Sopra. "Profilo continuo" (bronzo, 1933) di Renato Giuseppe Bertelli.
Davanti al liceo Michelangiolo di Firenze, squadraccia che vince non si cambia: "C'è chi un tempo ha fatto furore e non ha ancora cambiato colore", cantavano due poeti più attuali che mai.
Ha scritto Diego Bianchi in “Tempi nerissimi” pubblicato sul settimanale “il Venerdì di Repubblica” del 3 di marzo ultimo: «È una lettera del tutto impropria, mi è dispiaciuto leggerla, non compete a una preside lanciare messaggi di questo tipo e il contenuto non ha nulla a che vedere con la realtà: in Italia non c'è alcuna deriva violenta e autoritaria, non c'è alcun pericolo fascista, difendere le frontiere non ha nulla a che vedere con il fascismo o con il nazismo. Se l'atteggiamento dovesse persistere vedremo se sarà necessario prendere misure. Di queste lettere non so che farmene, sono lettere ridicole, pensare che ci sia un rischio fascista è ridicolo». (…) …il ministro dell'Istruzione e del Merito Valditara replica alla preside del liceo di Firenze, Annalisa Savino, rea di aver scritto una lettera aperta agli studenti della sua scuola dopo l'aggressione fascista avvenuta davanti al liceo Michelangiolo di Firenze. «Il fascismo in Italia non è nato con le grandi adunate da migliaia di persone. È nato ai bordi di un marciapiede qualunque, con la vittima di un pestaggio per motivi politici che è stata lasciata a sé stessa da passanti indifferenti», ha scritto la preside, e tanto è bastato affinché il negazionismo del passato si fondesse con quello del presente, regalandoci cupe giornate di pregevole sintesi dei tempi che corriamo, tra la tragedia di un Paese in inarrestabile disarmo intellettuale e la farsa di una classe dirigente, politica e non solo, incapace di opporsi al grave umore dei tempi al punto da lasciare che a farlo sia, per l'ennesima volta, l'eroe o l'eroina di giornata, in questo caso una preside di liceo. Nessuno mette in discussione il fatto che questo governo, che ogni giorno va un po' più a destra, sia stato legittimato dal voto perché in grado di promettere e illudere meglio dei competitor. E pur essendo dimostrato che non è stato e non sarà il dibattito su una possibile minaccia fascista a ricompattare l'opposizione, quando i fascisti fanno i fascisti, restano facilmente riconoscibili e negarlo è grave. È grave per chi coi fascisti è politicamente cresciuto senza rinnegare mai nulla fino a ricoprire impensabili cariche istituzionali, è grave per chi dei fascisti ha cercato il voto, è grave per chi dei fascisti non riconosce prassi e vigliaccheria, è grave per chi fascista continua orgogliosamente a dichiararsi in un Paese con una Costituzione dichiaratamente antifascista che mette il fascismo e ogni tentativo di rievocarne le gesta fuori legge. Forse, a pensarci bene, quella scemenza della «cittadinanza italiana da meritare» tanto cara alla destra, non è poi così fuori luogo. In tanti, nell'attuale maggioranza, diventerebbero subito apolidi. Di seguito, “Il profilo nero del fascismo eterno” di Tomaso Montanari – Critico dell’arte, Rettore della Università per Stranieri di Siena – pubblicato sul settimanale “il Venerdì di Repubblica” del 3 di marzo: Quando il Futurismo si accomodò al tavolo del potere apparecchiato dalla dittatura fascista, un'arte libera e provocatoria si trasformò in adulazione cortigiana. La pioggia dei ritratti encomiastici del Duce sfornati dagli (ex) futuristi ne è una prova eloquente quanto imbarazzante. (…) …uno dei più amati, anche dai fascisti di oggi: il Profilo continuo di Mussolini plasmato in terracotta da Renato Giuseppe Bertelli nel 1933, e poi gettato in vari esemplari in bronzo. Come tutte le opere d'arte, perfino questa sfugge alle intenzioni del suo autore e del suo soggetto, assumendo nel tempo una pluralità di chiavi di lettura che la rendono, se non gradita, almeno accettabile anche a chi, oggi, esecri la figura del «funesto ciarlatano iracondo» (Piero Calamandrei) che vi è ritratto. In quell'idea di "ritratto continuo" si può oggi leggere non tanto il vitale movimento cui voleva alludere l'artista eulogista, ma invece la continuità di un fascismo che la Repubblica non è mai stata capace di estirpare. Viene da pensare alla «bella teoria della continuità dello Stato, una continuità che vuol dire immobilità, o peggio ritorno indietro. Che vuol poi dire semplicemente poter restare sempre seduti sulla medesima seggiola» (Carlo Levi, L'Orologio, 1947-'49). Una teoria che impedì di ripulire lo Stato dai gerarchi fascisti e che poi aprì le porte del Parlamento al Movimento Sociale neofascista; o a un'altra bella teoria, quella del "sistema di valori condiviso", che ha riaperto infine le fogne, confondendo "pacificazione" con "parificazione": nel mezzo, il tradimento di una sinistra che ha barattato l'indulgenza verso il proprio (remoto) passato comunista in cambio di un'apertura ai fascisti. Un "ritratto continuo" di Mussolini che è anche un ritratto del "fascismo eterno" (Umberto Eco), che si ripresenta sempre diverso, ma con alcune costanti che permettono di riconoscerlo. Non c'è, infatti, solo la nostalgia del presidente del Senato che tiene in casa (appunto) i busti del Puzzone, o quella anche più atroce del giovane sottosegretario che finge di mascherarsi indossando la svastica al braccio. No, c'è anche la violenza vigliacca di una squadraccia che - a Firenze, davanti al liceo che fu di Calamandrei - pesta uno studente a terra, e poi scappa contando sull'impunità garantita dalla complicità del partito, e dunque del governo. Un governo che si volta dall'altra parte, assomigliando ancora una volta a questo ritratto sfuggente e appunto vigliacco: a un volto viscidamente mutevole, ma in fondo sempre riconoscibile, anzi inconfondibile. Come quello di tutti i fascisti, di ieri e di oggi.
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