"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi

"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi
"Il bruco" (2017). Nikon Coolpix P900. Foto macro. Stato larvale della falena diurna "Macroglossum stellatarum" volgarmente detta "sfinge colibrì".

mercoledì 29 marzo 2023

Dell’essere. 74 Vinicio Capossela: «Tutto si riduce a un gioco delle parti, alla pura contrapposizione tra un noi e un voi, perdendo di vista dov'è che sta il giusto».


“Dalla parte del torto” di Gino Castaldo, intervista a Vinicio Capossela pubblicata sul settimanale “il Venerdì di Repubblica” del 24 di marzo 2023: (…). «Non è una mia caratteristica, anzi, ho sempre differito, rimandando, utilizzavo i linguaggi in cui mancava il cosiddetto tempo verticale, ho sempre cercato di fuggire dalla dittatura della contemporaneità», (…). Le urgenze possono essere anche di duemila anni, poi arriva il momento in cui si impongono sul resto. (…). …l'urgenza si è imposta per motivi personalissimi, e per l'orrore e il pericolo dell'ultima guerra cominciata il 24 febbraio scorso (2022 nd.r). L'urgenza era quella di dare forma a una sensazione di mondo in cui stiamo vivendo, incidere nella nebulosità, nella melassa dell'infodemia in cui ci dibattiamo, in cui vale tutto e il contrario di tutto, discernere, con i mezzi di bordo a disposizione, era necessario chiamare le cose col loro nome».

(…). …c'è stata la dolente sofferenza del brano La crociata dei bambini, oggi arriva La parte del torto. È il pezzo che definisce la svolta, il momento in cui è nato il progetto? «Beh, di sicuro sono sobbalzato quando ho sentito l'attuale presidente del Consiglio citare una delle frasi più celebri di Brecht: "Ci sedemmo dalla parte del torto perché gli altri posti erano occupati", emblema di un certo modo di intendere il mondo e da che parte stare, ovvero la parte degli oppressi. La usò invece per dichiarare: noi non entreremo in questo governo Draghi non c'era più nulla che valeva, e questo ha messo in moto una serie di riflessioni. Di sicuro musicalmente mi è venuto di ricorrere al vecchio Morricone, perché questo continuo senso di sfida, di duello che non porta a nulla mi faceva venire in mente l'epica del western, quelle facce, quelle minacce, "il buono il brutto e il cattivo". Ma la verità è che ognuno ha bisogno dell'altro, e mi piaceva l'idea di una musica di frontiera, dove la frontiera che si infrange è quella morale. La canzone è diventata La parte del torto, perché non c'è più questa parte così definita, tutto si riduce a un gioco delle parti, alla pura contrapposizione tra un noi e un voi, perdendo di vista dov'è che sta il giusto».

E come c'entra la musica con tutto questo? «La musica può sempre essere messa al servizio della storia da raccontare, si può essere polimorfi, disinvolti perché c'è una musica per tutto, ce lo insegnavano già i greci, c'è una musica per piangere, una per ridere... L'importante è avere una forma chiara, più la forma è definita, strofa, ritornello, attenzione alla metrica, più il messaggio può arrivare in forma diretta».

La musica può essere una rappresentazione delle idee? «Avevo un pianoforte a cui i miei nipoti avevano rotto parecchi tasti. Ho provato a suonare quelli che erano rimasti. Così è nato il pezzo Con i tasti che ci abbiamo, vuole dire provare ad attrezzarsi, a mettere in salvo le cose, a stabilire quali siano i benirifugio. Anche a costo di finirci trafitto da quei tasti, come un San Sebastiano trafitto dalle frecce che ha provato a tirare (…). Una melodia si può ottenere anche solo usando i tasti ancora rimasti. Una melodia semplice, sdentata, ma anche forte, che riafferma il "potere dell'immaginazione". E allora, per estensione, ogni cosa si dovrà fare con quello che si ha, non con quello che si desidererebbe avere. Da quello che c’è in cucina al pianeta che abbiamo a disposizione, sempre dovremo confrontarci con la finitezza delle cose, e nei limiti abituarci a vedere una possibilità».

