"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi

"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi
"Il bruco" (2017). Nikon Coolpix P900. Foto macro. Stato larvale della falena diurna "Macroglossum stellatarum" volgarmente detta "sfinge colibrì".

venerdì 23 aprile 2021

Leggereperché. 78 «Chi è custode della memoria se non la donna».

 

Scriveva Umberto Galimberti in “Vestali della memoria”, pubblicato sul quotidiano “la Repubblica” del 7 di giugno dell’anno 2003: (…). Chi è custode della memoria se non la donna, il cui ancoraggio alla natura, che al pari della donna è madre, la rende così solidale alla vita, da spingerla a ricostruirla là dove passa la potenza distruttiva degli uomini, il cui ancoraggio alla natura è davvero flebile e immemore rispetto al fascino che su di loro esercita, quel campo da gioco che è per loro la storia? Non la storia antica, che avendo parentela con l’origine e la nascita delle civiltà è evento femminile, ma con la storia di oggi, che, sradicata dalla memoria delle origini, è pura volontà di potenza. (…). Tratto da “Quanto pesano i secoli bui sulla emancipazione” di Umberto Galimberti, pubblicato sul settimanale “D” del quotidiano “la Repubblica” del 23 di aprile dell’anno 2016: L’ordine sociale si è sempre retto, dalla notte dei tempi, sull’esclusione delle donne. Per questo il maschilismo ha finito per apparire “naturale” perfino alle vittime. La natura ama nascondersi” diceva Eraclito e la donna, in quanto depositaria della specie, dall’origine dei tempi ha condotto una vita segreta quando non segregata. Gli uomini, liberi dalla procreazione e dalla cura dei figli, non hanno mai avuto una vera comprensione e un vero rapporto con la “natura” e perciò hanno inventato quel “teatro” che si chiama “storia”, dove hanno messo in scena le loro gesta e con le gesta la loro celebrazione. Relegata nella natura la donna ha occupato il posto che la cultura le ha assegnato, una cultura che, prodotta dell’uomo, è perciò stesso il territorio del suo incontrastato dominio. Anche la donna dispone di un potere assoluto: il potere di vita e di morte, simile al potere del Re, simbolo dell’ordine sociale prodotto dall’uomo. I due potere confliggono e nella pratica medioevale dello jus primae noctis, dove la donna in procinto di sposarsi doveva passare la prima notte col Re, i due potere si confrontano: ciò che accade non è tanto un evento sessuale quanto la subordinazione del potere della donna, depositaria della “riproduzione naturale”, al potere del Re, depositario della “produzione sociale”, il cui ordine si fonda proprio sul divieto alle donne di accedervi. E questo fin dai tempi in cui la donna, come riferisce Levi Strauss, era considerata “corpo=merce di scambio”, senza possibilità di emanciparsi, perché se si fosse sottratta allaa condizione di merce avrebbe interrotto la circolazione dei beni e quindi l’ordine di produzione su cui la società si fondava. Vivere nella società come esclusa, anzi come necessariamente esclusa onde consentire il mantenimento di un certo ordine sociale, espone inesorabilmente la donna alla violenza del maschio che, prima di essere politica, economica, sociale, sessuale, è “strutturale”. La struttura dell’esclusione come fondamento dell’ordine. Questo, come ci riferisce l’economista Muhammad Yunus, si vede ancora oggi nelle culture in cui vige un’economia di sussistenza, lo si vede nell’ordine sociale dei paesi mussulmani, e persino nei nostri paesi dove il patriarcato ha eretto, con qualche eccezione, la società fino alla Seconda Guerra Mondiale. Va da sé, a questo punto, che l’emancipazione della donna, il suo ingresso nell’ordine sociale non potrà avvenire ad opera del maschio, perché nessuno si fa sottrarre il potere che possiede e che, misurato sui secoli in cui è stato in vigore, finisce per apparire naturale, tanto agli occhi degli uomini che a quello delle donne (perché, come è noto e la storia ha sempre dimostrato, il potere non si basa tanto sull’esercizio della forza quanto sul consenso dei dominati alla subordinazione). Per convincerci basta pensare a quanta disapprovazione, non si sa se per invidia o per intima convinzione, suscitava l’odierna emancipazione femminile suscitava nei discorsi delle nostre nonne. O a quanto l’emancipazione disturbi l’atavica concezione che gli uomini hanno delle donne, racchiusa nell’aggettivo possessivo che fa dire: la mia ragazza, la mia fidanzata, mia moglie. Ovviamente vale anche il reciproco ma per la donna quell’aggettivo non risponde ad un bisogno di possesso, ma di protezione e di riconoscimento sociale che, per come è ancora strutturata la società, passa attraverso l’uomo. L’emancipazione femminile, cambierà la storia per come l’abbiamo fino ad oggi conosciuta. Ma nel frattempo, come in ogni cambiamento radicale, ci saranno vittime che temono le possibili ritorsioni se denunciano, e donne che, per una sorta di delirio di onnipotenza, pensano di poter cambiare il loro uomo sottoponendosi, in ciò alleate con il loro masochismo, a umiliazioni verbali, psicologiche, e fisiche che non distruggono solo la loro dignità, ma mettono in serio pericolo anche la loro vita. 

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