"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi

"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi
"Il bruco" (2017). Nikon Coolpix P900. Foto macro. Stato larvale della falena diurna "Macroglossum stellatarum" volgarmente detta "sfinge colibrì".

giovedì 31 marzo 2022

Doveravatetutti. 22 Donatella Di Cesare: «La libertà di pensiero è il diritto alla complessità. Anche il diritto di comprendere il male».

Ha scritto l’amica carissima Agnese A. a commento del post di ieri: “La lettura di questo stupendo post è una preziosa fonte di riflessioni fondamentali e necessarie. "L'intera Europa sta al gioco paranoide del despota Putin, parla la sua stessa lingua, invoca lo stesso fuoco della guerra..." (Tomaso Montanari). Purtroppo bisogna prendere atto del fatto che l'Unione Europea ha ormai intrapreso un percorso contrario a quello che è il proprio principio fondatore: promuovere la pace. Infatti ha scelto di affermarsi come potenza militare globale. E tutto ciò è veramente pericoloso e preoccupante, perché il militarismo alimenta solo tensione, instabilità, distruzione e devastazione e non contribuisce mai alla stabilità e alla pace. (…)”. E di quella “paranoia” (?) ne ha scritto oggi sul quotidiano “la Repubblica” lo psicoterapeuta Massimo Recalcati in “Il narcisismo bellico di Putin”: (…). …tutti i regimi non democratici sono tendenzialmente sospinti verso la guerra perché, rigettando il difficile lavoro del lutto, perseguono una realizzazione della verità che esclude forzatamente la divergenza e il pluralismo imposti dalla legge della parola (…). La guerra tende ad annichilare l'ostilità del mondo esterno mirando ad uniformare la vita in un solo mondo. Al pensiero democratico dell'integrazione si sostituisce quello autocratico della scissione; all'arte della diplomazia e della mediazione quella del sopruso e della violenza bellica. Non è forse quello che sta accadendo anche in questa ultima sanguinosa guerra? Anziché procedere nell'elaborazione collettiva del lutto per la perdita della grande Russia e dei suoi territori dovuta all'inarrestabile attrazione dei popoli verso la libertà e la democrazia, dopo lo scioglimento del Patto di Varsavia, anziché accettare, appunto, il lutto necessario imposto dalla democrazia (non esiste un solo popolo, una sola lingua, una sola verità), il miraggio autocratico di Putin si rivela fatalmente nostalgico, ancorato all'idea di un Impero separato dal mondo che egli intende restaurare nelle sue fondamenta. Con la complicazione ulteriore che il suo rifiuto del lutto non provoca solo l'aggressione di un Paese (l'Ucraina) considerato come un proprio territorio ingiustamente perduto, ma evoca la minaccia del ricorso all'arma atomica. Qui si vede bene la radice autodistruttiva del narcisismo umano sulla quale la psicoanalisi ha sempre scabrosamente insistito: l'estrema affermazione della propria potenza di controllo - la bomba atomica - coincide con l'estremo rischio di perdita di ogni controllo e di autoannientamento. Distruttività e autodistruttività sono, infatti, sempre legate come il retro e il verso di uno stesso foglio. Si vede drammaticamente nella bomba atomica: l'immenso potere di questo ordigno di guerra mentre assegna una potenza illimitata a chi lo detiene, lo lega altresì ad un fatale destino di auto-annichilimento. Lo strumento della distruzione rivela così la sua cifra pienamente autodistruttiva. È la vocazione profondamente suicidaria di ogni narcisismo maligno: l'affermazione illimitata di se stessi coincide con la propria autodistruzione. Se Freud aveva messo in luce come in ogni guerra la morte esce dall'oblio seminando angoscia e rivelando la nostra natura più vulnerabile, nella minaccia atomica non è solo lo spettro della nostra morte a venire evocato, ma la fine del mondo in quanto tale. Se agli occhi di Freud la Prima guerra mondiale aveva animato la più radicale angoscia di castrazione, in questo difficilissimo passaggio storico viene promossa un'angoscia profondamente psicotica. La possibilità di una declinazione atomica della guerra non ci fa solo sentire impotenti - accade nello scoppio di ogni guerra convenzionale - ma mette a rischio, come avviene in un vero e proprio delirio psicotico di "fine del mondo", la nostra stessa sopravvivenza sul pianeta. E sempre oggi ma su “il Fatto Quotidiano” Donatella Di Cesare – “filosofa”, editorialista, professore ordinario di “Filosofia teoretica” alla Università "La Sapienza" di Roma - in «Armiamoci e al rogo i “Complessisti”!» affronta il problema della negazione della “complessità” nel e del mondo del ventunesimo secolo, negazione che segna come un precipitoso e preoccupante ritorno ad atteggiamenti di intransigenza dialettica e di violente contrapposizioni che metteranno a rischio la convivenza, se non la sopravvivenza stessa, del genere umano. Ha scritto: (…). Il deteriorarsi del dibattito pubblico nelle democrazie occidentali non è un fenomeno di oggi. Lo aveva già scorto Leo Löwenthal, esponente della Scuola di Francoforte, che con acume analizzò l’America degli anni Cinquanta, dove disagio e disorientamento avrebbero aperto le porte non solo al maccartismo, ma anche all’ascesa di una destra autoritaria. Di recente questo fenomeno si è acuito