“Politica&condizione umana”. Ha scritto Michele
Serra in “Oligarchia non è democrazia”,
pubblicato sul quotidiano “la Repubblica” di domenica 6 di marzo 2022: (…). …ditemi
se sbaglio, il contrario del comunismo avrebbe dovuto essere democrazia, non
oligarchia. Nell'ultimo decennio del Novecento, sotto Boris Eltsin (zar Boris,
abbiamo poca fantasia nei nomignoli, noi dei media) una cerchia molto ristretta
di persone si è intestata per intero l'immenso patrimonio statale dell'Unione
Sovietica. Come sia potuto avvenire è uno dei grandi misteri della storia contemporanea.
Oggi si sente dire che l'umiliazione della Russia profonda, dopo il
disfacimento dell'Urss, è una delle cause prima del successo politico e poi
dell'aggressività di Putin (quasi tutti i dittatori, del resto, attingono forza
dalla sofferenza popolare). Sarebbe importante domandarsi quanta di questa
umiliazione dipende, come dire, da un problema tutto interno alla Russia,
ovvero la spaventosa iniquità della ripartizione del bottino. Patrimoni
multimiliardari (vuol dire: una sola persona possiede molte migliaia di milioni
di euro) che hanno poco a che fare con una crescita economica equilibrata e
coinvolgente, con la nascita di un ceto medio democratico, con il miglioramento
diffuso delle condizioni di vita. La Russia prima ingabbiata e imbavagliata,
poi, aperta la gabbia, spogliata e di nuovo imbavagliata. Al primo posto,
nell'agenda politica del buon senso, dovrebbe esserci: attivare forti,
costanti, solidali rapporti con i democratici russi, ovunque essi siano o si
nascondano. Di seguito, “Noi,
spettatori dell’abisso” di Ian McEwan, pubblicato sul quotidiano “la
Repubblica” del 6 di marzo 2022: (…). La tensione fra due forze opposte è
insostenibile: da un lato, l'orrore per un'invasione senza senso, l'ammirazione
per la capacità di resistenza degli ucraini, gli abitanti di un paesino che
inveiscono disarmati contro un carro armato russo o danno da mangiare a un
soldato di leva russo catturato che singhiozza mentre gli consentono di
telefonare alla madre, il dolore per lo spettacolo di bambini terrorizzati
rannicchiati addosso ai loro genitori dentro i bunker mentre la loro città
viene distrutta; dall'altro, la colonna di 60 chilometri in attesa alle porte
di Kiev che sappiamo potrebbe essere distrutta nel giro di un pomeriggio da
missili cruise a guida satellitare e caccia Stealth invisibili ai radar. La
fibbia che trattiene l'Occidente è la paura di una guerra nucleare e Vladimir
Putin, assurto al rango di avversario squilibrato e imprevedibile, se l'è
giocata bene. E così eccoci qui, bloccati sulla sedia da un bluff che non
osiamo andare a vedere, osservatori esperti che cliccano con il mouse e
scorrono lo schermo del cellulare, incapaci, nell'angoscia che ci accomuna, di
fare granché al di là delle sanzioni e delle donazioni di armi, elemosine e
invettive. In tutti i momenti della lunga fase in cui la Russia ha ammassato
forze intorno ai confini dell'Ucraina, il privilegio di fare la mossa
successiva è sempre spettato a Putin, e a all'Occidente quello di rispondere, e
questa, secondo la teoria dei giochi, è sempre una posizione debole. Chi ha il
coltello dalla parte del manico prima cerca cooperazione, poi, quando non la
ottiene, torna alla carica alzando la posta. Ma la Nato non è un unico
giocatore, è una folla di trenta alleati e quando sono i gruppi a prendere le
decisioni tendono alla moderazione. Ci sono fantasmi che si aggirano in questo
circo. Nel 1914 le nazioni europee dichiaravano solennemente di volere la pace
mentre avanzavano "come sonnambuli" verso la guerra. Ci arrivarono
per piccoli passi, senza l'intralcio degli incubi di un inverno nucleare. Ora
siamo costretti a interpretare i processi neurali
corrotti di un unico uomo e dei suoi sogni malati. È la sanzione del
"matto" nella tattica nucleare: se non puoi fare affidamento sul
fatto che il tuo avversario agisca in modo logico a proprio vantaggio devi
rimanere immobile sul posto in attesa della sua prossima mossa, senza poterti
prendere il rischio di un intervento diretto. Ci sono fantasmi più recenti nell'anello
del circo, fantasmi che hanno i nomi di Grozny, Aleppo e Idlib. Lì la strategia
russa è stata di distruggere dal cielo ospedali, ambulatori, quartieri
residenziali e scuole per demoralizzare la popolazione. In Ucraina, con le
truppe russe che arrancano faticosamente, si stanno cominciando a vedere le
stesse tattiche crudeli. Le unità di artiglieria hanno sempre goduto di un
privilegio speciale, negato ai "poveri e negletti fanti". Quando
scagliano i loro proiettili al di sopra dell'orizzonte, con attento riguardo
alla matematica delle curve paraboliche, gli artiglieri non sono mai costretti
a guardare negli occhi un bambino che muore. Lo stesso vale per i missili
teleguidati e per le bombe "mirate" lanciate dagli aerei militari.
