbe andata in ombra. Al giro successivo di nuovo, infatti non lo ha proposto neppure la seconda volta: ha portato Mattarella”.
È vero che Prodi ha fatto un tentativo di tenere insieme Renzi e D’Alema, prima del voto? “Sì. Ha parlato con Renzi e con Bersani, di cui è molto amico. Ha detto a Renzi: tu dici che non ti ripresenti e c’è l’accordo con LeU. Renzi ha risposto no”.
D’Alema non è stato rieletto. “Guardi. Io di D’Alema parlavo spesso con Ciampi. Sono stato ministro con lui e siamo diventati intimi. Veniva in Sardegna a casa nostra nel Ferragosto, passava una decina di giorni con la signora Franca, nuotavano tantissimo”.
Cosa dicevate di D’Alema? “Le racconto questo. Quando è caduto Prodi per un voto, la volta di Bertinotti, quella settimana si doveva fare il governo e D’Alema è andato a casa di Ciampi a Santa Severa. Carlo Azeglio mi raccontava: è stato tutto il giorno a dirmi tu lo devi fare, e io no, e lui a insistere, e io ma no. Alla fine Ciampi, insomma, ha detto sì. La mattina dopo è partito per Bruxelles e ha aspettato una telefonata. Non ha telefonato nessuno. Già nella notte successiva, dal lunedì al martedì, è uscita fuori la notizia: D’Alema presidente del Consiglio e Mattarella vice presidente”.
Capisco. “Eh. Sa, la politica la puoi fare solo nell’interesse di tutti, del Paese, dei cittadini: non la inganni, perché magari ti pare di aver fatto il colpaccio per te e poi quella – la politica – torna e ti viene a bussare. Possono passare anche anni, persino tanti, ma torna. Non perdona il cinismo. Se non si è in grado di andare oltre le questioni personali non si può fare politica. Guardi il quadro di questi giorni”.
Come le sembra l’orizzonte delle prossime settimane?
“Incerto. Molto è nelle mani del presidente della Repubblica. Quel che è sicuro è che in democrazia bisogna accettare le sconfitte e tenerne conto. Purtroppo c’è un grande problema di qualità delle classi dirigenti”.
Scarsa, intende dire. “Scarsa perché si scelgono persone scarse che così sono più malleabili. Un errore madornale che chi ha fatto impresa conosce a menadito. In politica è fatale per la qualità della rappresentanza, genera la sfiducia dei cittadini nelle persone a cui dovrebbero affidarsi e infine nel sistema intero. Nelle aziende ti porta al fallimento”. (…).
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