A lato. "Movimento di danza", penna ed acquerello di Anna Fiore (2021).
Ha scritto Marcello Benfante in “Cattivi pensieri sulla scuola di un insegnante meridionale” – riportato nel capitolo VII del mio volume “I professori” (AndreaOppureEditore, 2006) – che “dopo cicliche delusioni, amarezze, disillusioni, riscopro, altrettanto ciclicamente, che il mio lavoro mi piace e che non vorrei farne altri. Mi piace rispondere alle domande degli studenti (detesto invece farle). Mi piace ammettere di non saper rispondere (ho imparato da poco a non vergognarmene).
Mi
piace sollevare problemi, scatenare discussioni, arbitrare dibattiti, essere
trascinato in diatribe. Mi piace una scuola che parla. Che si scalda per una
questione. Mi piace mettere ordine in una classe incustodita che fa chiasso e
accorgermi che in realtà mi piace il chiasso. Che scuola sarebbe se i ragazzi
non facessero baldoria? Mille cose mi piacciono della scuola. Quasi tutte hanno
a che fare con gli alunni. Quasi nessuna con i colleghi e con gli adulti in
generale. É il peterpanismo, lo so. Mi rifiuto di crescere. Sto bene solo con i
ragazzi. Mi entusiasmo con loro a rileggere Verne o “L'isola del tesoro”. Non sarò mai abbastanza
grato nei confronti di questo lavoro che mi consente di continuare a tessere
rapporti con i miti e gli eroi di quando ero io ad essere un ragazzo (con,
purtroppo, insegnanti troppo seriosi). Talvolta mi sorprendo a pensare, in un
semiserio delirio egocentrico, che la mia scuola ideale è formata da una sola
classe, la mia, e da un solo docente: io. Ma a questa scuola mancherebbe
proprio la scuola, questo contenitore pulsante, questo scatolone in cui
contemporaneamente si svolgono mille attività e c'è chi legge, chi scrive, chi
disegna, chi calcola, chi parla, chi recita, chi ascolta, chi pensa ad altro,
chi ripassa la lezione, chi risolve un problema, chi sbaglia un'operazione, chi
consulta il dizionario, chi copia l'esercizio, chi domanda, chi risponde, chi
gioca a palla in palestra (quando la palestra c'è), chi suona il flauto, chi
modella la creta. Non invano suonava l'odiosa sirena. Non c'è opificio più
alacre della scuola”. Ho scelto il brano di Marcello Benfante come
“prologo” allo scritto di Gustavo Zagrebelsky “Il segreto di una lezione senza noia” - pubblicato ieri, 19 di
aprile, sul quotidiano “la Repubblica”, di seguito riportato -, poiché in esso
ritrovo, dopo tanti e tanti lustri, quella Scuola che Gustavo Zagrebelsky
individua essere necessaria, più che mai, ancor oggi, alla crescita delle
giovani generazioni: Segniamo fin dall'inizio queste due parole:
trasmissione e escursione: due modi d'essere di professori e studenti che
s'incontrano nella lezione. Un tema importante e problematico sempre e
specialmente oggi quando le necessarie cautele sanitare hanno rimesso in
discussione pratiche e abitudini didattiche inveterate. Questa è la sfida dal
cui esito dipenderà che cosa i professori e gli studenti saranno nel prossimo
futuro. Etimo. Spesso l'etimologia è un buon ingresso in territori appiattiti
dall'uso. Lezione - lectio - legere provengono dal greco légo che, prima che
con la lettura ha a che fare con l'atto di raccogliere, radunare, mettere
insieme e non a casaccio, ma selezionando. "Mettere insieme" che
cosa? Non certo parole in libertà, ma discorsi con un senso. Rivolti a chi? Non
a un singolo, ma a un uditorio. Nella lezione è implicito il carattere pubblico
della parola che si rivolge a persone che si sono "raccolte" con lo
scopo di partecipare a "quella" lezione. Per questa ragione, la
lezione si svolge in luoghi circoscritti e protetti dallo strepitus fori e
inizia "facendo silenzio" dentro ciò che chiamiamo aula, non un luogo
