"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi

"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi
"Il bruco" (2017). Nikon Coolpix P900. Foto macro. Stato larvale della falena diurna "Macroglossum stellatarum" volgarmente detta "sfinge colibrì".

giovedì 16 marzo 2023

Doveravatetutti. 24 Barbara Spinelli: «Marco Minniti concluse un memorandum con Tripoli accettando che i migranti venissero riportati nei mortiferi lager libici».


Ha scritto Pino Corrias in «La principessina Elly, dall’“Occupy Pd” al patibolo più ambito» pubblicato su “il Fatto Quotidiano” del 13 di marzo 2023:

(…). Viene da lontanissimo, nonni ucraini e lituani in viaggio dentro al disordine novecentesco del mondo, anche se è stata assemblata molto vicino a noi, sulle rive sonnolente del Lago di Lugano. Dove si spera abbia assorbito il massimo della pace interiore, ora che le toccherà governare il più ingovernabile dei partiti, nove segretari andati in malora in sedici anni, tutti triturati delle correnti e dal potere, tutti usciti con i nervi a pezzi, come il penultimo, Nicola Zingaretti, che se ne andò strillando “Mi vergogno del mio partito!”. E solo l’ultimo senza troppi clamori, l’Enrico Letta, ma solo perché la politologia di fuffa parigina, gli ha suggerito un unico lentissimo sospiro di sollievo e un misterioso melograno d’addio. Elly ha un fotovoltaico incorporato. Alla maniera di Giorgia, sebbene piazzato nell’emisfero filosofico opposto. Ha svegliato con una scossa il pd dal suo lungo sonno della ragione. Un milione e passa di eroici votanti l’hanno innalzata fino al patibolo più ambito, il Nazareno, condannandola a cercare il nuovo Graal della sinistra, che lei, amante dei più moderni dialetti generazionali, chiama intersezionalità. Intersezionalità è un non maschile e un non femminile che aleggia instabile tra i generi e le identità sociali. È il punto nello spazio dove, di volta in volta, si incrociano le istanze dell’anima, anzi del cuore che siano ecologiste, progressiste e femministe. Ma è anche il punto dove differenti discriminazioni sociali e diseguaglianze si intrecciano e si aggravano. “Di più: le discriminazioni discendono da sistemi oppressivi che pure si combinano tra loro e si legittimano reciprocamente”. Alla nuova politica della buona sinistra – che è multipla, anzi molteplice con attitudine al pulviscolare – il compito di identificarle, radiografarle, trovare i rimedi al modello di sviluppo che (invece) le alimenta. A lei il compito di diventare il ponte tra le diverse piazze. Il ponte come lo intendeva Alex Langer, il più impolitico tra i politici di professione, suo massimo ispiratore, che viaggiava leggero tra tutte le minoranze del pianeta comprese quelle dei profughi e dei migranti. Anche se lei lo asseconda e lo applica con un sovrappiù di realismo, visto che “le piazze da sole non bastano”, alle piazze bisogna aggiungere “i luoghi dove si decidono le cose”. Nel suo caso, prendendosi il partito sulle spalle. Verso il potere, quando sarà. Oppure verso il suo contrario, la dissoluzione definitiva, bye bye pd, come già prefigurano gli eterni brontoloni alla Cacciari, e certe componenti di antico conio democristiano, tipo l’esule Fioroni. Ma Fioroni chi? Elena Ethel Schlein, detta Elly, nasce a Lugano nella bambagia delle élite, anno 1985. Il padre Melvin è americano, ebreo ashkenazita, insegna Scienze politiche alla John Hopkins University. La madre, Maria Paolo Viviani, è docente alla Facoltà di Legge a Milano. È figlia di Agostino Viviani, senatore socialista, padre di tante battaglie per i diritti civili, uno dei molti galantuomini che se ne andranno dal partito negli anni prepotenti di Craxi re. Elly cresce insofferente