“Verso il 25
aprile: la Resistenza delle donne, di ieri e di oggi, per continuare a essere
libere” - letto sul sito (21 di aprile ultimo) de “ilfattoquotidiano.it” su cortese segnalazione dell’amica Agnese A.
- di Michela Ponzani - storica, autrice e conduttrice televisiva di programmi
culturali per Rai Storia -: Si avvicina il 25 aprile e a dispetto del
linguaggio bellico utilizzato nell’ultimo anno di pandemia (cominciò l’ex
commissario straordinario Domenico Arcuri quando disse che il Covid aveva fatto
più morti in Lombardia che i bombardamenti durante la seconda guerra mondiale),
forse vale la pena ricordare che la Resistenza non è stata solo un affare
maschile-militare. Nella guerra totale che, fra l’autunno del 1943 e la
primavera del 1945, investe le popolazioni civili, sono soprattutto le donne a
resistere e combattere. Rimaste sole con i mariti al fronte, dispersi o
catturati come prigionieri di guerra, le donne diventano protagoniste di una
Resistenza senz’armi, fatta di piccoli-grandi gesti di sopravvivenza
quotidiana. Oppresse tra fame, solitudine e abbandono, corrono nei rifugi per
salvare la vita dei figli, durante i bombardamenti; sopportano il freddo da
sfollate, fanno la fila per il pane sperando, ogni giorno, di riuscire a
sfamarli. Staffette per il trasporto di armi, cibo e medicinali, o combattenti
nelle bande partigiane che operano in montagna e in città, le donne rischiano
di essere fermate ai posti di blocco tedeschi, di cadere nella rete delle spie,
di finire nelle camere di tortura della polizia fascista, dove lo stupro è
liberamente usato per estorcere confessioni. Bersagli strategici dei nazisti e
dei militi della Repubblica sociale, sono le donne a scontare con maggiore
crudeltà una strategia terroristica fatta di stragi e rastrellamenti, di
incendi a paesi e villaggi; di fucilazioni e torture sui corpi dei prigionieri
politici. Ma nella disperata lotta per la sopravvivenza, le donne decidono di
non essere più vittime. E si ribellano a quella cultura di guerra che usa lo
stupro come arma per umiliare il nemico sconfitto, riducendo il corpo femminile
a bottino e preda degli eserciti (occupanti o liberatori). Le memorie taciute
delle donne raccontano storie di coraggio e di rivolta. E come ho ricordato in
Guerra alle donne (Einaudi), ciò vale soprattutto per gli stupri di massa,
compiuti dalle truppe marocchine e algerine nella primavera-estate del 1944 e
le violenze subite dalle donne costrette a prostituirsi nei campi bordello,
costruiti dall’esercito tedesco dietro la linea Gotica. Veri e propri tabù
nella memoria nazionale e nel senso comune dell’Italia del dopoguerra. La lotta
partigiana delle donne è quindi una guerra di liberazione anzitutto contro la
criminale violenza nazifascista; ma è anche una scelta di libertà. Una guerra
privata, combattuta per l’emancipazione dalle discriminazioni e da ogni forma
di subalternità sociale e culturale. Per le donne, la Resistenza è un atto di
disobbedienza radicale; uno strappo definitivo con la società patriarcale, la
liberazione dall’educazione fascista improntata al rispetto delle gerarchie
fuori e dentro le mura domestiche, che le condanna ad essere la “pietra
fondamentale della casa, la sposa e la madre esemplare”. Che non permette
d’iscriversi alle facoltà scientifiche e considera irrazionale la mente
femminile, perché “il genio è maschio”. Ma perché oggi una ragazza dovrebbe
appassionarsi a vicende che hanno più 70 anni? Al di là di discorsi ingessati o
retorico-celebrativi, forse la risposta sta nel fatto che quelle storie – con
le emozioni, le paure, i tormenti che segnano la scelta partigiana, dolorosa e
carica di responsabilità – continuano a parlare al nostro presente. Perché se
oggi il destino delle donne non è più quello di stare a casa e di lasciare
tutto il mondo agli uomini, è grazie alle ragazze che hanno combattuto la
dittatura fascista, rinunciando alla spensieratezza della gioventù. E che nel
dopoguerra hanno continuato a battersi, affrontando discriminazioni
insopportabili. “Donna partigiana, donna puttana” si sentì dire Carla Capponi,
medaglia d’oro al valor militare, durante un dibattito alla Camera da alcuni
deputati della destra postfascista, con tanto di inequivocabili gesti osceni. E
Marisa Rodano (che ha da poco festeggiato i 100 anni) ha raccontato che “negli
anni ’50 le carceri erano piene di adultere”. Il marito poteva spedire la
moglie in galera, se questa aveva una relazione con un altro uomo. Fortissime
erano poi le disparità nella sfera domestica e professionale: le donne non
potevano divorziare o interrompere una gravidanza, né diventare giudici o
poliziotte perché troppo fragili. Persino ucciderle non era così grave: la
legge, concedeva le attenuanti se un uomo, per ragioni di onore, uccideva la
moglie, la sorella o la figlia (il delitto d’onore sarà abrogato solo nel
1981). Altre norme permettevano di picchiare la moglie per correggerne il
carattere e giustificavano lo stupro se seguito da un matrimonio riparatore
(solo nel 1996 diverrà reato contro la persona e non contro la morale). Le
ragazze della Resistenza lasciano dunque il testimone alle generazioni future.
Non scorderò mai quella studentessa di liceo che trovò il coraggio di parlare
delle violenze subite in famiglia, dopo aver letto il diario di una partigiana.
Le venne il desiderio di diventare una donna libera (disse proprio così).
Grazie al movimento #MeToo, abbiamo squarciato il velo d’ipocrisia sugli abusi
e le molestie sessuali (non solo nel mondo dello spettacolo) e abbiamo più
coraggio nel denunciare gesti e parole di offesa, urlate o allusive. E possiamo
dichiarare, senza il timore di essere considerate pazze o esagerate, di non
sopportare più allusioni sessuali non richieste (in ufficio, a un colloquio di
lavoro o all’università), o di vederci sminuite nella nostra professione; come
quando la dottoressa che ti visita in ospedale viene definita signorina. Ma
l’emergenza Covid-19, che ci ha rintanate in casa, ha visto aumentare i
femminicidi. Perché quando si è fragili e abbandonate a una vita di isolamento
e degrado, è proprio la famiglia a trasformarsi in un’orrenda prigione. E ci
arrivano come macigni le notizie di uomini che odiano e ammazzano le donne:
“buoni padri di famiglia” che uccidono per “troppo amore”; uomini “per bene”
travolti da un raptus perché “lei voleva lasciarlo”. E allora festeggiamo
questo 25 aprile con le parole che Marisa Ombra,
staffetta nelle brigate Garibaldi ha dedicato a tutte noi. “Siate partigiane,
per essere libere sempre”.
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