Ha
scritto Diego Bianchi – in “La guerra
dentro” - nella Sua consueta rubrica sul settimanale “il Venerdì di
Repubblica” del 4 di marzo ultimo: «Ridatemi la pandemia», dice Anita
guardando il
telefonino mentre guardo la tv che guarda la guerra cominciata da qualche ora, di notte
in Ucraina, di buon
mattino al risveglio da noi. Lo dice a mo' di battuta mia figlia, lei che andava
manifestando verso
la maturità dopo due anni di ansie, insofferenza e privazioni, pensando
come tutti noi di aver ormai meritatamente scavallato il peggio; ma la
sensazione improvvisa di avere la guerra alle porte, e quindi in testa e nei pensieri, benché
plasticamente ancora distante, è forte al punto da rimpiangere già il passato
più triste, comunque conosciuto. Le sue compagne di classe si passano video di
TikTok, con immagini di parate militari e conferenze stampa di leader mondiali
al posto dei balletti scacciapensieri di un tempo, che poi è ieri. «In due anni mi
sono già fatta una pandemia e ora una guerra», insiste lei sarcastica, e mentre la ascolto e
inspiegabili sensi di colpa mi colgono, penso a come anche adesso le parole
debbano essere pesate e pensate, dopo due anni passati a parlare della pandemia
come della "nostra guerra" in virtù del fatto che a noi, giovani,
meno giovani, e attempati europei occidentali, una guerra vera non era mai capitata. Altre guerre
abbiamo visto,
anche molto vicine, al di là della costa adriatica o mediterranea, ma
questa, ufficialmente e mediaticamente, è già la "nostra guerra" a prescindere dai
chilometri che ci separano dal colpo di mortaio più vicino. Nostra perché
quelle di prima
sui telefonini non ci arrivavano, perché i social non c'erano, WhatsApp
non esisteva, quello che facevamo
si vedeva meno e le bollette del gas non subivano conseguenze immediate. Nostra perché tutte quelle che avvengono in giro per il mondo, se il mondo non
è il nostro, "nostre" non sono. Guerre come quella da cui scapparono
Naji e Ola, giovane coppia siriana fuggita dai bombardamenti su Homs,
conosciuta nel 2015 a Chios, Grecia, dopo che aveva attraversato l'Egeo su un
gommone di fortuna partito dalla Turchia. Coppia che ora vive con due bambini
piccoli nella Germania che li ha accolti. La guerra può capitare a chiunque, pensai
allora e penso adesso. La guerra non dovrebbe capitare a
nessuno, penso ingenuamente
ancora adesso che leggo in chat dotte e argomentate trattazioni di geopolitica
di amici e conoscenti ansiosi di schierarsi senza indugi. Lontani i tempi in
cui ci si divideva per vaccino o Green Pass. Lontanissimi i tempi in cui si
ascoltava di più, si parlava di meno, e solo delle cose che si sapevano. Ammesso siano mai
esistite. Di seguito, “Il
destino di una guerra nel cuore dell’Europa”, riflessioni del filosofo
francese Edgar Morin pubblicate sul quotidiano “la Repubblica” di ieri 10 di
marzo 2022: Mentre scrivo, ricordo l'angoscia che mi assalì quando ci fu la crisi
dei missili di Cuba del 1962. Ero ricoverato a New York, in ospedale, e il mio
amico Stanley Plastrick mi aggiornava quotidianamente, dicendomi giorno dopo
giorno che New York rischiava di essere rasa al suolo da una bomba atomica. Poi
si arrivò a un compromesso e Krusciov ritirò i missili. Oggi, in modo diverso,
