Ha scritto Natalia Aspesi in “Noi che abbiamo vissuto la guerra” pubblicato sul settimanale “il
Venerdì di Repubblica” dell’11 di marzo 2022: (…). …io della guerra ho ricordi
vaghi e nessun sentimento di orrore. Perché bambini e adolescenti sono,
eravamo, più forti di quanto si pensa, perché io avevo una madre speciale che
non mi ha mai comunicato paura, perché come dicono i sapienti, ho rimosso?
Eravamo sfollati a Riva del Garda dove mia madre era stata mandata come maestra
elementare, e in tre abitavamo nell’aula di una scuola abbandonata, un bagno in
comune con le altre famiglie. Mi piaceva. Una notte un gruppo di giovani
altoatesini irruppe nelle case contadine e fece fuori nel sonno una decina di
ragazzi sospettati di tradimento. La mamma volle tornare a Milano, mia sorella
frequentava le magistrali, io le medie, avevo una prof di italiano meravigliosa
che ci faceva leggere gli indimenticabili romanzi della Medusa tipo Graham
Greene. Al pomeriggio andavo a schettinare in un campo sportivo non lontano e
in un tratto di strada senza case c’era sempre un vecchietto con la patta
aperta a cui sapevamo non doverci avvicinare. Se suonava l’allarme tornavo
verso casa e mi fermavo nel primo rifugio. Le notti passate in cantina parevano
un’avventura, non vedevamo rovine perché i nostri dintorni non furono
bombardati. L’unico vero grande disagio era la fame, quella sì crudele. Andavo
io, allora magrissima a ritirare il pane con la tessera, 50 grammi per gli
adulti 100 per noi ragazzini: era l’orribile pane di carrube, nero, umido,
molle: il pane bianco era un povero sogno irraggiungibile. Vedo dalle tante
immagini dei piccoli ucraini in fuga che anche loro sorridono, protetti da
questa magia della vita che è sopravvivere a tutto senza troppe ferite del
cuore. Ma i nostri nemici, gli Alleati, erano attesi come salvatori, ora gli
invasori russi sono veri nemici. Senza una sola ragione. Che l’Europa dei buoni
propositi riesca a ottenere la pace. Di seguito, “Le tante badanti ucraine e quelle verità sgradite” di Gad Lerner,
pubblicato su “il Fatto Quotidiano” del 25 di febbraio 2022 (secondo giorno
della invasione dell’Ucraina): È a loro che per prime dovremmo dare la parola:
alle badanti ucraine. Quante ne avete conosciute? Sono più di 200 mila, immigrate in Italia. La
storia europea l'hanno vissuta sulla loro pelle. Da ragazze hanno fatto in
tempo a conoscere l'oppressione del regime sovietico. Nel 1991 hanno esultato
per la conquista dell'indipendenza seguita però da un crollo dell'economia
pianificata, accompagnato dal dilagare della criminalità, tale da costringerle
all'emigrazione per mantenere figli e mariti. Ora curano i nostri nonni e i
nostri bambini. Non riusciremmo più a farne ameno. Ci fidiamo di loro. Ma loro,
possono fidarsi di noi? Non sfuggo ai dilemmi della geopolitica che oggi ci
s'impongono con l'urgenza di una nuova, devastante guerra europea. Putin ci ha
fatto capire con la sua consueta brutalità quanto poco lo spaventino le
ritorsioni economiche contro la Russia, e quanto poco gli importi versare il
sangue dei loro cari. Forse che saremmo disposti a sfidare il rischio di un conflitto
nucleare per difendere la libertà della giovane repubblica indipendente di
Ucraina? Le badanti sanno benissimo che non combatteremo al fianco del malandato
esercito di Kiev. Telefonano a casa, sentono in diretta le esplosioni. Provano
i sentimenti dell'angoscia e dell'abbandono. Forse non ricordano che nel 1956
concedemmo asilo politico ai profughi in fuga dopo l'invasione sovietica