È possibile tracciare una linea di demarcazione? Il mondo in fin dei conti peggiora o migliora? «Il capitalismo porta avanti la sua natura, con la demolizione di tutte le garanzie sociali. La sensazione di un' apocalisse servita a piccole dosi tutti i giorni è molto forte, questo modello è ben riassunto dall'uso del cibo che si è imposto (…) non importa cosa mangi, è la massima realizzazione della libertà individuale, grazie a un cambiamento del ruolo della politica che ha smesso di fornire modelli, utopie, si è messa al livello dell'individuo, per garantire il suo appetito, l'importante è che ne mangi quanto ne vuoi perché sei libero di farlo, poi quello che comporta questo mangiare è secondario, se ci si guarda intorno è una grossa mangiatoia, siamo gastrolatri... ma è anche vero che di fronte a questo c'è una forte reazione. È molto interessante che proprio in questi anni stiano avvenendo delle prese di coscienza a livello diffuso che fino a qualche anno fa non erano possibili».

Non pensa che il persistere della guerra sia alla fine il più grande fallimento dell'umanità? «C'è un pezzo in cui ricordo l'Ariosto che raccontava l'apparire dell'archibugio, sembravano armi magiche, concedevano per la prima volta di poter uccidere a distanza. Tutto parte da quell'archibugio, anche la fruizione di questo che è a distanza, grazie al cosiddetto "divano occidentale". C'era uno spot tedesco durante la pandemia che diceva: sarete ricordati come quelli che hanno resistito stando sul divano. Una bella allegoria, in un mondo così domiciliarizzato, ci arriva tutto e noi lo accogliamo sul divano. È un fallimento dell'umano, ma sicuramente il capitale l'ha fornito di mezzi e strumenti».

Il suo non potrebbe essere considerato, come si diceva un tempo, un album concept? «(…). …la musica ha subito una atomizzazione, come la società del resto, questo individualismo riguarda anche la fruizione della musica».

Anche le canzoni sono diventate individualiste? «Certo, uno gli album li può anche concepire, ma sembra che l'algoritmo ti faccia conoscere il già conosciuto. Come autore è una catastrofe fare un disco nuovo, perché l'algoritmo ripropone pezzi che ha già riproposto, è un selezionatore. Quest'epoca è straordinaria perché abbiamo un'accessibilità a tutto, gratuita, e già su questo bisogna fare attenzione perché quando non paghi bisogna vedere se non sei tu la merce... dunque c'è la possibilità di arrivare dove prima non si arrivava ma paradossalmente si tende a conoscere le cose già conosciute. (…).»

(…). …ridare significato alla canzone d'autore, nel senso del giusto posto in questo mondo, con la dovuta capacità di essere vigili su ciò che accade... «Cito di nuovo Ariosto, autore di un mondo di lettere fantastiche, che fu mandato a fare il governatore in Garfagnana. La sua frustrazione maggiore era nel non poter offrire altro che parole. Anche la canzone è fatta di parole, ma anche con la leggerezza di una canzone qualcosa si può fare. Le parole di per sé sono un simbolo, e così come "la parte del torto" possono mutare significato: oggi la parola libertà è perfetta per il neoliberismo, intesa come deresponsabilizzazione, il mantra di ogni populismo. Succede se si slega il concetto di libertà da quello di responsabilità».

Considerando l'irrompere dell'urgenza, in precedenza si è mai sentito al contrario chiuso in una torre d'avorio? «Diciamo che mi piace studiare, e quindi nel caso più che una torre d'avorio sarebbe una biblioteca... ma nessuno scrive veramente da solo, le cose a volte diventano urgenti e le canzoni possono essere un modo di partecipazione e di amore. La mia piccola biografia personale definisce il passaggio dalla vita individuale a un senso dell'umano un po' più ampio. È un modo di leggere le cose cercando di conservare la sensazione del bello, mantenendo il senso della meraviglia. Puoi anche parlare di guerra ma ci si può salvare attraverso il linguaggio poetico, anche se a volte non basta più e occorre utilizzare un linguaggio più diretto, che non ammetta fraintendimenti».

Nessun commento:

Posta un commento