"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi

"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi
"Il bruco" (2017). Nikon Coolpix P900. Foto macro. Stato larvale della falena diurna "Macroglossum stellatarum" volgarmente detta "sfinge colibrì".

mercoledì 23 marzo 2022

Dell’essere. 32 «Il metropolita di Kiev Onuphrij: "Non c'è un nemico da distruggere, ma un fratello che non abbiamo il diritto di uccidere"».

 

Ha scritto Enzo Bianchi in “La guerra delle Chiese” pubblicato sul quotidiano “la Repubblica” di lunedì 21 di marzo 2022: I morti aumentano tra civili e giovani soldati ucraini e russi. Le popolazioni colpite dalle bombe sono disperate, in fuga ed errabonde, e le macerie lasciate dalla guerra sfigurano quelle terre. Anche se si arrivasse a un armistizio, giungerebbe troppo tardi: l'inutile strage è avvenuta e nessuno è riuscito a fermarla. Anzi, in molti modi si è alimentato il conflitto. Nel libro Vita e destino di Vasilij Grossman, un monaco folle in Cristo rivela: "La storia degli uomini non è la lotta del bene che cerca di vincere il male, ma è la lotta del male che cerca di distruggere quel poco di umanità che continua a vivere. Ma per ora ciò che è umano non è distrutto, allora il male non vincerà!". Anche noi non sappiamo dire altro in questa terribile guerra, che vede la follia di chi ha scatenato un conflitto che non avrà vincitori. Ma anche se rischia di interessare pochi, va denunciata la presenza di cristiani che per vocazione dovrebbero essere "operatori di pace" nella compagnia degli uomini. Ebbene cosa fanno? Si ha vergogna ad accettarlo ma è la realtà: le chiese sono diverse, ma se quella russa con il Patriarca Kirill ha dato l'appoggio all'aggressione motivandola anche come guerra escatologica tra bene e male e dichiarando che è "un'azione per mantenere unito il mondo russo", il primate della chiesa ortodossa ucraina Epiphany ha detto che "nostro comune compito è difendere la patria, respingere il nemico tiranno", e il capo della chiesa greco-cattolica Shevchuk ha proclamato che "è sacro dovere difendere la patria perché le vittorie dell'Ucraina sono le vittorie di Dio sulla bassezza del nemico!". Quello che non pensavamo più possibile per i cristiani è avvenuto: si è sacralizzata una guerra e la religione è stata invocata come giustificazione del conflitto. Sui fronti opposti le chiese hanno ceduto alla tentazione del nazionalismo e quando religione e nazionalismo si intersecano la miscela è esplosiva. Solo il metropolita di Kiev Onuphrij (chiesa ortodossa russa) ha chiesto a Putin "di fermare la guerra fratricida che non ha giustificazioni né per Dio, né per l'uomo!". E ricordava: "Non c'è un nemico da distruggere, ma un fratello che non abbiamo il diritto di uccidere". Parole luminose, chiare, cristiane. E noi cattolici... siamo invitati a pregare, a pregare per la pace, a consacrare, a consacrare i paesi in guerra al cuore immacolato di Maria. Pregare è necessario, non per far cambiare atteggiamento a Dio, ma per cambiare noi. Dio non manda la guerra e non la toglie. Siamo noi le braccia di Dio che possiamo decidere di fare la guerra o la pace. Pregare moltiplicando le parole lo fanno i pagani, gli idolatri, ha detto Gesù! Inoltre, quando si prega da cristiani non si prega per la vittoria degli uni sugli altri, né contro un nemico. La preghiera poi non deve ferire i non cattolici. Con questa guerra, l'ecumenismo tra le chiese, che già attraversa un inverno, è ulteriormente ferito e sconfessato. Di seguito, “La peste del nazionalismo uccide la nostra umanità” di Tomaso Montanari, pubblicato su “il Fatto Quotidiano” del 21 di marzo 2022: “La patria non è l'astrazione che manda gli uomini al massacro, ma un certo gusto della vita che è comune a certi individui: la sua vita, i cortili, i cipressi, le trecce di peperoni, i paesaggi assolati, e non i fondali teatrali in cui un dittatore si inebria della propria voce, e soggioga le masse". Salgono alle labbra queste parole di Albert Camus (1937) quando si vede, su twitter, che il messaggio ucraino in cui si esulta per l'uccisione di un certo, efferato, militare russo (di cui si posta una fotografia) riceve migliaia di "like" dall'Italia. Putin è un despota criminale, la sua è una guerra di aggressione, l'autodifesa degli ucraini è indiscutibilmente legittima: e però davvero qua, in Italia, dobbiamo esultare per l'uccisione di un umano, guardandolo in faccia? Non vorrei discutere della legittimità delle scelte (inviare le armi o no), o dell'enormità del rischio nucleare – quello per cui queste notti mi sveglio di soprassalto. Vorrei solo dire che facendoci risucchiare nel baratro dei nazionalismi stiamo uccidendo "l'umano nell'uomo", per usare un'espressione carissima a Vasilij Grossman, gigantesco scrittore russo, nato in Ucraina ed ebreo, vittima del nazismo e poi dello stalinismo. Chi si trovò