“Sono Una Donna, Sono Una Madre, Sono Cristiana” (Giorgia Meloni). Ha scritto Giovanna Vitale in “Meloni dimentica Antigone”, pubblicato sul quotidiano “la Repubblica” dell’11 di marzo 2023:
Aveva una grande occasione davanti a sé, Giorgia Meloni. Scegliere
quale parte recitare, tra Antigone e Creonte, nell’immane tragedia dei
migranti. Dinnanzi all’eterno dilemma morale fra legge divina e legge umana - tra
pietas e pandette - poteva far prevalere la prima, accogliendo l’appello del
sindaco di Crotone a guardare con occhi di madre i cadaveri dei bimbi annegati:
l’ultimo recuperato (…), aveva solo sei anni. Oppure aggrapparsi ai codici
inaspriti dalla feroce campagna della Lega, alleato ostile di cui tuttavia non
può fare a meno. Un bivio che per giorni l’ha fatta pericolosamente oscillare
fra pugno duro e compassione, fra la spinta securitaria di Matteo Salvini e
l’urlo dolente di Papa Francesco. Certo, se avesse optato per Antigone, la
strada sarebbe stata più impervia. Nella mitologia greca la giovane figlia di
Edipo sfida il potere e sacrifica la vita pur di assicurare al corpo del
fratello la sepoltura che il re di Tebe non vuole concedergli perché così è
stabilito per i traditori. E Polinice lo è, ha decretato il tiranno Creonte,
poiché - defraudato del suo diritto ereditario - ha mosso guerra contro la
città natale. Ma la sorella si oppone, in nome di quelle leggi non scritte che
invocano dal cielo pietà e giustizia per i morti, e dovrebbero avere la meglio
sul resto. È l’antinomia fra due principi entrambi legittimi, che entrano in
collisione tra loro. Lo scontro tra due avversari che sono sullo stesso piano:
Antigone difende le leggi degli dei, le leggi naturali, la famiglia. Creonte
quelle dello Stato, che superano e assorbono tutte le altre. Ebbene, nel
tentativo funambolico di tenere insieme una compagine di governo attraversata
da forti rivalità e al tempo stesso scongiurare la rottura sentimentale con un
Paese scosso dalla strage sul versante jonico calabrese, la presidente del
Consiglio si è rifugiata in un compromesso impossibile: balbettando al cospetto
di una verità indicibile, il fallito salvataggio di centinaia di persone
ammassate su un caicco in balia della tempesta; sfregiata dal lancio di peluche
che è il giocattolo dei figli perduti in mare, ha preferito incarnare
l’autorità che tutto decide e poco o nulla concede. Aprendo sì un varco per le
moltitudini in attesa di sbarcare in Italia per costruire un’esistenza
migliore, ma stringendo le maglie sulla protezione umanitaria, che è spesso
l’unica via di redenzione per chi scappa da guerre, fame e disperazione. Oltretutto
macchiandosi di un peccato d’omissione destinato a pesare: scansare l’omaggio
alle vittime e ai loro familiari, a cui avrebbe dovuto spiegare com’è stato
possibile che in una gelida notte degli anni 20 del Duemila un presagio di
speranza sia mutato in viaggio senza ritorno. Le è mancato il tempo, si è
giustificata al termine del Cdm: (…). Dopo il prolungato silenzio e la mancata
visita a Cutro nell’immediatezza del dramma - una plateale assenza delle
massime istituzioni, colmata dalla struggente presenza di Sergio Mattarella - Meloni
non ha saputo far altro che metterci una toppa: allestire una passerella per ministri
e auto blu, senza offrire uno straccio di risposta sulle cause del naufragio e
soluzioni all’altezza dell’epocale questione migratoria. Non ha trovato il
coraggio di frenare un partner, Salvini, pronto ancora una volta a giocare
sulla pelle dello straniero la sua riscossa elettorale. Né ha avuto l’audacia
di smentire sé stessa, l’eccessiva severità di quand’era all’opposizione, per
dare ascolto e accoglienza ai diseredati in fuga, abbandonando alla sorte che
merita un capo del Viminale palesemente inadeguato. Ha scelto la “legge del
sovrano”, abbinata alla solita polemica contro l’Europa matrigna: chiusa nelle
sue idee, gelosa della propria immagine, timorosa di apparire debole di fronte
agli italiani - e ai leader dell’estrema destra continentale - conquistati a
suon di «è finita la pacchia». Eppure sarebbe bastato rileggere Sofocle per
scacciare ogni dubbio. Quando Antigone spiega a Creonte perché ha disobbedito,
la ragione per cui nessun editto può avere la forza di “trasgredire le leggi
non scritte e incrollabili degli dei”, dice qualcosa che la prima premier donna
farebbe bene a tenere a mente. Sempre. Non solo davanti ai bambini affogati, ai
sopravvissuti rimasti senza più madri né padri, agli uomini e alle donne che si
sono privati di tutto pur di dare un futuro ai figli. Dice Antigone al
dittatore che le contesta il tradimento del fratello: “Non sono nata per
condividere l’odio, ma l’amore”. Ecco, sarebbe stato sufficiente un po’ di
cuore, saper distinguere fra bene e male, farsi guidare dall’etica come faro
della Repubblica per non smarrirsi nelle brume dell’ignavia o, peggio, della
cattiva coscienza che le hanno fatto perdere la rotta. E con essa il consenso
del “popolo di Cutro” che (…) si ritroverà su quella spiaggia per dare
sepoltura simbolica ai morti: là dove Creonte non s’è visto, ci sarà Antigone a
invocare verità e giustizia. Perché Antigone siamo tutti noi. Di seguito,
“Se la madre non è buona” di Claudia
de Lillo pubblicato sul quotidiano “la Repubblica” di ieri, 23 di marzo: Cos'è
la maternità? Un miracolo? Un fatto, come tanti, della vita? Un destino biologico?