all’acquario svizzero. Suona la chitarra elettrica. Frequenta i pochi eccentrici in circolazione. È fluida, veloce e anche spigolosa. Dopo il diploma, a 18 anni, soffocata dall’ordine, si infila nel disordine del Dams di Bologna, dove mastica la prima politica, le prime occupazioni: “Ho imparato a volantinare in piazza senza sentirmi una sfigata”. Lascia il Dams, vira a Giurisprudenza. Si laurea in Legge. A 22 anni, affascinata dal carisma di Barack Obama, parte con il suo passaporto americano in tasca, per Chicago, volontaria nella campagna presidenziale che “univa fasce sociali differenti tra loro”, i ceti medi e i diseredati, le casalinghe e gli studenti ribelli, i veterani neri e i pensionati bianchi. La molteplicità dei diversi è il suo imprinting. Al quale aggiunge il suo personale coming out, “amo uomini e donne”, sono intera nelle differenze. Di più: “Sono la somma di storie diverse e incompiute”. Quando torna nella Bologna “che culla i suoi figli adottivi”, diventa militante a tempo pieno nel nuovo partito democratico, post Ulivo, parola d’ordine “I care”, mi prendo cura. Ma risulterà vero il contrario, visto quanto i famosi 101 anonimi si prenderanno cura di Romano Prodi, candidato al Quirinale, per affondarlo. Furiosamente Elly si indigna. Cavalca con gli insorti di “Occupy Pd”. Critica il governo Letta che nasce dentro l’ombra del nemico di sempre, Silvio B. Si incanta persino davanti alle smargiassate fiorentine dell’astro nascente Matteo Renzi. Crede anche a lui, il tempo di candidarsi alle Europee, anno 2014, venire eletta con 54 mila preferenze (“Un miracolo!”) per poi accorgersi che anche Renzi si prende cura, ma solo di se stesso: guadagna all’estero e agli italiani che lavorano regala l’abolizione dell’articolo 18, nuovi accordi con Silvio B., e un po’ di precariato in più. Elly si sveglia di soprassalto e si dimette dal pd. A Bruxelles lavora sui dossier migranti. Incalza Matteo Salvini che chiama “il fuggitivo”, dalla velocità con cui scappa dai suoi doveri di europarlamentare prima, e di ministro dell’Interno poi. Nel 2020 si candida alle regionali, parla di salario minimo, diritti civili, transizione ecologica, sintonia programmatica con i Cinque stelle. Naviga le piazze con le nascenti Sardine, fino alla foce, vicepresidente della Regione Emilia Romagna, un passo alla sinistra di Stefano Bonaccini, compagno di strada e rivale. Nemico e alleato. Specialmente ora che dopo averlo battuto alle primarie per il partito, lo ha scelto suo scenografico presidente, nonostante i Ray-Ban a goccia. Durerà? Dureranno? La Destra senza testa, perde la testa e rosica: è troppo ricca; è troppo radical chic; ha tre passaporti; è sessualmente immorale; addirittura parla tre lingue, la principessina! Per Elly è un buon inizio. Per noi, vale l’intersezione tra una speranza e un vedremo. Ha scritto in merito alla elezione di Elly Schlein Barbara Spinelli – in «Schlein, non basta dire “novità”» su il “Fatto Quotidiano” del 7 di marzo ultimo -: Se davvero vuol rappresentare una novità, e riportare in vita il Partito democratico, Elly Schlein non potrà ignorare un fatto difficilmente confutabile: la resurrezione di un pensiero profondo, su guerra e migranti, non coincide al momento con l’europeismo, articolo di fede imposto a chiunque voglia governare o legittimamente opporsi o dirigere un giornale mainstream.