qualsiasi circondato da quattro muri, ma luogo - anche qui, secondo etimologia
- dove spira un venticello di libertà. Trasmissione. La prima parola segnalata
è trasmissione: trasmissione da chi sa a chi non sa. Ma, se si riducesse a ciò,
il suo prodotto di successo sarebbe il "dotto filisteo" di cui
parlava Nietzsche: sa tutto ma è schiacciato dal peso delle "nozioni"
e non capisce niente. La trasmissione - il sacco da riempire - è un passaggio
tra due lati, uno attivo e l'altro passivo. Così intesa, la lezione, non solo è
mortifera in ogni senso della parola; ha anche una funzione omologante:
plasmare la mente di chi segue secondo la mente di chi precede. L'istruzione
nei regimi che mirano a creare "l'uomo nuovo" conforme a un ordine
politico (i regimi totalitari) concepiscono la lezione in questo modo:
controllo ideologico degli insegnanti, programmi elaborati dall'alto, libri di
testo approvati dal "ministero", titoli di studio come certificati di
avvenuta omologazione. In breve: la lezione come trasmissione mira a produrre
replicanti. Digressione. La seconda parola: digressione, nel nostro contesto,
significa non divagazione ma diversione o sconfinamento. Per chiarire il
significato della lezione come digressione, mi avvalgo dell'immagine del tram e
della passeggiata utilizzata da Pavel Florenskij, mistico, scienziato del
permafrost, grande didatta, ucciso da Stalin nel 1937 non perché membro della
dissidenza politica, ma perché fascinoso professore che aiutava a pensare. Nel
1917, Florenskij spiegava in questo modo la sua concezione, diciamo così,
"digressiva" della lezione (La lezione di una lunga passeggiata):
"Il libro di testo è come un piano di lavoro per giungere a un risultato,
una pianta topografica che indica un percorso, una di quelle che si tengono in
mano quando si compie una gita di cui si conosce solo il punto di partenza e il
punto d'arrivo. Il testo non cresce, è fatto da pezzi messi insieme,
preconfezionati". La lezione, invece, non procede in linea retta:
"Non è un tragitto su un tram che ti trascina avanti inesorabilmente su
binari fissi e ti porta alla meta per la via più breve, ma è una passeggiata a
piedi, una gita, sia pure con un punto finale, la meta, senza avere, tuttavia
un'unica esigenza, un'unica finalità: arrivare alla meta". Professori e
studenti. Il professore, come gli studenti, nella passeggiata della lezione è
anch'egli alla ricerca, è mosso dalla curiosità, dal pensiero improvviso, dal
desiderio di fare una pausa e formulare a se stesso una domanda alla quale,
forse, non aveva in precedenza pensato. Ammettere una lacuna, un'imperfezione,
una dimenticanza, perfino un'ignoranza, non è forse il modo più degno di
rendere omaggio alla scienza che il professore ha scelto come professione e di
mostrare, di fronte al proprio oggetto, l'umiltà che è il contrassegno d'ogni
persona di scienza? La lezione è un momento non "informativo" (per questo
basta il libro di testo), ma - dice Florenskij - piuttosto
"fermentativo", ricco della soddisfazione, se non di scoprire cose
nuove, almeno di toccare con le proprie mani e con la propria mente cose, anche
se sono già state fatte e dette innumerevoli volte. E c'è la prova della
differenza che separa la mera trasmissione di materia dalla accensione delle
menti: la noia. Che gioia, invece, quando all'inizio l'aula è distratta, se non
ostile, e, a un certo momento s'accende d'interesse, fa silenzio senza che lo
si chieda, e incominciano le reazioni: quelle reazioni di cui il buon
professore non può fare a meno. Esami e voti. L'esame, così com'è concepito, è
qualcosa di assurdo e di degradante. Se dell'insegnamento si ha una concezione