vedo che siamo prossimi all'orlo del precipizio e nell'incertezza più completa
circa il domani. Semplice e complesso. Cerchiamo di vederci chiaro e di capire
ciò che è a uno stesso tempo facile e complesso. La semplicità sta nel fatto
che vi sono un aggressore e un aggredito, che l'aggressore è una grande potenza
e l'aggredito è una nazione pacifica. La complessità sta nel fatto che il
problema ucraino è non soltanto tragico e sconvolgente, ma ha varie
implicazioni intricate e collegate tra loro e molteplici incognite. Cerchiamo
quindi di capire quale potrebbe essere una soluzione di pace che non trasformi
nella pace del cimitero l'Ucraina. Ricordiamo che l'Ucraina fu divisa alla fine
del XVIII secolo dalla Polonia (che a sua volta fu scissa più avanti),
dall'impero russo e da quello austriaco. Divenne indipendente con due guerre
successive alla rivoluzione del 1917, ma fu conquistata e integrata nell'Unione
Sovietica nel 1920. La sua popolazione rurale subì in modo molto crudele la
collettivizzazione e la grande carestia del 1931. Alcuni ucraini vissero una
fase di illusione portata dalla Wermacht: nel 1941 l'indipendentista Bandera,
diventato collaboratore, proclamò sotto l'occupazione tedesca una
pseudo-repubblica indipendente. Ma gli ucraini parteciparono attivamente alla
resistenza contro il nazismo. Quando l'Urss si sgretolò, Ucraina e Bielorussia
ottennero l'indipendenza in accordo con la Russia, comandata ai tempi da
Eltsin. La situazione dell'Ucraina si aggravò in concomitanza con l'aggravarsi
dei rapporti tra Russia e Stati Uniti. Non soltanto è una preda geopolitica
allettante per la Russia e l'America: l'Ucraina è anche una preda importante
sul piano economico. È la prima fornitrice europea di uranio, la seconda di
titanio, manganese e mercurio. Ha la più estesa superficie di terre coltivabili
d'Europa, il 25 per cento della terra nera del pianeta, produce ed esporta
orzo, mais e innumerevoli altri prodotti agricoli. Dopo una rivoluzione
democratica, l'Ucraina fu sottomessa a una pressione crescente da parte della
Russia e nel 2014 auspicò di entrare a fare parte dell'Unione europea. Putin
annetté quindi la Crimea e tutelò la sollevazione e poi l'autonomia della
regione russofona del Donbass. Fece riconoscere che la Crimea era una provincia
tartara russificata ma non ucraina, e che l'Ucraina avrebbe potuto mantenere il
Donbass con una soluzione federale. Putin giustificò il suo operato proclamando
il 18 marzo 2014: "Ci hanno mentito a più riprese. Hanno preso decisioni a
nostra insaputa. Ci hanno messo davanti al fatto compiuto. Tutto ciò è avvenuto
con l'espansione verso est della Nato, l'Organizzazione del Trattato
dell'Atlantico del Nord, e con il dispiegamento di strutture militari alle
nostre frontiere". In effetti, era appena scoppiata una guerra nel
Donbass, malgrado gli Accordi di Minsk. E da allora non si è mai fermata. In un
articolo pubblicato su Le Monde il 3 maggio 2014 avevo previsto il pericolo:
"Purtroppo, l'impotenza dell'Occidente non è soltanto di carattere
militare, per ciò che concerne l'Europa, ma è anche un'impotenza della volontà.
È un'impotenza del pensiero politico. Un'impotenza del pensiero in generale.