dell'Ungheria, e lo stesso nel 1968 dopo l'invasione della Cecoslovacchia. Ma
sanno che, sebbene non esista più il Patto di Varsavia, neanche stavolta gli
eserciti occidentali si opporranno con la forza alla prepotenza di Mosca,
decisa a ripristinare quella "sfera d'influenza" imperiale che, a
torto o a ragione, considera vitale per la propria sopravvivenza. Quanto ai
profughi, sanno come li maltrattiamo. Da entrambe le parti fioccano i richiami
a pretestuose formule novecentesche: Putin vaneggia di "denazifìcazione"
dell'Ucraina, come se rivendicare la libertà di quel popolo comportasse nostalgia
di un nazionalismo aggressivo. Il governo di Kiev replica paragonando
l'invasione russa del 2022 all'Operazione Barbarossa scatenata da Hitler nel
1941. Inutile propaganda innestata sugli strascichi della guerra civile seguita
alla rivoluzione del 1917 che proprio in Ucraina conobbe il suo tragico
epicentro, Armata Rossa contro Armate Bianche. Basta visitare quei luoghi per constatare
il lascito d'odio che vi perdura. Il rosso e il bruno si sono nel frattempo
miscelati velenosamente: non a caso un avventuriero divenuto personaggio
letterario come Eduard Limonov, cresciuto nella periferia desolata di Charkiv,
fondò un partito che si definiva nazionalbolscevico. Limonov, strenuo
oppositore di Putin, oggi plaudirebbe alla sua offensiva. Non è solo l'ex
ambasciatore Sergio Romano, (…), a giudicare irresponsabile la scelta di
circondare la Russia post-sovietica con gli arsenali della Nato. Rileggo
l'avvertimento che Romano Prodi consegnò al Corriere della Sera nel 2015: "Se
vuoi che l'Ucraina non sia membro della Nato e dell'Uc, ma sia un Paese amico
dell'Europa e un ponte con la Russia, devi avere una politica coerente con
questo obiettivo. Se l'obiettivo è portare l'Ucraina nella Nato, allora crei
tensioni irreversibili". Purtroppo ci siamo arrivati. E pazienza se riconoscerlo
ti attira la stolta accusa di essere filorusso. Dobbiamo solo sperare che il
richiamo di Polonia, Lituania, Estonia e Lettonia all'articolo 4 della Nato non
preluda ad azioni sconsiderate, tali da allargare il teatro dei combattimenti.
La decisione di non fornire armamenti all'Ucraina annunciata prima
dall'Ungheria e poi dalla Germania, per fortuna sembra andare nella direzione
opposta. Evitiamo paragoni fuorvianti. Putin è un autocrate criminale, ma il suo
progetto neozarista è altra cosa dal piano di dominazione mondiale del Terzo
Reich. È duro ammetterlo, tanto più guardando negli occhi le nostre badanti
ucraine. Ma oggi più che mai la pace si difende con la pace. Assistiamo
impotenti al sopruso di cui è vittima una nazione grande due volte l'Italia. Ne
subiamo conseguenze gravi che si sommano alla pandemia Covid nel minacciare il
nostro tenore di vita e le nostre riserve energetiche. Ma non è viltà escludere
un ricorso alle armi che, al di là dei proclami tonitruanti al presunto
"riallineamento atlantista", vedrebbe ben presto dividersi le democrazie
occidentali. Allo smacco del ritiro dall'Afghanistan si somma l'ormai quasi
certa riconquista russa dell'Ucraina. In un mondo multipolare l'egemonia
atlantica ha fatto il suo tempo. Troverà nuovi equilibri se l'Unione europea
perseguirà con saggezza la propria autonomia politica ed energetica, instaurando
con i suoi vicini zone di neutralità e collaborazione paritaria. Solo allora i
despoti alla Putin saranno costretti a fare i conti con le aspirazioni democratiche
delle loro società.
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