"materiale", l'esame deve accertare quanta materia è passata dal
professore o dal libro di testo alla testa dell'alunno. Il voto è il risultato
della "pesa" di tale materia. Se fosse così, dovremmo premiare chi sa
tutto e, magari, non ha capito niente. Dopo tanti anni d'insegnamento sono
giunto a considerare la necessità di abolire l'esame così come spesso è. E
tuttavia non può essere abolito tout court. Ma, se ricordiamo la distinzione
tra materia e spirito, così importante nelle professioni intellettuali,
dobbiamo trarre la conseguenza che l'esame deve accertare primariamente se il
tempo dedicato allo studio ha o non ha alimentato lo spirito, l'ha o non l'ha
messo in movimento. Se questo genere di accertamento è lo scopo dell'esame, si
comprende quanto sia assurdo il voto. Ma, se invece si deve accertare se la
scintilla è scoccata e se l'interesse è stato suscitato, allora ci sono solo
due possibilità: o sì o no. Non può essere che sia scoccata poco o molto. In
presenza - A distanza. Oggi, complici i confinamenti in casa, la lezione
rischia di perdere i suoi caratteri più fecondi. Innanzitutto, i professori e
gli studenti a tu per tu con uno schermo sono collocati, volenti o nolenti, in
uno spazio asettico nemico delle contaminazioni. Le contaminazioni sono
pericolose per la salute fisica, ma sono feconde per la salute mentale. Per di
più, rischia di ridursi a una comunicazione da uno a uno che può essere
"scaricata" dove e quando si vuole: "scaricata" rende bene
l'idea della conoscenza come materiale di trasporto. L'idea della scuola e,
nella scuola, della lezione come esercizio di socialità a partire da interessi
comuni, lo si vede a occhio nudo, è esposta a rischio d'estinzione. La lezione
a distanza consente anche agli studenti che, per i più vari motivi, sarebbero
esclusi dalla frequenza alle lezioni "in presenza". Ma occorre
vegliare affinché l'uguaglianza, che è un grande obbiettivo anche, forse
soprattutto, nel campo della scuola, non si traduca in livellamento verso il
basso e, soprattutto, non riduca il rapporto tra gli insegnanti e gli studenti
a un rapporto fittizio, inanimato, noioso. Se c'è cosa che più di tutto
dimostra il fallimento della scuola è la noia. (…).
"Prima di tutto si devono gettare nella mente dei ragazzi i semi dell'interesse. Non tenere conto di questo imprescindibile principio è come progettare una casa senza pensare alle fondamenta".(Maria Montessori). "La scuola dovrebbe avere come suo fine lo sviluppo dell'attitudine generale a pensare e giudicare indipendentemente".(Albert Einstein). "L'educazione non è solo acquisire competenze tecniche, ma il comprendere con sensibilità ed intelligenza l'intero problema del vivere. La scuola è un posto dove imparare la totalità, la pienezza della vita".(Jiddu Krishnamurti). "L'insegnante è una persona alla quale un genitore affida la cosa più preziosa che possiede,suo figlio:il cervello. Glielo affida perché lo trasformi in un oggetto pensante. Ma l'insegnante è anche la persona alla quale lo Stato affida la sua cosa più preziosa:la collettività dei cervelli, perché diventino il paese di domani ". (Piero Angela). " Se guardiamo indietro,apprezziamo gli insegnanti brillanti, ma ricordiamo con gratitudine coloro che hanno toccato i nostri sentimenti. Il curriculum è una materia prima necessaria, ma il calore umano è l'elemento vitale per la crescita dell'anima del ragazzo".(Carl Gustav Jung). Grazie, carissimo Aldo, per questo post molto interessante e stimolante,che certamente è stato e sarà molto apprezzato, soprattutto dai docenti consapevoli e appassionati del proprio lavoro. Buona continuazione.
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