A lato. "The dancer" (2021), acquerello di Anna Fiore.
Ha scritto il filosofo e
scrittore Gilles Lipovetsky – “L'impero
dell'effimero” (1989), in Italia edito da Garzanti; “Le bonheur paradoxal - Essai sur la société d'hyperconsommation” (2006)
edito da Gallimard -: Siamo alla ricerca di una felicità
paradossale. Comprare è un imperativo, un impeto, una sete: siamo tutti affetti
da iperconsumismo. Compriamo oggetti piccoli o ingombranti, costosi e
superflui, compriamo quello che abbiamo già, compriamo quello che possediamo.
Durante un viaggio recente in Brasile, ho visitato alcune favelas e ho visto
bambini, genitori e ragazzi che non si preoccupano di non avere da mangiare, ma
di non sembrare poveri: lottano per avere un logo da sfoggiare, un paio di
scarpe firmate, un telefonino, un'antenna parabolica. Con un marchio addosso si
sentono più forti, dimenticano le umiliazioni quotidiane. C'è una nuova società
dell'effimero e non c'è un modello teorico che la riguardi. Una volta c'era il
benessere anni '50, '60, '70. Adesso c'è un mondo che sembra un frappé, un
grande pasticcio, un eccesso di oggetti, logo, brand. La felicità è il
fondamento della società dei consumi: è questo l'obiettivo, ma chi è felice
oggi a trent'anni? I ragazzi cercano tutti esperienza, sensazioni, emozioni e
il consumo è lì, pronto, a portata di mano, è il mezzo per portare piccole
novità, frammenti di eccitazione, scosse infinitesimali che compensano i vuoti.
È la conseguenza di un mondo che ha democratizzato l'ideale di felicità, una
società individualista, dove io, lei, tutti ci sentiamo soli. E allora eccola,
la terapia: comprare, continuare a comprare. Trent'anni fa era tutto nuovo:
acquistare la macchina era eccitante, acquistare una macchina fotografica era
straordinario. E tutti eravamo più passivi: un solo canale televisivo, forse
due, tutti insieme al bar.
Tutto era un grande sogno, una novità, un punto di
rottura. Oggi c'è tutto, c'è troppo: mille soluzioni, mille canali. Siamo
troppo attivi, troppo stimolati. Ormai possediamo tutto, parliamo con tutti,
con il mondo intero via telefono, internet o con i blog. E questa passione per
i blog illustra la nuova società paradossale, in cui i giovani si vogliono
esprimere, cercano di dialogare tra loro e di dirsi delle cose. Insomma,
comprare non basta. Tutto è molto facile e accessibile, viaggiare, acquistare,
possedere. Ma senza religione, politica, passioni, i giovani individui sono
perduti e la conseguenza è una grande fragilizzazione e destrutturazione di
tutti i gruppi della società. Bisogna trovare nuovi modelli, modelli per i
giovani, modelli per i genitori in crisi. E il futuro è già tracciato, la via è
la "rivalorizzazione": no, non dico che tornerà l'ascetismo ma le
passioni, i grandi amori, quelli sì. Passione per la politica, passione per gli
altri, passione per il mondo. Il futuro è nella creazione di nuove passioni,
nel pensiero, nel sogno. L'uomo non è solo un consumatore. È un affamato di
passioni, e i consumi inutili in futuro diventeranno piccoli piccoli. Tratto
da
“L’illusoria nostalgia falsata dal
virus” della scrittrice siciliana Elvira Seminara, pubblicato sull’inserto
di Palermo del quotidiano “la Repubblica” del primo di aprile 2021:
Ma era
davvero l’età dell’innocenza? Era così bella e giusta la vita prima del virus? Perché
diciamo tutti, con languoroso sperdimento, di voler tornare alla normalità? Quella
normalità spesso fatta di noia e insofferenza, file in auto e al supermercato,
di relazioni fitte ma vuote, di serate piene di gente e confusione? Perché all’improvviso
scambiamo nel ricordo la folla con l’umanità, i convenevoli con l’affetto, il
caos con l’allegria? Eravamo davvero così sani, liberi e smascherati? No. Soffriamo
di nostalgia. Tutti. Canagliesca o mistica, agrodolce nostalgia. La nostra vita
precedente, ignara del virus e di ogni rischio, ci appare adesso, vista da qui,
incontaminata e fanciullesca. Ma non è vero che eravamo
felici. È un difetto di prospettiva. Eravamo solo inconsapevoli, assuefatti. Ci
muovevamo nel mondo distratti e onnipotenti, convinti che il sole facesse il
suo giro guardando noi in terra, su e giù, e tutto scorresse nella schiuma dei
giorni come i fiumi e le galassie, per miracolo dovuto. Spesso rissosi, frustrati,
rancorosi e insofferenti. Euforici, e spesso pieni di progetti, ma non felici, non
grati. Chi se lo aspettava che le nostre piccole ma strutturate biografie, e l’intero
mercato, e sistema sociale, potessero frantumarsi così da un giorno all’altro? Eravamo
ingenui, fiduciosi. E insieme tronfi e supponenti, mentre sui media l’unico
allarme, agitato come uno spettro regolare, appariva l’arrivo dei migranti. Era
lì, in quei barconi stipati, che condensavamo, aggirandola o mascherandola,
ogni paura. Del nuovo, del rischio, del contagio della civiltà. Erano il nostro
parafulmine, per convogliare rabbia e scontento. (…). Frammenti e lampi di vite
pregresse. Tutti i film, la sera in Tv, diventano trappole di malinconia, o di
istintivo allarme, meraviglia, con quelle scene di insieme, e di vita perduta (…).
