"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi

"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi
"Il bruco" (2017). Nikon Coolpix P900. Foto macro. Stato larvale della falena diurna "Macroglossum stellatarum" volgarmente detta "sfinge colibrì".

venerdì 24 marzo 2023

Dell’essere. 73 Claudia de Lillo: «Medea è una madre. Una madre che uccide i propri figli per vendicarsi del loro padre, Giasone».


“Sono Una Donna, Sono Una Madre, Sono Cristiana” (Giorgia Meloni). Ha scritto Giovanna Vitale in “Meloni dimentica Antigone”, pubblicato sul quotidiano “la Repubblica” dell’11 di marzo 2023:

Aveva una grande occasione davanti a sé, Giorgia Meloni. Scegliere quale parte recitare, tra Antigone e Creonte, nell’immane tragedia dei migranti. Dinnanzi all’eterno dilemma morale fra legge divina e legge umana - tra pietas e pandette - poteva far prevalere la prima, accogliendo l’appello del sindaco di Crotone a guardare con occhi di madre i cadaveri dei bimbi annegati: l’ultimo recuperato (…), aveva solo sei anni. Oppure aggrapparsi ai codici inaspriti dalla feroce campagna della Lega, alleato ostile di cui tuttavia non può fare a meno. Un bivio che per giorni l’ha fatta pericolosamente oscillare fra pugno duro e compassione, fra la spinta securitaria di Matteo Salvini e l’urlo dolente di Papa Francesco. Certo, se avesse optato per Antigone, la strada sarebbe stata più impervia. Nella mitologia greca la giovane figlia di Edipo sfida il potere e sacrifica la vita pur di assicurare al corpo del fratello la sepoltura che il re di Tebe non vuole concedergli perché così è stabilito per i traditori. E Polinice lo è, ha decretato il tiranno Creonte, poiché - defraudato del suo diritto ereditario - ha mosso guerra contro la città natale. Ma la sorella si oppone, in nome di quelle leggi non scritte che invocano dal cielo pietà e giustizia per i morti, e dovrebbero avere la meglio sul resto. È l’antinomia fra due principi entrambi legittimi, che entrano in collisione tra loro. Lo scontro tra due avversari che sono sullo stesso piano: Antigone difende le leggi degli dei, le leggi naturali, la famiglia. Creonte quelle dello Stato, che superano e assorbono tutte le altre. Ebbene, nel tentativo funambolico di tenere insieme una compagine di governo attraversata da forti rivalità e al tempo stesso scongiurare la rottura sentimentale con un Paese scosso dalla strage sul versante jonico calabrese, la presidente del Consiglio si è rifugiata in un compromesso impossibile: balbettando al cospetto di una verità indicibile, il fallito salvataggio di centinaia di persone ammassate su un caicco in balia della tempesta; sfregiata dal lancio di peluche che è il giocattolo dei figli perduti in mare, ha preferito incarnare l’autorità che tutto decide e poco o nulla concede. Aprendo sì un varco per le moltitudini in attesa di sbarcare in Italia per costruire un’esistenza migliore, ma stringendo le maglie sulla protezione umanitaria, che è spesso l’unica via di redenzione per chi scappa da guerre, fame e disperazione. Oltretutto macchiandosi di un peccato d’omissione destinato a pesare: scansare l’omaggio alle vittime e ai loro familiari, a cui avrebbe dovuto spiegare com’è stato possibile che in una gelida notte degli anni 20 del Duemila un presagio di speranza sia mutato in viaggio senza ritorno. Le è mancato il tempo, si è giustificata al termine del Cdm: (…). Dopo il prolungato silenzio e la mancata visita a Cutro nell’immediatezza del dramma - una plateale assenza delle massime istituzioni, colmata dalla struggente presenza di Sergio Mattarella - Meloni non ha saputo far altro che metterci una toppa: allestire una passerella per ministri e auto blu, senza offrire uno straccio di risposta sulle cause del naufragio e soluzioni all’altezza dell’epocale questione migratoria. Non ha trovato il coraggio di frenare un partner, Salvini, pronto ancora una volta a giocare sulla pelle dello straniero la sua riscossa elettorale. Né ha avuto l’audacia di smentire sé stessa, l’eccessiva severità di quand’era all’opposizione, per dare ascolto e accoglienza ai diseredati in fuga, abbandonando alla sorte che merita un capo del Viminale palesemente inadeguato. Ha scelto la “legge del sovrano”, abbinata alla solita polemica contro l’Europa matrigna: chiusa nelle sue idee, gelosa della propria immagine, timorosa di apparire debole di fronte agli italiani - e ai leader dell’estrema destra continentale - conquistati a suon di «è finita la pacchia». Eppure sarebbe bastato rileggere Sofocle per scacciare ogni dubbio. Quando Antigone spiega a Creonte perché ha disobbedito, la ragione per cui nessun editto può avere la forza di “trasgredire