al punto che si parla di “grande regressione” per indicare brutalità e rozzezza che imperversano nella sfera pubblica. La bolla di Internet non ne è il motivo, ma contribuisce all’odio aperto, alle fantasie di violenza, agli insulti osceni. La guerra – si sa – è rivelatrice. Fra l’altro ha messo in luce, ancor più della pandemia, questa regressione che mina al fondo la democrazia rischiando di cancellarla. La violenza schematica sta già nel voler stabilire l’inizio, nel fissare il principio. Meglio, poi, se è tutt’uno con il Male impenetrabile. “La violenza putiniana che viene dal cielo…”. C’è uno fuori di testa, un matto, un folle oppure – e propagandisticamente è lo stesso – un tiranno, un dittatore, che ha deciso di dirottare il corso della storia umana, le sue magnifiche sorti. Guai a interrogarsi su quel principio, ad andare oltre guardando al contesto, provando a esaminare le cause. È pericoloso, anzi ambiguo e infido, già quasi un cedimento al male, un compromesso con il nemico. Mica risaliamo a chissà quando! In tutta tranquillità si può ignorare il “resto”, perché quel che conta è solo sentirsi nel giusto. C’è il male e il bene, l’autocrate e le democrazie, la repressione e la libertà. Ringrazia piuttosto di essere da questa parte, perché dall’altra saresti già in galera. E dunque taci! Smetti di fare domande fastidiose e riconosci il fatto oggettivo che in sintesi è: A ha invaso B. Punto. Altrimenti detto: il grosso ha picchiato il piccolo. E tutti non potranno fare a meno di essere con quest’ultimo. In questa nuova concezione della storia che, alla faccia di Hegel, ben si adatta alla foga regressiva, non c’è assolutamente nulla da capire. C’è appunto solo da allinearsi nell’ordine bellico, favorito da schemi ideologici. Non vorremmo certo che la gente discuta le cause della guerra mondiale nel cuore dell’Europa, che le conosca davvero! Tutt’al più si possono buttare lì un paio di paragoni perché si senta sollevata: Putin = Hitler, combattenti ucraini = partigiani italiani, ecc. Non importa se la storia non sia quella novecentesca, se la potenza nucleare muti il significato stesso di guerra. Viva la pigrizia mentale condita di malafede. La semplificazione investe anche l’interlocutore che ha comunque torto e va perciò delegittimato a priori. Anche qui non c’è nulla da capire. Sarà tutt’al più un neneista di sinistra. Dice sciocchezze e amenità. Merita sarcasmo, scherno, se non disprezzo, astio, aggressività. Da tempo il livore anti-intellettuale non emergeva in forma così esasperata. Poi magari c’è chi rimpiange “gli intellettuali di una volta”, anche perché non sono qui a importunare. In tutto questo non stupisce che perfino la “complessità” sia stata presa di mira e sia, anzi, assurta a stigma. Come se si trattasse di un esercizio inutile o di una confusione pretestuosa. Eppure, sappiamo che uno dei grandi pericoli oggi è, al contrario, la semplificazione, la scorciatoia (come quella complottistica) per venire a capo di un mondo difficile da interpretare. Non è più la natura a essere impenetrabile, ma è ormai la storia umana a divenire per noi sempre più enigmatica. Si è spezzato il filo della narrazione. Di qui l’ansia per il futuro che non è mai stato così incerto. La reazione, però, non può essere quella dei nostalgici di una leggibilità del passato. Mai come ora è necessario quel che la tradizione occidentale ci ha insegnato: dalla domanda di Socrate, che proprio salvaguardando la democrazia metteva in forse le certezze dei suoi concittadini, fino al sospetto di Marx, di Nietzsche, di Freud, che vuol dire meno falsa coscienza, più avvedutezza. Studio, interpretazione, giudizio sono la base della democrazia. Non servono solo gli esperti, che peraltro non sono mai neutrali. Altrimenti tutti i cittadini sarebbero deresponsabilizzati nelle scelte politiche – come l’invio di armi – che li riguardano direttamente. Occorrono invece le domande, e tanto più se sono spiazzanti, perché ci aiutano a cambiare prospettiva, a vedere quel che accade sotto una nuova angolazione trovando magari la via d’uscita dalla trappola. Un computer è un meccanismo complicato; qualcuno l’ha progettato e aprendolo si può veder l’intreccio di parti. La storia umana è invece complessa, perché agiscono molte dimensioni. Applicare gli schemi A – B è grottesco. L’illeggibilità del mondo, di cui parlava Hans Blumenberg, è oggi sotto gli occhi di tutti. Gridare “all’armi” limitandosi a mettere l’elmetto sulla mente, come fanno alcuni, non serve davvero. Non abbiamo bisogno di paraocchi, ma di confronto aperto, dibattito critico, spazi interpretativi comuni. Questi sono i valori democratici occidentali. Noi complessisti cerchiamo di farcene carico in questo momento grave in cui vengono richieste solo adesioni empatiche alla guerra. La libertà di pensiero è il diritto alla complessità. Anche il diritto di comprendere il male, di decostruirlo, senza per questo giustificarlo. Certo, poi riconosciamo di essere pur sempre complessisti molto imperfetti, non abbastanza vigili, non sempre capaci di capire. Ma se ci fossero più complessisti a interrogarsi sui motivi, forse un po’ delle guerre in corso avrebbero potuto essere evitate.

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