a dover combattere contro il fascismo e il nazismo non pensò di farlo per una qualche specifica patria, ma anzi per la fine di ogni nazionalismo: "Siamo antifascisti non tanto e non solo perché siamo contro quel complesso di fenomeni che chiamiamo fascismo; ma perché siamo per qualche cosa che il fascismo nega ed offende, e violentemente impedisce di conseguire. Siamo antifascisti perché in questa epoca di feroce oppressione di classe e di oscuramento dei valori umani, ci ostiniamo a volere una società libera e giusta, una società umana che distrugga le divisioni di classe e di razza e metta la ricchezza, accentrata nelle mani di pochi, al servizio di tutti. Siamo antifascisti perché nell'uomo riconosciamo il valore supremo, la ragione e la misura di tutte le cose, e non tolleriamo che lo si umilii a strumento di Stati, di Chiese, di Sette, fosse pure allo scopo di farlo un giorno più ricco e felice. Siamo antifascisti perché la nostra patria non si misura a frontiere e cannoni ma coincide col nostro mondo morale e con la patria di tutti gli uomini liberi (Carlo Rosselli, 1934). Per costruire questa cittadinanza universale la cultura è la leva fondamentale. Per questo, imporre agli artisti russi di rilasciare pubbliche dichiarazioni di condanna del loro governo, o chiudere le collaborazioni di ricerca con glistudiosi russi, è un terribile errore. In questi giorni, è stato Alberto Leiss a evocare (su il Manifesto) l'antidoto più giusto. Sono parole di un arabo cristiano che, studiando la percezione occidentale dell'Oriente, cita un tedesco che studiava filologia romanza, che a sua volta cita un monaco medioevale: un intarsio di tempi, di diversità e di luoghi che basterebbe a mostrare il valore universale di questo messaggio. Ebbene, a Edward W. Said (in Orientalismo, 1978) stava a cuore "la tradizione umanistica di coinvolgimento in culture e letterature nazionali differenti dalla propria", e per questo ricordava come il grandissimo Erich Auerbach concludeva le sue riflessioni sulla Filologia della letteratura mondiale (1952) con una significativa citazione dal Didascalicon di Ugo di San Vittore (XI secolo): "L'uomo che trova dolce il luogo natale è ancora un tenero principiante; quello per cui ogni suolo è come il suolo nativo è già più forte; ma perfetto quello per cui l'intero mondo è un paese straniero". Il monaco medievale, commentava Auerbach, "si riferisce a chi ha come mèta la liberazione dall'amore per il mondo. Ma anche per chi voglia raggiungere il giusto amore per il mondo, questa è sempre una buona strada''. La morale, spiega Said, è che "più si è capaci di staccarsi dalla propria patria culturale, più è agevole giudicarla, e giudicare il mondo stesso, con quel distacco culturale e quella generosità indispensabili per un'autentica visione delle cose. E tanto più, inoltre, si riuscirà a valutare se stessi e le altre culture con l 'identica combinazione di intimità e distanza". Ebbene, in queste ore in cui chi protesta in Russia contro una guerra fratricida è arrestato perché “filoucraino”, e in Italia chi protesta contro la corsa alla guerra atomica è bollato come "filorusso"; in queste ore in cui leggere Dostoevskij è sospetto; in queste ore in cui torna a risuonare nei discorsi di politici e giornalisti "un terribile amore per la guerra" (James Hilmann); in queste ore in cui "le azioni sono considerate buone o cattive non per il loro valore intrinseco, ma a seconda di chi le compie" (così Orwell nei suoi Appunti sul nazionalismo, 1945), è vitale trovare la forza per prendere le distanze dalla propaganda, e per criticare innanzitutto la nostra parte e la nostra patria. In un momento in cui tutta l'umanità è davvero in pericolo, l'unica identità che conta è quella umana.

1 commento:

  1. "Il mio pacifismo è un sentimento istintivo, un sentimento che mi abita perché l'omicidio è ripugnante. Non nasce da una teoria intellettualistica, ma da un profondo orrore per ogni forma di odio e di crudeltà. Il nazionalismo è una malattia infantile. È il morbillo dell'umanità".(Albert Einstein). " Tutte le guerre sono civili, perché tutti gli uomini sono fratelli che spandono il loro proprio sangue".(Francois Fenelon). "Pensate ai bambini affamati nei campi dei rifugiati:pensate a questo soltanto! Questo è il frutto della guerra!". (Papa Francesco). "La guerra non si può umanizzare, si può solo abolire".(Albert Einstein). "Non c'è mai stata una guerra buona o una pace cattiva".(Benjamin Franklin). Grazie per questo post stupendo e molto prezioso che nasce da una profonda e matura percezione dei gravi problemi di questo pericoloso momento che stiamo vivendo... Problemi determinati e sostenuti anche, purtroppo, dalle chiese,non indenni da colpe, perché pervase da nazionalismi e particolarismi. Grazie ancora e buona continuazione.

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