le leggi non scritte e incrollabili degli dei”, dice qualcosa che la prima premier donna farebbe bene a tenere a mente. Sempre. Non solo davanti ai bambini affogati, ai sopravvissuti rimasti senza più madri né padri, agli uomini e alle donne che si sono privati di tutto pur di dare un futuro ai figli. Dice Antigone al dittatore che le contesta il tradimento del fratello: “Non sono nata per condividere l’odio, ma l’amore”. Ecco, sarebbe stato sufficiente un po’ di cuore, saper distinguere fra bene e male, farsi guidare dall’etica come faro della Repubblica per non smarrirsi nelle brume dell’ignavia o, peggio, della cattiva coscienza che le hanno fatto perdere la rotta. E con essa il consenso del “popolo di Cutro” che (…) si ritroverà su quella spiaggia per dare sepoltura simbolica ai morti: là dove Creonte non s’è visto, ci sarà Antigone a invocare verità e giustizia. Perché Antigone siamo tutti noi. Di seguito, “Se la madre non è buona” di Claudia de Lillo pubblicato sul quotidiano “la Repubblica” di ieri, 23 di marzo: Cos'è la maternità? Un miracolo? Un fatto, come tanti, della vita? Un destino biologico? Una libera scelta? Giorgia Meloni è una madre. Lo ricorda spesso, lo ribadisce volentieri. Brandisce un giorno la sua maternità in Senato, come un alibi catartico, parlando dell'evitabile tragedia di migranti. «Sui fatti di Cutro la mia coscienza è perfettamente a posto.... Io sono una madre, sono una madre». L'indomani alla Camera esprime il suo avvilimento per i riferimenti al suo essere madre (politicamente, chi di madre ferisce...). La retorica propugnata dalla premier con entusiasmo da crociata ci racconta una favola edificante, potenzialmente tossica. Per lei la maternità è un superpotere, uno scudo spaziale, un patentino di buonafede comprovata. L'antidoto alla cattiveria, come l'aglio contro i vampiri. L'assunzione all'empireo dei santi, dei giusti, di quelli che sanno come si fa. L'amore per i figli, nella narrazione presidenziale, trasfigura ogni donna (gli uomini non sono pervenuti), ne allarga il cuore e l'anima in un processo di laica beatificazione. Tuttavia la storia racconta una strada di madri e di figli lastricata di malefatte e orrori. Perché la mamma non è necessariamente buona e l'istinto materno è distribuito un po' a caso, a chi molto a chi niente. Medea è una madre. Una madre che uccide i propri figli per vendicarsi del loro padre, Giasone, che la ripudia per sposare un'altra. Infanticida e rancorosa, incidentalmente figlia del mito greco. Anche l'induismo racconta un materno sinistro: la dea Kali, madre dell'universo, che un giorno quell'universo prova ad annientarlo, è legata alla morte, alla distruzione e al cambiamento. Genitrici atroci, certo, ma prodotti di fantasia. Giacomo Leopardi scriveva: "Ho conosciuto intimamente una madre di famiglia che non solamente non compiangeva i genitori che perdevano i loro figli bambini, ma gl'invidiava intimamente e sinceramente, perché questi eran volati al Paradiso senza pericoli, e avevan liberato i genitori dall'incomodo di mantenerli". Parlava di Adelaide Antici, sua madre. Iréne Némirovski, scrittrice francese di origini ebraiche, morta ad Auschwitz, definita da Benedetta Tobagi "l'angelo vendicatore dei bambini defraudati della propria infanzia da madri terribili", crea nei suoi romanzi figure materne di sublime crudeltà, ispirandosi alla propria madre, Anna Margulis, che rispose "esistono case per bambine bisognose", rifiutandosi di aprire la porta alle due nipoti orfane. La divina Joan Crawford infieriva con sadismo sui propri pargoli, come racconta la figlia Cristina in un libro intitolato Mammina cara; Maria Teresa d'Asburgo, imperatrice d'Austria, scriveva lettere vessatorie ai suoi 16 figli, a loro volta re e regine; Caterina de' Medici usava i discendenti come pedine per i suoi giochi di potere; Pamela Lyndon Travers, autrice di Mary Poppins, adottò un bambino e abbandonò a un destino sciagurato il fratello gemello. E non è solo un problema di istinto materno carente, o di animosità nei confronti delle proprie creature. Nella storia passata e presente si incontrano assassine sporadiche e seriali, sadiche, angeli delle morte travestite da infermiere, avvelenatrici, mafiose, efferate criminali, crudeli guardiane naziste. Molte di loro, per la cronaca, si sono anche riprodotte. È la vita, è la natura umana che può essere spietata anche per una madre. La maternità pertanto non assolve nessuno, tantomeno chi si assume la responsabilità di un Paese intero. Lasciamo in pace quindi le madri e le non madri. E cerchiamo di essere semplicemente persone per bene. 

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