Sarebbe auspicabile che Hollande, Fabius e Manuel Valls prendessero coscienza
del grave e atroce moltiplicarsi dei pericoli e proponessero un piano di pace
coerente, quello di un'Ucraina federale, anello di congiunzione tra est e
ovest. Non siamo più al punto in cui bisogna puntare al meglio: siamo al punto
in cui si deve evitare il peggio". Dal 2014, il processo infernale di
retroazioni conflittuali tra est e ovest si è aggravato e il peggio è arrivato
nel febbraio 2022. L'ingranaggio. Questo processo è stato provocato a uno
stesso tempo dall'ambizione crescente di Putin, desideroso di inglobare la
parte slava dell'impero russo nella sua sfera di influenza e dall'allargamento
concomitante della Nato intorno alla Russia. Più in generale, è determinato dai
conflitti di interesse che si sono intensificati tra le due superpotenze dopo
il periodo di intesa tra Bush e Putin nel 2001. La Russia si è ricostruita come
superpotenza militare e ha stabilito le sue zone di influenza in Siria e in
Africa; c'è stata una reintegrazione sanguinosa della Cecenia con due guerre
(1994-1996 e 1999-2001); c'è stato l'intervento militare in Georgia (2008);
infine c'è stata una pressione crescente sull'Ucraina. Contemporaneamente, nel
2003 è iniziata, senza mandato dell'Onu, la seconda guerra di invasione
dell'Iraq da parte degli Stati Uniti, catastrofica per tutto il Medio Oriente,
seguita da guerra interne almeno fino al 2009; c'è stata l'invasione della
Libia nel 2011. Infine, gli Stati Uniti hanno iniziato a combattere in
Afghanistan dal 2001 al 2021. Nel 1991 il presidente americano ha promesso
verbalmente a Gorbaciov che la Nato non si sarebbe più allargata verso le ex
democrazie popolari, ma nel 1999 la Nato ha integrato su loro richiesta la
Polonia, la Repubblica Ceca, l'Ungheria, poi le repubbliche baltiche, seguite
da Romania, Slovenia (2004), e poi ancora da Albania e Croazia nel 2004,
creando di fatto un accerchiamento della Russia (con due aperture soltanto,
Georgia e Ucraina). Questo accerchiamento "oggettivo" ha fatto
ricordare al Cremlino l'accerchiamento dell'Urss dai Paesi capitalisti tra le
due guerre e il "contenimento" della Guerra fredda. Da qui, in modo
soggettivo, si è evoluta una vera e propria ossessione in Putin e il suo regime
autoritario si è irrigidito. Con il pretesto della guerra contro l'Afghanistan,
gli Usa hanno installato alcune basi militari nelle ex repubbliche sovietiche
del Sud, in Uzbekistan, in Tagikistan e in Kirghizistan, e di fatto hanno
accerchiato la Siberia. Non si può nascondere il ruolo di opposizione sempre
maggiore che le due superpotenze hanno avuto per allargare o salvaguardare le
rispettive zone di influenza, né si può nascondere l'accerchiamento a opera
della Nato. Il fatto importante è che, dal ritiro dall'Afghanistan, gli Stati
Uniti sono ormai decisi a evitare di impegnarsi in qualsiasi conflitto lontano,
mentre il governo ucraino aspira a essere protetto dall'Unione europea e dalla
Nato. Bisogna anche pensare che Vladimir Putin risente sempre più fortemente di
ciò che è tollerato dagli Stati Uniti: nello specifico l'ingerenza militare nei
Paesi sovrani è condannata dalla Russia. Non tollera che l'Ucraina passi a
ovest. Sa che gli Stati Uniti non interverranno militarmente se dovesse
invadere l'Ucraina. Forse, immagina un'invasione rapida e ha già organizzato
delle riserve nel caso di sanzioni economiche, di cui per altro sottovaluta le
conseguenze sul lungo periodo, ma forse pensa di riuscire a regolare il tutto
in breve tempo. Senza addentrarmi in speculazioni psicologiche, posso
immaginare l'evolversi di questo spirito autoritario, per il quale le
democrazie occidentali sono decadenti, e che irrigidisca sempre più il suo
regime militare-di polizia in Russia che in passato, intorno al 2001, ai tempi
di reciproca simpatia con Bush, aveva creduto che gli Stati Uniti avrebbero
trattato decorosamente il suo grande Paese. Tende a non considerare il fatto
che le guerre in Cecenia, i suoi interventi in Georgia e infine in Ucraina nel
2014 di fatto hanno messo in allarme l'America e l'Europa. Putin, all'inizio
cauto e scaltro, nel 2014 si è mostrato aggressivo e ormai è preda di una
rabbia terribile e incontenibile. Bisogna anche tenere presente che mentre le
truppe russe si concentrano alla frontiera dell'Ucraina, il primo marzo di
quest'anno Biden ha fatto un discorso intransigente a parole, ma ha aggiunto
anche le seguenti parole cruciali: "Non combatteremo un'altra guerra"
che, legittimamente, disequilibrano gli Stati Uniti nel rapporto di forza. Del
resto, nessun popolo, nessun governo in Europa ha contemplato di combattere una
guerra per l'invasione dell'Ucraina, malgrado i continui appelli del presidente
Zelenski e i molteplici tentativi di negoziazione di Macron con Putin. La
difficoltà di fare la guerra alla guerra. L'eroica resistenza del presidente
Zelensky, del suo governo, del popolo ucraino indubbiamente deve aver sorpreso
Putin, come del resto suscita grande ammirazione da parte nostra. Putin è arrivato
addirittura ad abbandonare la sua enorme menzogna del processo di
denazificazione, e ormai parla solo di nazionalisti ucraini. Senza dubbio, ha
contribuito a unificare l'Ucraina democratica. Nello stesso modo, Putin ha
unificato l'Europa, nella sua esecrazione e nella sua reazione, quanto meno per
un po'. L'Occidente cerca di fare tutto il possibile senza l'essenziale, ossia
la guerra, che sarebbe una catastrofe generale che farebbe precipitare
l'Ucraina, l'Europa e l'America in un terrificante nuovo conflitto mondiale.
