"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi

"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi
"Il bruco" (2017). Nikon Coolpix P900. Foto macro. Stato larvale della falena diurna "Macroglossum stellatarum" volgarmente detta "sfinge colibrì".

giovedì 17 marzo 2022

Lavitadeglialtri. 18 «È a loro che per prime dovremmo dare la parola: alle badanti ucraine».

 

Ha scritto Natalia Aspesi in “Noi che abbiamo vissuto la guerra” pubblicato sul settimanale “il Venerdì di Repubblica” dell’11 di marzo 2022: (…). …io della guerra ho ricordi vaghi e nessun sentimento di orrore. Perché bambini e adolescenti sono, eravamo, più forti di quanto si pensa, perché io avevo una madre speciale che non mi ha mai comunicato paura, perché come dicono i sapienti, ho rimosso? Eravamo sfollati a Riva del Garda dove mia madre era stata mandata come maestra elementare, e in tre abitavamo nell’aula di una scuola abbandonata, un bagno in comune con le altre famiglie. Mi piaceva. Una notte un gruppo di giovani altoatesini irruppe nelle case contadine e fece fuori nel sonno una decina di ragazzi sospettati di tradimento. La mamma volle tornare a Milano, mia sorella frequentava le magistrali, io le medie, avevo una prof di italiano meravigliosa che ci faceva leggere gli indimenticabili romanzi della Medusa tipo Graham Greene. Al pomeriggio andavo a schettinare in un campo sportivo non lontano e in un tratto di strada senza case c’era sempre un vecchietto con la patta aperta a cui sapevamo non doverci avvicinare. Se suonava l’allarme tornavo verso casa e mi fermavo nel primo rifugio. Le notti passate in cantina parevano un’avventura, non vedevamo rovine perché i nostri dintorni non furono bombardati. L’unico vero grande disagio era la fame, quella sì crudele. Andavo io, allora magrissima a ritirare il pane con la tessera, 50 grammi per gli adulti 100 per noi ragazzini: era l’orribile pane di carrube, nero, umido, molle: il pane bianco era un povero sogno irraggiungibile. Vedo dalle tante immagini dei piccoli ucraini in fuga che anche loro sorridono, protetti da questa magia della vita che è sopravvivere a tutto senza troppe ferite del cuore. Ma i nostri nemici, gli Alleati, erano attesi come salvatori, ora gli invasori russi sono veri nemici. Senza una sola ragione. Che l’Europa dei buoni propositi riesca a ottenere la pace. Di seguito, “Le tante badanti ucraine e quelle verità sgradite” di Gad Lerner, pubblicato su “il Fatto Quotidiano” del 25 di febbraio 2022 (secondo giorno della invasione dell’Ucraina): È a loro che per prime dovremmo dare la parola: alle badanti ucraine. Quante ne avete conosciute?  Sono più di 200 mila, immigrate in Italia. La storia europea l'hanno vissuta sulla loro pelle. Da ragazze hanno fatto in tempo a conoscere l'oppressione del regime sovietico. Nel 1991 hanno esultato per la conquista dell'indipendenza seguita però da un crollo dell'economia pianificata, accompagnato dal dilagare della criminalità, tale da costringerle all'emigrazione per mantenere figli e mariti. Ora curano i nostri nonni e i nostri bambini. Non riusciremmo più a farne ameno. Ci fidiamo di loro. Ma loro, possono fidarsi di noi? Non sfuggo ai dilemmi della geopolitica che oggi ci s'impongono con l'urgenza di una nuova, devastante guerra europea. Putin ci ha fatto capire con la sua consueta brutalità quanto poco lo spaventino le ritorsioni economiche contro la Russia, e quanto poco gli importi versare il sangue dei loro cari. Forse che saremmo disposti a sfidare il rischio di un conflitto nucleare per difendere la libertà della giovane repubblica indipendente di Ucraina? Le badanti sanno benissimo che non combatteremo al fianco del malandato esercito di Kiev. Telefonano