L'omicidio a distanza è un crimine più semplice, più astratto. I normali
soldati di leva russi non hanno questo lusso del distacco. Quelli che sono
stati catturati o si sono arresi sembrano incredibilmente male informati sulla
loro missione. Sono stupiti dal fatto che nessuno li accolga a braccia aperte
in Ucraina. Se sono particolarmente fortunati, rimangono commossi dalla
gentilezza dei locali. Le linee di approvvigionamento funzionano male,
scompaginate spesso e volentieri dalle forze ucraine, che usano armi anticarro
contro i camion militari e le autocisterne. Si parla tanto della
modernizzazione dell'esercito russo, ma i soldati comuni sembrano essere
trattati come servi della gleba. Quella spaventosa colonna alle porte di Kiev
forse si sta raggruppando e preparando a colpire o forse è un emblema di tutto
quello che sta andando storto sul versante russo. Con approvvigionamenti per
soli cinque giorni assegnati a ogni veicolo, le truppe potrebbero essere
affamate, assetate, a corto di carburante e anche - ed è la cosa più cruciale -
di motivazione per ammazzare altri slavi come loro. Scopriremo presto qual è la
verità. Il paradosso è che più la Russia fallirà sul campo, più l'Ucraina dovrà
temere bombardamenti a tappeto. Non sembra esserci una via d'uscita, perché
anche uno sfolgorante successo militare russo sarebbe un incubo per l'Ucraina.
Un successo sanguinoso potrebbe essere l'esito più probabile. Kherson è caduta,
Mariupol è sottoposta a un'enorme pressione, Odessa potrebbe essere la
prossima. L'Ucraina potrebbe presto essere sopraffatta. La storia recente
dimostra inequivocabilmente la capacità degli alti comandi russi di consentire
atrocità su scala colossale. Nonostante tutta la compassione e l'angoscia che
proviamo, la nostra condizione di spettatori è un lusso. (…). Per ora, in
Occidente, i pensieri sono concentrati per lo più sul punire la Russia. Badiamo
molto ai simboli: un direttore d'orchestra che è stato costretto a dimettersi
dalle cariche che ricopriva a Edimburgo e a Monaco di Baviera, partite di
calcio che vengono cancellate, yacht di oligarchi che vengono sequestrati. Al
di là di questi simboli importanti, solo le sanzioni finanziarie fanno male
davvero, e sono state impressionanti. Ma anche mentre la sua economia crolla,
Putin sembra essersi convinto di poter fare un deserto, come nella celebre
formulazione di Tacito, e chiamarlo pace. È indolore ordinare massacri e
distruzioni nel raccapricciante Stato di polizia di cui è a capo. Se non
cambierà niente al Cremlino, la mente collettiva della comunità internazionale
dovrà pensare a delle soluzioni, perché il pericolo aggiuntivo è quello di uno
sconfinamento del conflitto: con il flusso di armamenti potenti inviati da
europei e americani che entra in Ucraina dal confine polacco, potrebbe
diventare conveniente per Putin decidere di essere in guerra con la Nato, dopo
tutto. Per tutti noi che facciamo il tifo per l'Ucraina, serve un pensiero
creativo che vada al di là di simboli, punizioni e riarmo. Non bisogna
lasciarlo ai tesi confronti improvvisati fra belligeranti in una capanna al
confine bielorusso. Le prospettive non sono incoraggianti. Gli ucraini sono
impegnati in una lotta esistenziale per il Paese che amano. Putin è convinto di
essere destinato ad avere la meglio. Fra l'"espansione a est della
Nato" e "il diritto di uno Stato sovrano di decidere per sé" non
sembra esserci la minima possibilità di compromesso. Ma tutte le cessazioni
delle ostilità partono da posizioni inconciliabili come queste. Una
sofisticata, ma non sofistica, cultura diplomatica che includa la Cina in
questo momento dovrebbe mettere in campo tutte le sue risorse fino allo
sfinimento per escogitare, come prima mossa minima e con tutto l'ingegno e la
compassione che si riescono a mettere insieme, le condizioni di un cessate il
fuoco. Senza questo tentativo saremo condannati a guardare da vicino stragi di
massa: e non ce lo perdoneremo mai.
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