Ha scritto Michela Murgia in “Perché non basta essere Meloni” pubblicato sul settimanale “L’Espresso” del 6 di giugno dell’anno 2021:
(…). Una donna a capo di un partito che
affonda le sue radici nella tradizione fascista non solo non dovrebbe
compiacere nessuno che abbia a cuore l’emancipazione femminile, ma impone anzi
di far scattare una serie di allarmi ulteriori rispetto a quelli che già
trillano per questioni di tutela dei valori democratici. Cosa succede nella
testa di chi è convinto che una donna sia sempre un valore aggiunto a
prescindere dal contesto e dalle modalità con cui agisce? (…). La risposta è
nella struttura del pensiero patriarcale, che attribuisce pregiudizialmente al
maschile e al femminile inclinazioni differenti. È facile per tutto guardare a
un maschio a capo di un partito di estrema destra come si guarderebbe all’uomo
nero per definizione. La forza dei suoi toni è percepita da chiunque come
minacciosa e chi lo sostiene l’accetta solo nella misura in cui serve a
intestarsi le rabbie comuni e a rivolgerle al nemico, all’altro-da-noi.
Simbolicamente il rapporto con l’uomo autoritario somiglia a quello con un cane
che dal giardino ringhia all’estraneo attraverso il cancello, ma prima di farci
giocare i bambini di casa ci penseresti due volte. Così anche chi vota un uomo
di estrema destra in fondo sa che la ferocia che oggi è rivolta all’esterno
potrebbe trovare in qualunque momento un bersaglio domestico contro cui
scagliarsi. (…). La donna al comando di un partito di matrice storica fascista,
come già accadde con Marine Le Pen in Francia, sembra misteriosamente
stemperare questo effetto allarmante. L’insistenza sui suoi marcatori di
genere, soprattutto quello della maternità, conferma in chi ascolta il
pregiudizio positivo di avere a che fare con una forma di autoritarismo
sostenibile, privo degli estremismi del maschile. Quando Meloni grida: «sono
una donna, sono una madre», sta dicendo «Non abbiate paura della mia ferocia, è
la stessa di un’orsa che reagisce quando le toccano i cuccioli». È d’obbligo
dunque chiedersi chi siano i cuccioli di Giorgia Meloni. Il Guardian non ha
dubbi sulle parentele: il partito di Fratelli d’Italia affonda le sue radici
nel fascismo e confina, nei modi e nelle intenzioni, col partito polacco
Diritto e Giustizia, che sposa un cristianesimo xenofobo (e dunque molto poco
evangelico) e ha tra i suoi obiettivi la contrarietà all’aborto e al matrimonio
gay. Giorgia Meloni non ha mai nascosto queste intenzioni, né le sue
imbarazzanti simpatie per Orban, Bannon e altri conservatori xeno-omofobi, (…).
La democrazia si misura dalla qualità della vita di chi esprime dissenso e chi
si è opposto alle posizioni di Giorgia Meloni in questi mesi ha potuto misurare
sulla sua esperienza come la leader di Fratelli d’Italia tratti chi pronuncia
parole di critica alle sue. Lo sa bene Roberto Saviano, che commentando le
posizioni sue e di Salvini sull’affondare le navi umanitarie ha esclamato
“bastardi” e si è visto querelare. In una democrazia quel “bastardi” è il
j’accuse che è diritto non solo di ogni intellettuale, ma di ogni anima offesa
dall’ingiustizia, soprattutto se quell’ingiustizia pretende di diventare
istituzione. Giorgia Meloni non vuole sentirlo ed è da questo, (…). Di seguito,
“Nella lotta antifascista le radici
dell’Europa” di Maurizio Molinari – direttore del quotidiano “la Repubblica”
-, pubblicato sul quotidiano di ieri, domenica 26 di marzo 2023: (…).
Dall’attimo in cui una nazione cadeva sotto l’occupazione del Terzo Reich non
c’erano più “polacchi”, “italiani”, “olandesi” o “francesi” ma solo categorie
diverse di uomini e sottouomini destinate ad essere vessate, perseguitate ed
eliminate in ottemperanza agli ordini che arrivavano dalla spietata burocrazia
di Berlino. (…). Come scrisse Carlo Casalegno, il vicedirettore de La Stampa
assassinato dalle Brigate Rosse nel 1977, “la Resistenza è stato il nostro
secondo Risorgimento” perché i partigiani - di qualsiasi colore politico ed
estrazione sociale - restituirono all’Italia quell’unità nazionale che il
Risorgimento aveva creato ma che poi il fascismo aveva polverizzato. Se il
ventennio di dittatura fascista aveva divorato e distrutto lo Stato Unitario,
privandolo di legittimità di fronte ai suoi cittadini, l’antifascismo permise
di recuperare i principi di eguaglianza, libertà e democrazia che la
Costituzione repubblicana ha poi fatto suoi, consentendogli di arrivare fino a
noi. C’è dunque un legame indissolubile fra Costituzione, antifascismo e
Risorgimento alle radici della nostra Repubblica. Indebolirlo, sminuirlo o
negarlo significa mettere in dubbio l’identità stessa della Repubblica. Ma non
è tutto perché estirpare l’antifascismo dall’Italia repubblicana significa
anche far venir meno uno dei pilastri fondamentali della costruzione europea.
L’Unione Europea che oggi ha 27 Paesi membri, e della quale siamo fra i sei
fondatori, nasce infatti come progetto ideale dal Manifesto di Ventotene,
scritto nel 1941 dagli antifascisti Eugenio Colorni, Ernesto Rossi e Altiero
Spinelli, e dalla visione politica dei pionieri Jean Monnet, Robert Schuman e
Konrad Adenauer, accomunati nel dopoguerra dalla volontà di mettere al riparo
il Vecchio Continente dal pericolo di nuove dittature e feroci guerre
fratricide. Infine, ma non per importanza, è opportuno ricordare che
l’Occidente inteso come comunità di democrazie nasce sulle spiagge della
Normandia, il 6 giugno del 1944, ovvero dalla volontà degli alleati, guidati
dall’America di F. D. Roosevelt e dalla Gran Bretagna di Winston Churchill, di
liberare l’Europa dal nazifascismo correndo in soccorso di tutti quegli
antifascisti ed antinazisti che in più Paesi avevano scelto di rischiare la
vita per non soccombere al più tirannico regime che la Storia ricordi. (…). Insomma,
l’antifascismo in Italia è stato quel seme delle libertà risorgimentali che
durante la dittatura di Mussolini e l’occupazione tedesca ha consentito al
nostro Paese di non soccombere totalmente e, nel dopoguerra, ci ha accomunato
alle altre democrazie europee nella condivisione dei principi che hanno portato
al rafforzamento dello Stato di Diritto come alla costruzione della Ue e della
Nato. (…). Ecco perché l’anniversario della strage delle Fosse Ardeatine
avrebbe dovuto essere per la premier Giorgia Meloni l’occasione per
sottolineare - e non per celare - l’importanza dell’antifascismo come valore
fondante della Repubblica, dell’Unione Europea e dell’Occidente.
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