Ha scritto Michele Serra in “Sapere al popolo” pubblicato sul settimanale “il Venerdì di
Repubblica” di oggi, 17 di marzo 2023: (…), intanto una buona notizia: le analisi
del voto dicono che Renzi-Calenda hanno sollevato il Pd dall'onere di essere
"il partito delle Ztl". Il Pd può contare su un elettorato abbastanza
ben "spalmato" socialmente e anagraficamente, con un solo vistoso
"buco" tra i millennials, poi ben colmato dagli under 30. (…). Esiste
una ricca tradizione sociologica e politica che descrive le condizioni di
subalternità culturale del popolo come tutt'uno con il suo assoggettamento
sociale. Nel 1919 Antonio Gramsci scriveva: "L'educazione dei proletari è
un problema di libertà. Dovere del popolo è non essere ignorante". Se lo
scrivesse oggi gli direbbero che è un radical-chic, perché nel frattempo, per
mano del populismo e in specie del populismo di destra, c'è stato un vero e
proprio rovesciamento logico della questione: se dici che il popolo è in
cattive condizioni, e a queste condizioni paga un alto prezzo in termini di
cultura e di coscienza di sé, ti dicono che sei "contro il popolo".
Ma è vero il contrario, a partire da don Milani. Dire al popolo "studia,
se no sarai sempre fregato da chi ha studiato" è ovviamente un atteggiamento
filo-popolare. La falsificazione populista della realtà sociale, esaltando il
popolo "così com'è", è nei fatti il vero atteggiamento anti-popolare.
Dunque (…): è perfettamente plausibile che il "lusso" della
solidarietà e della cura degli altri attecchisca nelle case dove c'è qualche
libro e qualche soldo in più. Il socialismo, fino dai suoi albori, si è nutrito
anche della filantropia di signore benestanti e di signori ben vestiti (il
fabianesimo, le suffragette, la vocazione sociale di un pezzo
dell'imprenditoria, vedi Olivetti). La gran parte dei leader rivoluzionari sono
stati "traditori di classe", borghesi convertiti alla causa del
popolo. L'organizzazione di parte del popolo (i salariati di fabbrica) in
"classe rivoluzionaria" è stata al tempo stesso un capolavoro e un
miracolo del marxismo. Il popolo è conservatore, e spesso reazionario, dai
tempi della Vandea. Giorgia Meloni lo sa bene, ed è stata brava ad
approfittarne. Di seguito, “Dai
migranti al RDC i nuovi indifferenti” di Luca Sommi pubblicato su “il Fatto
Quotidiano” del 9 di marzo ultimo: “Odio gli indifferenti!”, scriveva Antonio
Gramsci, “vivere vuol dire essere partigiani”. E ancora: “Indifferenza è
abulia, è parassitismo, è vigliaccheria, non è vita. Perciò odio gli
indifferenti”. Sono parole del 1917 ma che, rileggendole, vanno bene anche
oggi. Ma chi sono, oggi, questi indifferenti? Forse coloro che non votano
“perché tanto non cambia niente”; forse coloro che non partecipano alla vita
sociale e politica “perché tanto non cambia niente”; forse sono coloro che non
si indignano – sì, proprio così, indignano – quando affonda una barca carica di
anime disperate “perché se non fossero partiti…”; forse sono coloro che se
tolgono un reddito a chi non ha niente sorridono “perché stavano tutto il
giorno sul divano”; ma forse sono anche coloro che se incontrano un uomo o una
donna riversi al suolo non si fermano “perché chissà chi è”; o coloro che non
ripudiano (versione rafforzata di “rifiutare”, presente nella nostra
Costituzione) la guerra in ogni sua forma e, anzi, la dichiarano dal loro
divano “perché esistono guerre giuste”; forse sono coloro che di fronte a
parole come “etica”, “morale”, “libero arbitrio”, “coscienza critica” fanno
spallucce “perché non so neanche cosa significhino”; forse sono coloro che di
fronte a uno schifo di riforma della giustizia, che punisce i deboli e aiuta i
potenti, non reagiscono “perché non è vero”. E potremmo andare avanti
all’infinito. Per questo è importante rileggere le parole di Antonio Gramsci,
un uomo che ha dato la vita per la libertà, libertà “da” e libertà “per”.