a casa, sentono in diretta le esplosioni. Provano i sentimenti dell'angoscia e dell'abbandono. Forse non ricordano che nel 1956 concedemmo asilo politico ai profughi in fuga dopo l'invasione sovietica dell'Ungheria, e lo stesso nel 1968 dopo l'invasione della Cecoslovacchia. Ma sanno che, sebbene non esista più il Patto di Varsavia, neanche stavolta gli eserciti occidentali si opporranno con la forza alla prepotenza di Mosca, decisa a ripristinare quella "sfera d'influenza" imperiale che, a torto o a ragione, considera vitale per la propria sopravvivenza. Quanto ai profughi, sanno come li maltrattiamo. Da entrambe le parti fioccano i richiami a pretestuose formule novecentesche: Putin vaneggia di "denazifìcazione" dell'Ucraina, come se rivendicare la libertà di quel popolo comportasse nostalgia di un nazionalismo aggressivo. Il governo di Kiev replica paragonando l'invasione russa del 2022 all'Operazione Barbarossa scatenata da Hitler nel 1941. Inutile propaganda innestata sugli strascichi della guerra civile seguita alla rivoluzione del 1917 che proprio in Ucraina conobbe il suo tragico epicentro, Armata Rossa contro Armate Bianche. Basta visitare quei luoghi per constatare il lascito d'odio che vi perdura. Il rosso e il bruno si sono nel frattempo miscelati velenosamente: non a caso un avventuriero divenuto personaggio letterario come Eduard Limonov, cresciuto nella periferia desolata di Charkiv, fondò un partito che si definiva nazionalbolscevico. Limonov, strenuo oppositore di Putin, oggi plaudirebbe alla sua offensiva. Non è solo l'ex ambasciatore Sergio Romano, (…), a giudicare irresponsabile la scelta di circondare la Russia post-sovietica con gli arsenali della Nato. Rileggo l'avvertimento che Romano Prodi consegnò al Corriere della Sera nel 2015: "Se vuoi che l'Ucraina non sia membro della Nato e dell'Uc, ma sia un Paese amico dell'Europa e un ponte con la Russia, devi avere una politica coerente con questo obiettivo. Se l'obiettivo è portare l'Ucraina nella Nato, allora crei tensioni irreversibili". Purtroppo ci siamo arrivati. E pazienza se riconoscerlo ti attira la stolta accusa di essere filorusso. Dobbiamo solo sperare che il richiamo di Polonia, Lituania, Estonia e Lettonia all'articolo 4 della Nato non preluda ad azioni sconsiderate, tali da allargare il teatro dei combattimenti. La decisione di non fornire armamenti all'Ucraina annunciata prima dall'Ungheria e poi dalla Germania, per fortuna sembra andare nella direzione opposta. Evitiamo paragoni fuorvianti. Putin è un autocrate criminale, ma il suo progetto neozarista è altra cosa dal piano di dominazione mondiale del Terzo Reich. È duro ammetterlo, tanto più guardando negli occhi le nostre badanti ucraine. Ma oggi più che mai la pace si difende con la pace. Assistiamo impotenti al sopruso di cui è vittima una nazione grande due volte l'Italia. Ne subiamo conseguenze gravi che si sommano alla pandemia Covid nel minacciare il nostro tenore di vita e le nostre riserve energetiche. Ma non è viltà escludere un ricorso alle armi che, al di là dei proclami tonitruanti al presunto "riallineamento atlantista", vedrebbe ben presto dividersi le democrazie occidentali. Allo smacco del ritiro dall'Afghanistan si somma l'ormai quasi certa riconquista russa dell'Ucraina. In un mondo multipolare l'egemonia atlantica ha fatto il suo tempo. Troverà nuovi equilibri se l'Unione europea perseguirà con saggezza la propria autonomia politica ed energetica, instaurando con i suoi vicini zone di neutralità e collaborazione paritaria. Solo allora i despoti alla Putin saranno costretti a fare i conti con le aspirazioni democratiche delle loro società.

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