Una libera scelta? Giorgia Meloni è una madre. Lo ricorda spesso, lo ribadisce
volentieri. Brandisce un giorno la sua maternità in Senato, come un alibi
catartico, parlando dell'evitabile tragedia di migranti. «Sui fatti di Cutro la
mia coscienza è perfettamente a posto.... Io sono una madre, sono una madre».
L'indomani alla Camera esprime il suo avvilimento per i riferimenti al suo
essere madre (politicamente, chi di madre ferisce...). La retorica propugnata
dalla premier con entusiasmo da crociata ci racconta una favola edificante,
potenzialmente tossica. Per lei la maternità è un superpotere, uno scudo
spaziale, un patentino di buonafede comprovata. L'antidoto alla cattiveria,
come l'aglio contro i vampiri. L'assunzione all'empireo dei santi, dei giusti,
di quelli che sanno come si fa. L'amore per i figli, nella narrazione
presidenziale, trasfigura ogni donna (gli uomini non sono pervenuti), ne
allarga il cuore e l'anima in un processo di laica beatificazione. Tuttavia la
storia racconta una strada di madri e di figli lastricata di malefatte e
orrori. Perché la mamma non è necessariamente buona e l'istinto materno è
distribuito un po' a caso, a chi molto a chi niente. Medea
è una madre. Una madre che uccide i propri figli per vendicarsi del loro padre,
Giasone, che la ripudia per sposare un'altra. Infanticida e rancorosa,
incidentalmente figlia del mito greco. Anche l'induismo racconta un materno
sinistro: la dea Kali, madre dell'universo, che un giorno quell'universo prova
ad annientarlo, è legata alla morte, alla distruzione e al cambiamento. Genitrici
atroci, certo, ma prodotti di fantasia. Giacomo Leopardi scriveva: "Ho
conosciuto intimamente una madre di famiglia che non solamente non compiangeva
i genitori che perdevano i loro figli bambini, ma gl'invidiava intimamente e
sinceramente, perché questi eran volati al Paradiso senza pericoli, e avevan
liberato i genitori dall'incomodo di mantenerli". Parlava di Adelaide
Antici, sua madre. Iréne Némirovski, scrittrice francese di origini ebraiche,
morta ad Auschwitz, definita da Benedetta Tobagi "l'angelo vendicatore dei
bambini defraudati della propria infanzia da madri terribili", crea nei
suoi romanzi figure materne di sublime crudeltà, ispirandosi alla propria
madre, Anna Margulis, che rispose "esistono case per bambine
bisognose", rifiutandosi di aprire la porta alle due nipoti orfane. La
divina Joan Crawford infieriva con sadismo sui propri pargoli, come racconta la
figlia Cristina in un libro intitolato Mammina cara; Maria Teresa d'Asburgo,
imperatrice d'Austria, scriveva lettere vessatorie ai suoi 16 figli, a loro
volta re e regine; Caterina de' Medici usava i discendenti come pedine per i
suoi giochi di potere; Pamela Lyndon Travers, autrice di Mary Poppins, adottò
un bambino e abbandonò a un destino sciagurato il fratello gemello. E non è
solo un problema di istinto materno carente, o di animosità nei confronti delle
proprie creature. Nella storia passata e presente si incontrano assassine
sporadiche e seriali, sadiche, angeli delle morte travestite da infermiere,
avvelenatrici, mafiose, efferate criminali, crudeli guardiane naziste. Molte di
loro, per la cronaca, si sono anche riprodotte. È la vita, è la natura umana
che può essere spietata anche per una madre. La maternità pertanto non assolve
nessuno, tantomeno chi si assume la responsabilità di un Paese intero. Lasciamo
in pace quindi le madri e le non madri. E cerchiamo di essere semplicemente
persone per bene.
Nessun commento:
Posta un commento