Ha scritto Diego Bianchi in “Circo a Cutro” pubblicato sul settimanale “il Venerdì di Repubblica” del 17 di marzo 2023:
Qui, durante i moti del '68, i
maoisti-marxisti-leninisti bruciarono il Comune» mi dice un gruppo di signori
di Cutro quando mancano ancora diverse ore all'arrivo del governo, convocato
fin qui per quello che Giorgia Meloni ufficializzerà come il primo Consiglio
dei ministri tenutosi in una località teatro di tragedia del mare legata
all'immigrazione. «È solo passerella» insiste quel gruppo dopo avermi edotto
della storia locale, sia essa virtuosa, fatta di campioni di scacchi e di
ministri di Grazia e Giustizia avi dell'attuale vicepremier Tajani, sia essa
meno nobile e 'ndranghetista, «Neanche per gli arresti qui si sono viste tante
telecamere», mi dicono. Anche se non sono pochi a pensare che questa giornata
sia solo una toppa per la pessima figura fatta dal governo, l'impressione è che
la maggior parte dei cutresi sia incuriosita dall'improvvisa esposizione
mediatica del paese. «Siamo dimenticati e abbandonati, qui ci sono solo vecchi,
i giovani sono tutti emigrati», mi dicono più persone, dal sindaco ai passanti,
mentre in tanti si assiepano dietro alle transenne, armati di telefonino. Nella
grande piazza che precede il corso blindato a zona rossa, un gruppo di manifestanti
lancia peluche mentre altri distribuiscono agli anziani cartelli di protesta
scritti in inglese. Un avvocato addobba i balconi del suo studio con bandiere
di Fratelli d'Italia, mentre dalla parte opposta della stessa via una signora,
che entra in casa della cugina con un cartello scritto a mano inneggiante alla
pace, viene fermata e identificata dalla sicurezza. Nella casa di fronte al
Comune, un gruppo di donne sforna caffè per il circo mediatico. Quando la premier
arriva, saluta e lancia un bacio a chi batte le mani. I ministri scendono dai
pulmini che la seguono. La perplessità di molti, fin qui, lasciava comunque
spazio a un paese che si mostrava vivo, nell'applauso e nella protesta, ignaro
che la conferenza stampa che avrebbe fatto seguito al Cdm sarebbe stata
stupefacente, indimenticabile, irresponsabilmente incredibile. Dopo esser
riusciti ad evitare la visita alle vittime (con ancora 60 bare al Palamilone di
Crotone), ai parenti e ai sopravvissuti e dopo aver "dimenticato" di
invitare a Cutro il sindaco di Crotone, Meloni e i ministri non sono riusciti,
a quasi due settimane dalla tragedia, a concordare sulla storia da raccontare,
tra arrogante vittimismo ed evidente inadeguatezza. Dimettersi, per i ministri
responsabili, sembra sempre più l'unica uscita sensata. Sarebbe anche un gran
sollievo, per loro, per tutti. Di seguito, “Governo cinico e atroce: Cutro e le vite degli altri” di Donatella
Di Cesare pubblicato su “il Fatto Quotidiano” del 9 di marzo ultimo: (…). Nessun
governo precedente di questa Repubblica ha mai dato un messaggio così duro e
inesorabile: la vita degli altri conta poco o nulla. Si può calpestare,
abbandonare, far morire. Vale per la migrazione e vale per la guerra. Ecco che
cosa c’è in comune tra i corpi che sul nostro schermo intravediamo, quelli
dello scenario bellico e quelli delle stragi in mare. Questo governo
postfascista tocca l’apice della necropolitica. Si deve intendere con ciò
quella politica che esercita la propria sovranità non solo scegliendo tra chi
può vivere e chi deve morire, ma anche – e qui sta l’escalation – pretendendo
che le vite non vengano salvate e richiedendo la morte come soluzione
necessaria dei conflitti. Il richiamo al sacrificio ha ispirato gli ultimi
discorsi della premier. La guerra si decide “sul campo” fino alla “vittoria”;
per questo mandiamo più armi. Perché una politica non degna di questo nome, che
si è ritratta dalla vita e dalla protezione della vita, anziché negoziare,
chiede famelicamente, da un lato e dall’altro, più corpi da gettare tra le
lamiere. Questa stessa necropolitica non solo lascia morire in mare, ma punisce
chi vorrebbe salvare. Che i mezzi di soccorso restino nei porti! Tanto al
largo, tra le onde, ci sono le vite dei neri, degli straccioni, dei “falsi
rifugiati”, che vogliono venire qui e approfittare del nostro benessere. Che
importano le guerre, che hanno alle spalle, i terremoti, le persecuzioni, le
miserie? La necropolitica ha lo sguardo corto e meschino. È strutturalmente
ipocrita. Così ci si può tagliare in tivvù una ciocca in solidarietà con le
donne iraniane (tanto non si mette a repentaglio la propria esistenza e si fa
un figurone) e contemporaneamente lasciarle morire se sono su un barcone. Non
che prima non si seguisse già questa direzione. Lo dimostrano anni e anni di
fallimentare “governo dei flussi migratori”, dove l’Europa ha brillato per
miopia e atrocità. E l’Italia, lungi dall’essere
un’eccezione, si è fatta valere con le sue leggi poliziesche e i suoi patti
ferma-migranti. Ma oggi c’è qualcosa di più: quell’ombra di morte che
tradizionalmente ha caratterizzato il fascismo, con il suo culto della guerra
(ne parlava Walter Benjamin), si aggiunge – che i meloniani lo vogliano o no –
alla necropolitica già in vigore, rendendola ancora più sfrontata e impietosa.
L’idea che si afferma è che ci siano vite da proteggere, quelle dei cittadini
sovrani di serie a, provvisti già dei propri sostegni, e vite che possono essere
esposte a ogni rischio, abbandonate a ogni rovina, lasciate morire. Non
semplicemente essere deboli con i forti e forti con i deboli (una spiegazione
troppo grossolana); bensì un criterio ben più profondo e inquietante. La
politica che si è ritratta dall’esistenza delle persone non solo decide tra chi
vive e chi muore, ma pretende che il “sacrificio” dei superflui, di cui si
scarica ogni responsabilità, venga accettato senza batter ciglio. Questo
significa anche la giusta definizione di “guerra per procura” che viene
combattuta con corpi altrui.
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