Non riesco proprio a trattenermi dal condividere la
straordinaria corrispondenza di Umberto Galimberti – “L’apatia dei giovani” - pubblicata sul settimanale “D” del
quotidiano “la Repubblica” del 24 di aprile ultimo. E la ragione di tanta mia
premura la ritrovo e la giustifico in una conversazione di qualche giorno
addietro durante la quale il mio interlocutore, commentando le ripetitive immagini
televisive, mi prospettava l’esasperazione, giunta ai limiti estremi, dei
nostri imprenditori a seguito della pandemia e delle restrizioni da essa
imposte per la tutela della pubblica incolumità e salute. Credo di avere
scandalizzato quell’interlocutore con la mia replica con la quale sostenevo che
da “che mondo è mondo” tutte le “attività di impresa” dovrebbero mettere
nel loro conto quello che un tempo andato si definiva “il rischio d’impresa”. D’altronde,
aggiungevo, anche l’”impresa del vivere” nel quotidiano non può in alcun modo scansarne
i rischi in essa insiti, e ricordavo come tanti capitani d’impresa del tempo
andato si siano ritrovati in grossissime difficoltà se non sul lastrico dopo
pandemie, guerre, eventi tellurici o catastrofi che non si sono mai risparmiate
dal segnare la vita degli umani, senza che gli Stati o i governi di quel tempo mettessero
in atto sussidi o ristori di alcun genere. Aggiungevo, a quello scandalizzato
interlocutore, che la canea che ha accompagnato i provvedimenti dei governi per
concedere “ristori” agli imprenditori, “ristori” ritenuti dagli
stessi fortemente insoddisfacenti, trovano – e non potrebbe essere diversamente
- la loro fonte economica nell’allargamento di quel debito pubblico che graverà
essenzialmente, se non esclusivamente, sui giovani di oggi e sulle generazioni
a venire. Le regole dell’economia, per quanto molto imperfette, trovano la loro
concretezza ed utilizzabilità nel fatto che le risorse finanziarie degli Stati –
ed in Italia particolarmente - e dei privati sono fortemente limitate, per la
qual cosa i “ristori” di oggi sono il risultato primo di economie e di finanze
non proprio floride, che esigono ed impongono pertanto limiti di spesa. È ciò
che esponevo, forse molto maldestramente, al mio basito interlocutore. La lettera
che di seguito riporto di Umberto Galimberti, per il suo notevolissimo spessore,
ridona conforto ed un po’ di sostegno al mio sghembo argomentare e ne giustifica
la decisione di una rapida sua – la lettera
- condivisione: Caro E***, lei non è depresso,
perché, anche se al pari del depresso vive l’insignificanza dell’esistenza, che
è poi la verità (…), lei, a differenza del depresso, questa insignificanza non
la trova dentro di sé come tratto tipico della sua personalità come accade al
depresso, il quale, senza nessuno sguardo rivolto al futuro, abita solo il
proprio “passato” che ha desertificato amori che non si sono radicati,
creatività estinte al loro sorgere, ricordi che non hanno nulla a cui
riaccordarsi, avvolto da quella solitudine che trova espressione nell’immobilità
marmorea del suo volto e nel suo silenzio che nessuna parola riesce a
perforare. Lei invece avverte l’insignificanza del suo “futuro”, da cui si sono
congedati anche gli ultimi residui della speranza. E le parole che alla
speranza alludono, le parole più o meno sincere che gli adulti rivolgono a voi
giovani, le parole che vi invitano a non rassegnarvi, le parole che insistono
nel prospettarvi un avvenire, le parole che promettono languono intorno a voi
come rumore insensato che tradisce la nostra insincerità e smaschera la
finzione e l’inconsistenza dei nostri incoraggiamenti. Voi giovani sapete che
non c’è gioia senza futuro, non c’è felicità nella successione dei giorni. Il sole
che muore è lo stesso che ogni giorno risorge e, nel cerchio perfetto che il
suo ritorno disegna, naufraga il progetto a cui per un giorno vi eravate
affidati per reperire un senso nella vostra vita. Diventate inevitabilmente apatici,
come lei dice, perché vedete troppa progettualità nello sguardo e nelle parole
degli adulti, troppa speranza che vuol seppellire la vostra malcelata disperazione,
che avvertite ogni volta che sporgete lo sguardo sul vostro avvenire. Io penso voi
ogni volta che i nostri governi fanno uno scostamento di bilancio per
soccorrere il “presente” di quanti, per via della pandemia, hanno perso parte
del loro reddito. E voi con i vostri lavori, al “presente” saltuari, precari, a
progetto, in affitto, che non vi assicurano neppure una decente pensione, come
farete a pagare i debiti che oggi gli adulti contraggono per il loro “presente”?
Sarà per questo che, con la solita ipocrisia, per i contributi europei, che
originariamente si chiamavano Next Generation, oggi, senza cancellare questa
nominazione, quando se ne parla, usano tutti l’espressione Recovery plan? Voi giovani
siete già stati dimenticati anche nel modo di chiamare il fondo europeo che
dovrebbe riguardare voi? Nella vostra apatia, alla quale, come lei dice,
neppure la parola “amore” riesce a sottrarvi, per chi ha uno sguardo forte e
non si proibisce di guardare in faccia il vostro disagio così evidente, è possibile
reperire le ragioni oggettive del vostro sconforto, che non può essere mascherato
da promesse e da programmi che alla fin fine non vi “ri-guardano”, perché innanzitutto,
con il gran parlare che si fa su di voi e il vostro futuro, nessuno davvero vi “guarda”.
Il prezzo da pagare per la vostra indifferenza, di cui non siete gli autori, ma
le vittime, non riguarderà solo voi, ma anche i vostri figli, se mai avrete la
possibilità di metterli al mondo, in una società dove troppi evitano di pagare
le tasse, dove la corruzione sembra essere la strada principale per ottenere le
cose, dove la mafia si inserisce in tutti gli spazi lasciati vuoti dallo Stato,
nell’indifferenza generalizzata, colpevole, questa sì, di generare la vostra sfiducia,
la vostra indifferenza, la vostra apatia in cui siete stati sospinti in modo
ineluttabile, e non per vostra scelta.
"Quello che ci capita non è sempre una scelta. Quello che facciamo con quello che ci capita è sicuramente una scelta".(Anonimo). "Nell'oggi cammina già il domani".(Samuel Taylor Coleridge). "Studia il passato, se desideri definire il futuro".(Confucio). "La maturità inizia quando si vive per gli altri".(Hermann Hesse). "Certe cose non si fanno per coraggio,si fanno solo per guardare più serenamente negli occhi i propri figli e i figli dei nostri figli".(Carlo Alberto dalla Chiesa). "Questo è il dovere del vecchio, essere ansioso nei confronti del giovane. E il dovere del giovane è di disprezzare l'ansia del vecchio".(Philip Pullman). Carissimo Aldo, ho apprezzato moltissimo questo interessantissimo e attualissimo post e mi piace ribadire quanto già espresso nel commento al tuo post del 25 febbraio scorso. Viviamo in una società di egoisti che, anche dopo una vita, non hanno, purtroppo, acquisito alcuna consapevolezza... e, ahimè, continuano a coltivare il loro misero orticello... Grazie, nella speranza che ci sia una risposta illuminata in quanti leggeranno. Buona continuazione.
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