"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi

"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi
"Il bruco" (2017). Nikon Coolpix P900. Foto macro. Stato larvale della falena diurna "Macroglossum stellatarum" volgarmente detta "sfinge colibrì".

martedì 29 marzo 2022

Notiziedalbelpaese. 58 «La barbarie regna tra di noi qui, nella nostra convivenza, e certo non delinea un orizzonte di pace per il futuro».

Ha scritto Enzo Bianchi in “La barbarie regna tra noi” pubblicato sul quotidiano “la Repubblica” del 28 di marzo 2022: Verrebbe voglia di restare muti di fronte a questa guerra combattuta, narrata, discussa soprattutto attraverso menzogne. Siamo passati dall'essere attaccati dal contagio virale della pandemia all'essere inondati da un'estensione virale di menzogne che ritenevamo impensabile. La guerra si è estesa ben oltre i confini russo-ucraini, è presente e attestata tra di noi come scontro, barbarie che rende impossibile ogni ascolto e ogni confronto, come antagonismo teologico-politico che vede il Male solo da una parte e il Bene solo dall'altra. Quando scoppia una guerra - qualsiasi guerra - la prima vittima non è la verità, ma il pensiero perché la guerra è aliena dalla ragione. Quando poi una guerra avviene perché una nazione vuole guidare il mondo, convinta che le spetti per destino o per vocazione storica, allora si rinnova l'esito disastroso della torre di Babele, il progetto del potere totalitario e universale che genera violenza e confusione tra le lingue incapaci di comunicare tra loro. La guerra è già una sciagura, ma genera guerra anche tra le parti non belligeranti prive della consapevolezza del futuro che stanno preparano. Non si tratterà solo della ricostruzione di ciò che è stato devastato, ma di un cammino di riconciliazione molto più lungo, perché la memoria conserva sempre cicatrici che stentano a rimarginarsi. Chi ci guadagna da una tale guerra? Non quelli che la combattono, ma i produttori di armi, tra i quali sono ben presenti quelli che combattono questa guerra per procura, non direttamente, ma attraverso le armi fornite ai belligeranti e mandando mercenari. Chi non crede al destino bellico si ribella, fa resistenza e non confida in una unità dell'Europa trovata soltanto nella decisione di aumentare le spese per gli armamenti. Questa mia lettura non è equidistanza, perché l'aggressore resta un aggressore, ma non è possibile che in un Paese come il nostro, che si vanta di essere una democrazia matura, emerga tanta intolleranza e purtroppo anche disprezzo verso chi non si sente in coscienza di appiattirsi sul pensiero dominante dei poteri occidentali. Proprio mentre il nostro governo decideva un aumento delle spese per gli armamenti, Papa Francesco ha avuto la parresìa di dire: "Io mi vergogno quando un gruppo di Stati si impegna a spendere il 2% del Pil per l'acquisto di armi come risposta a quel che sta succedendo. È pazzia!". Queste parole del Papa le si censurano, oppure le si sopportano con sufficienza; ma se le dicono altri in sintonia con lui vengono giudicati ingenui o sono fatti oggetto di "lapidazioni" verbali, come è successo per alcuni interventi pacati di uomini e donne di cultura. Parlare sembra inutile, perché ogni voce che dichiari che la guerra è "aliena dalla ragione", essendo voce sottile e mite, è disprezzata, e ogni analisi del conflitto che tenti di interrogarsi sulle cause e le responsabilità è soffocata dalla retorica belligerante. La barbarie regna tra di noi qui, nella nostra convivenza, e certo non delinea un orizzonte di pace per il futuro. Di seguito, “In guerra dal salotto con soluzioni semplici: una recita grossolana”, intervista di Antonello Caporale all’antropologo Marino Niola pubblicata su “il Fatto Quotidiano” di ieri, lunedì 28 di marzo 2022: Professor Niola, c’è un furore bellicista, un’arietta da combattimento, una voglia di fare a cazzotti. Sembra quasi che non vediamo l’ora di dirci in guerra con la Russia e regolare i conti definitivamente. - Diceva il grande Max Weber che il furore della follia bellica fa effetto anche a chi non combatte. Magari nel salotto di casa si esercita fantasticando con la mente: bum, bum -.