Questo è il motivo alla base di una risposta soltanto economica, fatta di
molteplici sanzioni generalizzate (personalmente mi ripugnano profondamente
quelle che colpiscono la cultura, la musica, il teatro e le arti); poi la
risposta si è allargata agli aiuti economici, e poi a materiale bellico spedito
all'Ucraina, e poi si è organizzata l'accoglienza dei profughi. Infine, si è
formata una legione di volontari disposti a combattere per l'Ucraina. Uno degli
aspetti della tragedia è che non ci si può permettere né di esser deboli né di
essere forti e si è costretti ad andare avanti tra le due opzioni in modo
incerto. Premesso ciò, occorre tener presente che le sanzioni colpiscono anche
coloro che le decretano. Pertanto, l'Europa rischierà di incorrere in una
penuria di gas e di altri prodotti. La guerra economica sarà efficace a lungo
termine, ma da qui ad allora l'Ucraina sarà stata inghiottita. Potrebbe avere
ripercussioni maggiori in Russia, impoverire la popolazione, suscitare una forte
opposizione (le informazioni vere arrivano già adesso attraverso mille canali
privati nelle città russe), rafforzare o rovesciare il regime autoritario di
Putin. Qual è e dove è il confine tra guerra economica, aiuti sotto forma di
armi, intervento di volontari e guerra vera e propria? I bombardamenti, le
rovine, i morti, l'esodo che lontano da noi riguardavano la Siria, l'Iraq, la
Libia, l'Afghanistan, adesso sono alle nostre porte. Da qui si arriva alla
minaccia, ripetuta più volte da Putin, di un'arma incontrollabile contro coloro
che attaccheranno la Russia: "Sarete tutti polverizzati". Putin
sarebbe davvero capace, in un eccesso di rabbia, di arrivare a tanto? Quale che
sia la deriva verso una guerra che per atrocità supererebbe le due guerre
mondiali precedenti, non è impossibile. Tutto è incerto. Tutto è pericoloso.
Nel momento in cui scrivo, Kiev non è ancora caduta. Macron ha effettuato un
ennesimo e valoroso sforzo presso Putin, ma senza risultati. La soluzione di
compromesso accettabile per tutti sarebbe un'Ucraina neutra e federale, vista
la sua diversità etnica e religiosa. Tale soluzione, però, al momento non è
accessibile. Un regolamento pacifico della guerra permetterebbe negoziati più
generalizzati tra Russia, Stati Uniti, Europa. Non so se l'Unione europea che
sta emergendo durante questa crisi perdurerà. Subentrerà comunque un nuovo
elemento: il riarmo tedesco, che darà alla Germania un'egemonia che non sarà
più soltanto economica. In attesa di una soluzione ipotetica, sussiste il
pericolo. Come trovare la via da percorrere tra debolezza colpevole e
intervento irresponsabile? In ogni caso, troppo spesso abbiamo visto che le
conseguenze degli interventi armati sono andate contro le intenzioni e le
decisioni, tanto in Oriente quanto in Occidente.
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