(…). Nelle élite italiane non esiste contrasto di opinioni sull’Ucraina, con l’eccezione di Conte che durante il governo Draghi votò l’invio di armi ma nutrì presto dubbi sugli invii senza sbocchi negoziali. Il Pd invece non conosce dubbi, né con Letta né con Schlein. Da quando Mosca ha inopinatamente invaso l’Ucraina è stato uno dei più ardenti fautori non tanto della resistenza all’aggressore, ma dell’escalation di una guerra che è per procura, essendo prolungata da Washington per abbattere Putin e forse smembrare la Russia, se si considera la natura sempre più offensiva delle armi garantite a Kiev e le ripetute offensive ucraine in territorio russo. C’è da temere che Elly Schlein continui a tergiversare su questa questione. Reclamare negoziati è fatuo, se si insiste nell’invio di armi e non si indica chiaramente cosa potrebbe cedere Mosca e cosa Kiev, perché l’ecatombe finisca. In sostanza non viene smentito quel che garantirono Draghi e Letta: le armi favoriranno la trattativa. L’equazione non ha funzionato. Non basta l’invito retorico alla “pace giusta”, specie se decisa sul terreno di battaglia. (…). Viene poi la politica migratoria. Schlein ripete che solo l’Europa può rintuzzare gli scempi di Giorgia Meloni, ma l’Unione è da tempo in favore di accordi con Paesi del Nord Africa e con Turchia volti a “esternalizzare” le politiche di asilo: anche questo è “pensiero di gruppo” e Meloni è in ottima compagnia. Lo era nel 2017 quando Gentiloni era presidente del Consiglio e Marco Minniti ministro dell’Interno, e quest’ultimo concluse un memorandum con Tripoli accettando che i migranti venissero riportati nei mortiferi lager libici e imponendo regole restrittive alle Ong che fanno Ricerca e Salvataggio. Il naufragio di Crotone non sorprende. Si poteva evitare, se l’Italia e l’Unione europea si fossero dotati di una politica di Ricerca e Salvataggio (Sar) dopo l’abbandono dell’operazione Mare Nostrum: operazione che l’Ue si rifiutò di europeizzare. Queste cose Elly Schlein non le dice, pur sapendole. Denuncia opportunamente la cialtroneria del ministro dell’Interno Piantedosi (denota abissale ignoranza l’uso della frase di Kennedy: che i profughi evitino di “mettere in pericolo i figli” e pensino non a se stessi ma “a quel che possono fare per i propri Paesi”) ma non dice che la militarizzazione delle frontiere – nel caso di Crotone le operazioni poliziesche della Guardia di finanza anziché l’invio in mare della Guardia Costiera specializzata in Ricerca e Salvataggio – è una scelta fatta propria dall’Unione, non solo dall’Italia. Schlein ripete spesso che la revisione del Trattato di Dublino approvata nel 2017 dal Parlamento europeo (relatrice Cecilia Wikström, liberale, Schlein era relatrice-ombra per il gruppo socialista) fu avversata dall’estrema destra. Ma non può non sapere che il rapporto Wikström era giusto un primo passo, e non avrebbe mai ottenuto l’approvazione degli Stati membri sui ricollocamenti “automatici” e non semplicemente volontari dei profughi che approdano prioritariamente in Italia e Grecia. Anche in questo caso non basta ricordare che i migranti fuggono da guerre e dispotismi, e per legge hanno diritto all’asilo. È l’ora di dire che gran parte di quelle guerre e carestie le attizziamo noi occidentali con sanzioni o investimenti predatori che impoveriscono i popoli, e con guerre di “cambi di regime” che fanno comodo geopoliticamente (non fa comodo, invece, difendere i palestinesi dall’occupazione israeliana). Delle conseguenze di tali guerre siamo responsabili. Il Pd si rinnoverà quando criticherà radicalmente non solo la destra al governo, ma anche l’Europa di oggi. Un po’ come fece Giuseppe Conte durante il Covid, quando costruì un’alleanza fra nove Paesi membri (tra cui Francia e Spagna), decisi a ottenere un comune indebitamento Ue e un Recovery Plan che superasse la nefasta divisione fra l’austerità imposta dai Paesi creditori e la sottomissione dei debitori. Fu l’ultimo gesto dignitoso dell’Unione europea.

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