Questo clima non è mai appartenuto all’Italia che ha fatto sempre fatica a schierarsi, a indossare la tuta da combattimento. Andreotti, Berlinguer e Craxi, per dire dei tre maggiori esponenti politici dell’ultimo spicchio di Novecento, hanno sempre scelto di fare un passo di lato davanti a questioni che imponevano una scelta di campo. Eravamo così codardi ieri? - Penso invece che la posizione italiana fosse saggia e intelligente. Si è andata indebolendo quando abbiamo perso interpreti di uguale peso politico -.

Oggi sembriamo tifosi. - Per quel poco che capisco di politica mi pare che il clima muscolare sia stato agevolato dalla convinzione che Lega e Cinque Stelle fossero intimi della Russia. C’è così stato un raddoppio di motivazioni, una voglia in più di regolare i conti con Mosca con l’intento non dichiarato di regolarli in casa nostra -.

Davvero solo questo? - Abbiamo avuto la pandemia nella quale si è consolidato un linguaggio di parte, muscolare, antagonista, anche patriottico. Avevamo il virus come nemico. Dai canti dal balcone all’inno di Mameli, dai fondi delle pentole come rulli di tamburo siamo passati alla lotta in campo libero. C’è stata la guerra con i no vax: su ambedue i fronti uno scambio intenso di parole come pallottole -.

La guerra ci ha dunque trovati già bene armati con le parole. - Sa che Thomas Hobbes, il padre del pensiero politico moderno, utilizzava due distinte parole per dire guerra? La prima, in senso proprio, era war. L’altra, per definire una condizione di stato, era warre. Si avvicina alla nostra guerra fredda. In questo tempo le parole orientano, costruiscono una realtà da cima a fondo. Ricorda la barzelletta? -.

Quale barzelletta? - Il nonno ateo che al nipotino, allevato alla preghiera dalla mamma timorata di Dio, domanda: piccolo, vuoi più bene al diavolino o alla madonnaccia? La parola dunque influenza, condiziona, risolve persino la questione -.

Si dice che la questione è semplice: stare con l’Ucraina oppure con la Russia. - Dobbiamo stare con l’Ucraina, è del tutto naturale. Ma non dobbiamo abdicare al nostro pensiero -.

Convengo con lei. - Non deve bastarci questo assunto -.

C’è guerra fredda anche tra il popolo della semplificazione e quello della complessità. Chi complica i ragionamenti aiuta la Russia, si dice. - Beh, l’eccessiva semplificazione rappresenta però una recita politica grossolana. Si ricordi che le dittature adottano sistemi semplificati di orientamento del pensiero. La soluzione è sempre a portata di mano, la vittoria vicinissima. La complessità ci aiuta invece a guardare le questioni e approfondire le contraddizioni -.

Però gli effetti della cancel culture, la più barbarica delle operazioni di reset di ogni pensiero dissonante, si sono visti anche da noi. - Quel che è accaduto alla Bicocca a Milano, aver cassato il programma di lezioni su Dostoevskij, ci fa capire in quale tempo viviamo -.

Il tempo della warre. - Ecco Hobbes, appunto la warre. L’ispessimento delle parole, la voglia di trovare il nemico e metterlo in riga con tutti gli epiteti possibili, anche con la derisione, anche con l’offesa personale. I social sono il catino della contumelia, il deposito dell’oltraggio e di ogni altra zozzeria -.

Durerà questa guerra delle parole? - Credo di no, dico di no. Penso che ancora qualche settimana e poi cambieremo programma in tv -.

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