Tratto da “Tutte le altre parole che servono dopo aver detto ti amo" di Umberto Galimberti, pubblicato sul settimanale “D” del quotidiano “la Repubblica” del 22 di aprile dell’anno 2017: Se la razionalità della tecnologia prenderà il sopravvento, rischiamo di rendere superflua ogni sfumatura espressiva. Conoscere la natura è molto più facile che conoscere se stessi. Perché la natura è fuori di noi e possiamo esaminarla come un oggetto. Noi invece non possiamo guardarci dall'esterno come si guardano gli oggetti se non negando la nostra soggettività. La distinzione tra scienze della natura e scienze dello spirito introdotta da Wilhelm Dilthey (1833-1911) segna, oltre che la differenza tra i due tipi di sapere, anche il nostro limite in ordine alla conoscenza di sé.
"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi
giovedì 22 aprile 2021
Leggereperché. 77 «La psiche umana è anche un evento culturale, è quindi diversa da cultura a cultura e di epoca in epoca».
A lato. "Porto di Brixham" (acrilico, 2010) di Anna Fiore.
Quanto
all'inconscio, non è un cestino dei rifiuti e neppure una discarica. Non è un
sostantivo che designa una cosa, ma un aggettivo che denomina tutto ciò a cui
la nostra coscienza non presta alcuna attenzione. E ogni psicologia del
profondo attribuisce a questa inconsapevolezza le molte cose che la coscienza
non prende in debita considerazione. Eugen Bleuler, e dopo di lui il suo
allievo Carl Gustav Jung, attribuiscono all'inconscio tutte le possibili forme
d'esistenza che non si sono attuate e tutte le potenziali espressioni di vita -
da quella infantile a quella senile, da quella femminile per i maschi a quella
maschile per le donne, dall'ombra della nostra personalità alla creatività
dell'anima - in cui talvolta ci riconosciamo ma che il più delle volte
trascuriamo. Freud invece, sulla traccia di Schopenhauer, ritiene che sia
inconscio, fuori cioè dall'attenzione della nostra coscienza, il fatto che noi
siamo innanzitutto funzionari della specie che ci fornisce per un certo periodo
la sessualità per la procreazione e l'aggressività per la difesa della prole.
Siccome noi non ci rassegniamo a essere questo e nient'altro, viviamo a partire
dal nostro Io che inventa progetti, ideazioni, aspirazioni, sogni fino
all'ultimo giorno quando, inutili per l'economia della specie, questa, che ha
bisogno del ricambio degli individui, nella sua crudeltà innocente ci destina
alla morte. Siccome la psiche umana è anche un evento culturale, è quindi
diversa da cultura a cultura e, nell'ambito della stessa cultura, di epoca in
epoca. Oggi siamo nell'epoca della tecnica, che ha inaugurato quella ragione
strumentale che prevede il raggiungimento del massimo degli scopi con l'impiego
minimo dei mezzi, e perciò predica efficienza e funzionalità, mettendo ai
margini tutti quei discorsi e comportamenti che non rispondono a questi
criteri. La razionalità tecnica che regola le macchine, da quelle meccaniche a
quelle informatiche, tende a regolare anche il modo di pensare e di agire
dell'uomo, al punto che c'è chi afferma, e non a torto, che nel rapporto
uomo-macchina la guida è già passata alla macchina. Se non prestiamo attenzione
non tanto a quello che possiamo fare noi con la tecnica, quanto a che cosa la
tecnica può fare di noi, la razionalità tecnica finisce con l'abitarci
inconsciamente al punto che, anche nei rapporti d'amore, dopo che si è detto
"ti amo", si trova superflua e inutile ogni altra espressione.
Siccome l'uomo non è solo razionale, ma anche e soprattutto irrazionale,
teniamoci cara la nostra irrazionalità inconscia se vogliamo evitare di
diventare, a nostra insaputa, come le macchine. In questo caso la sorte che ci
attenderebbe non sarebbe dissimile da quella riferita da Günther Anders a
proposito di «un re che non vedeva di buon occhio che suo figlio, abbandonando
le strade controllate, si aggirasse per le campagne per formarsi un giudizio
sul mondo; perciò gli regalò carrozza e cavalli: "Ora non hai più bisogno
di andare a piedi", furono le sue parole. "Ora non ti è più
consentito di farlo", era il loro significato. "Ora non puoi più
farlo", fu il loro effetto». Introiettando la razionalità strumentale
propria della tecnica, vogliamo diventare come quelli che non sono più in grado
di dire una parola di più dopo che hanno detto "ti amo", giudicando
ogni altra espressione superflua, sovrabbondante e non funzionale, come prevede
il regime della razionalità tecnica?
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"Benché,senza dubbio, il pensiero creativo - come ogni altra attività creativa - sia inseparabilmente legato ad emozioni, è diventato un ideale pensare e vivere senza emozioni".(Erich Fromm). "Il senso di meraviglia è così importante per noi,perché precede la conoscenza, precede la cultura".(Louis Kahn). "La capacità di provare ancora stupore è essenziale nel processo della creatività".(Donald Woods Winnicott). "L'uomo per il quale non è familiare il sentimento del mistero, che ha perso la facoltà di meravigliarsi, è come un uomo morto o almeno cieco".(Albert Einstein). "La creatività è soprattutto la capacità di porsi continuamente delle domande".Piero Angela). "Creare è anche dare una forma al proprio destino".(Albert Camus). "Per artisti intendo anche tutti coloro che provano il bisogno e la necessità di sentirsi vivere e crescere".(Hermann Hesse). "Se creo qualcosa usando il cuore, molto facilmente funzionerà. Se invece uso la testa, sarà molto difficile".(Marc Chagall). Carissimo Aldo,come sicuramente puoi immaginare,ho trovato molto interessante e veramente piacevole la lettura di questo post.E non poteva essere diversamente, visto che pone in risalto uno dei più gravi pericoli cui l'umanità sarà sempre più esposta, se non riuscirà in qualche modo a difendersi dalla fredda razionalità della tecnica. Grazie e buona continuazione.
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