Sentite: “L’indifferenza è il peso morto della Storia. L’indifferenza opera
potentemente nella Storia. Opera passivamente, ma opera. È la fatalità; è ciò
su cui non si può contare; è ciò che sconvolge i programmi, che rovescia i
piani meglio costruiti. È la materia bruta che si ribella all’intelligenza e la
strozza”. Gramsci parla di assenteismo come forma di indifferenza e dei tanti
“fatti della vita sociale che maturano nell’ombra”, in poche mani, non
sorvegliate da nessun controllo. Mani che tessono – diceva lui – la tela della
vita collettiva e che “la massa ignora, perché non se ne preoccupa”. E quindi
sembra che sia la fatalità a travolgere tutto, sembra che la Storia sia alla
stregua di un fenomeno naturale – sarebbe accaduto ugualmente… – come
un’eruzione, un terremoto. “E alcuni piagnucolano pietosamente, altri
bestemmiano oscenamente, ma nessuno o pochi si domandano: se avessi anch’io
fatto il mio dovere sarebbe successo ciò che è successo? Ma nessuno o pochi si
fanno una colpa della loro indifferenza”. Parole giuste, parole attualissime,
che mettono in risalto coloro che non hanno dato braccia a quegli altri che,
per evitare un disastro, “combattevano”. Perché se è vero (come è vero) che un
politico è grande in misura della sua forza di previsione, allora possiamo dire
ce ne sono pochi, pochissimi, di politici come li intendeva lui. Però questo
non deve essere una scusa. Come non deve esserla quella di non andare a votare
o evadere le tasse perché le cose non vanno come vorremmo. È vero che, come
diceva un grande economista inglese come William Beveridge, il patto sociale
tra cittadino e istituzioni si rompe qualora a fronte del pagamento delle tasse
lo Stato non riesce a sollevare i cittadini dalle paure. Che tradotto
significa: un letto d’ospedale se sto male, l’istruzione a mio figlio, la
sicurezza quando cammino per strada, un ammortizzatore sociale se perdo il
lavoro, e via dicendo. Come dire: se accade questo mi sento in diritto di non
pagare le tasse. No, non funziona così. Questo, anzi, è l’inizio
dell’indifferenza, l’inizio delle fine. E non è una giustificazione neanche la
demagogia imperante, molto praticata dalla politica, “sgambetti logici – li
descriveva Gramsci – per apparire nel vero, che falsano scientemente i fatti
per apparire i trionfatori, che per ubriacarsi della vittoria di un istante
sono insinceri o affrettati”. Lo abbiamo visto durante il Covid, politici
pronti a tutto per una manciata di consensi, come condannare chi seguiva le
regole, chi ascoltava la comunità scientifica – e chi altri avremmo dovuto
ascoltare? Ecco ancora Gramsci: “Gli ospedali, che dovrebbero essere il
concretarsi organico della piena collettività, sono lasciati in balìa di gente
irresponsabile” e l’assistenza “che è un diritto, diventa un regalo, una
umiliante carità che si può fare e non si può fare. E nessuno controlla”. Gli
indifferenti, appunto, che esistono da sempre. Sentite come li descrive Dante
nella Commedia: non li mette neanche all’Inferno, perché non sono degni neanche
di quello. Gli ignavi, coloro / che vissero senza n’nfamia e senza lodo, dice
Virgilio al poeta. Quelli che in vita non hanno mai preso posizione, che non furono
né ribelli né fedeli a Dio. E perché non lo meritano? Per non dare gloria, dice
Virgilio, agli altri dannati che al confronto con loro, di qualsiasi malefatta
si siano macchiati, sentirebbero la loro superiorità per il solo fatto di aver
compiuto scelte, anche se sbagliate: Caccianli i ciel per non esser men belli,
/ né lo profondo inferno li riceve, / ch’alcuna gloria i rei avrebber d’elli.
Traduciamo: i cieli li cacciarono per non perdere bellezza, né l’Inferno li
accoglie nelle sue profondità, poiché i dannati potrebbero ricevere gloria
dalla loro presenza. Insomma, gli indifferenti di cui parla Gramsci. Tanto che
la guida latina usa parole sprezzanti ormai celebri: non ragioniam di lor, ma
guarda e passa. Non sono degni di nessuna nota. E sentite la pena che devono
scontare per il fatto di non aver mai preso posizione, tanto da spiacere a Dio
quanto al Diavolo: sono tormentati da continue punture di vespe e mosconi, che
rendono il loro viso una maschera di sangue. Sangue che quando cade a terra è mischiato
alle loro lacrime e viene raccolto da vermi ripugnanti. Era il Quattordicesimo
secolo. Evidentemente gli indifferenti erano una piaga anche allora.
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