Questa parola: tempo. Già da sola, a pensarla, ti commuove. Non l’avevamo mai
pronunciata tanto, in una vita intera. Il tempo sospeso del primo lockdown e il
tempo rappreso sella seconda ondata, la corsa contro il tempo, il tempo di
contagio. Il tempo della cura, della vita vaccinata. L’età ha smesso di essere anagrafe,
diventa un tempo che può scadere anzitempo, di cui non sei più il solo
titolare, custode o testimone. All’improvviso il tempo umano e quello della
natura non ci sono più apparsi allineati come credevamo, né addomesticati come
ti illudevi. Mentre noi ci ammalavamo, la natura depurata rifioriva. Il nostro
mare, più azzurro, si ripopolava di pesci e l’aria illimpidiva. Mai vista così
smagliante, purificata la Sicilia. (…). Nostalgia secondo l’etimo è proprio il
dolore (algos) legato a un ritorno (nostos), difficile o forse impossibile se non
nel cuore. Il più mitico e glorioso nostalgico che ha solcato il nostro mare è
Ulisse, che fra le onde di Acitrezza scansa i faraglioni scagliati da Polifemo.
Lui pensa a Itaca e piange di nostalgia, ma non lo sa. O almeno non sa, perché
non poteva saperlo Omero, che puoi chiamarla nostalgia. (…). Sarà che il futuro
ci appare confuso? È per questo che ci rivolgiamo al passato, molto più certo e
conosciuto? Comunque sia, se il ritrovato amore per il prossimo servirà a farci
sopportare meglio, senza invettive e gomitate, le file nei negozi e (speriamo)
anche in cinema e teatri, le panchine tutte occupate dei giardini e i vicini
vocianti nell’ombrellone accanto, se il rimpianto di piazze e parchi ci indurrà
a praticarli con più cura a gratitudine, allora ben venga la nostalgia. Che poi
fa rime con poesia, non solo con pandemia.
"Non dire mai che i sogni sono inutili, perché inutile è la vita di chi non sa sognare".(Jim Morrison). "Il sogno è quello che ti impedisce di addormentarti".(Abdul Kalam). "Fai della tua vita un sogno, e di un sogno, una realtà".(Antoine-Marie Roger De Saint-Exupery). "I sogni sono come conchiglie che il mare ha depositato sulla riva. Bisogna raccoglierle e ascoltare la loro voce".(Romano Battaglia). "Sognate! I sogni plasmano il mondo. I sogni ricreano il mondo".(Neil Gaiman). E,come i semi che sognano sotto la neve, il vostro cuore sogna la primavera. Fidatevi dei vostri sogni, perché in essi è nascosto il passaggio verso l'eternità ".(Khalil Gibran). Carissimo Aldo, spero tanto, anche io e con tutto il cuore, che questa dolorosa esperienza della pandemia generi nell'umanità una "nostalgia" del tutto nuova, una nostalgia che non alimenti un ritorno al consumismo, ma un forte desiderio di poesia e di sogni che sempre si accompagnano alle passioni grandi e forti, a quelle vere! Grazie per questo stupendo post che viaggia sulla stessa lunghezza d'onda del mio sentire più autentico. Buona continuazione.
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