A lato. P. P. P. con la madre Sig.ra Susanna Colussi.
Il 5 di marzo dell’anno 1922 nasceva Pier Paolo Pasolini. Ha scritto Paolo Di Paolo – “Cari ragazzi, leggete lo scrittore corsaro” – sul quotidiano “la Repubblica” del 25 di febbraio 2022, in memoria di Pier Paolo Pasolini:
(…): perché prima
che uno scrittore, come disse Moravia al funerale, battendo i pugni, era un
poeta. «E di poeti ne nascono tre o quattro in un secolo». Aggiunse, con
una lucidità che oggi risulta inoppugnabile: «Quando sarà finito questo secolo,
Pasolini sarà tra i pochissimi che conteranno come poeta». Dietro quella parola,
in apparenza generica, vaga, perché tale è diventata, c'è invece una sconcertante
esattezza. Tutto ciò che Pasolini ha fatto nei suoi cinquantatré anni di vita è
riconducibile alla potenza di un gesto poetico. È un poeta che scrive articoli
di giornali. È poeta nel fiotto di luce estiva che afferra con la macchina da
presa o con lo spirito del narratore realista, è poeta anche nelle pagine
irrisolte, sciatte, abbozzate. È poeta nelle intenzioni, nella prospettiva, nel
dolore sordo, nella chiaroveggenza, e soprattutto nell'incoerenza. Per questo
la cosa più bella che si potesse dire di lui l'ha scritta un poeta suo coetaneo
Zanzotto, raccontando di quando si incontravano ragazzi in una stazione in
mezzo ai campi tra Sacile e Conegliano. Io, dice Zanzotto, «fermo, impiastricciato
nei versi», tu «dappertutto con la tua passione di tutto»: «Sei rimasto là col
tuo coraggio, /dove più delira l'Italia. / Ah, scusami, se ora non so darti / altro
che questo borbottio, da vecchio ormai ... / È solo un povero sforzo, tremore, /
per ricucire, riconnettere in qualche modo / - per un momento solo, per salutarti
- / quello che hanno fatto alle tue ossa e del tuo cuore».
Di seguito, “Nei suoi rifugi corsari” di Nicola Mirenzi,
pubblicato sul settimanale “il Venerdì di Repubblica” dell’11 di febbraio 2022:
Si
arriva in piazzetta e subito si legge una targa: "In questa borgata è
vissuto Pier Paolo Pasolini". Intorno al travertino "in ricordo
di" c'è un mini assembramento di vecchi giovani del posto. (…).
L'appartamento dove Pasolini ha abitato per un paio d'anni, dal 1951 al 1953,
poco dopo il suo arrivo a Roma, è a poche decine di metri. Via Tagliere 3,
primo piano, una sessantina di metri quadri. "Qua stamo a Rebibbia, de là
comincia Ponte Mammolo". Al fondo della strada si intravede un angolo del
carcere. La casa che fu abitata da Pasolini è vuota. Le imposte chiuse. La
vernice screpolata dal tempo. L'aspetto generale, decrepito. Il 17 dicembre
scorso l'asta indetta per venderla è andata deserta. Il prezzo di partenza era
di poco meno di 123 mila euro. "Non la vedi che cade a pezzi? Chi la vuole
'sta casa?". La seconda asta si terrà entro il mese di febbraio e il
Comune di Roma avrebbe in mente di intervenire con un "progetto di
riqualificazione". "Ma te che sei venuto a fa' qua?" chiedono al
cronista. Il 5 marzo saranno cento anni che è nato Pasolini. "E te sembra
che noi parlamo de Pasolini tutto er giorno?" dice Gianni. Poi partono i
ricordi: "Quando uscì er Decamerone semo annati ar cinema a vedello perché
c'era Mirella". E chi era Mirella, una vostra amica? "Ma che amica:
era 'na mignotta!". Seguono dettagli sulle virtù di Mirella. Della casa di
Rebibbia Pasolini scrive in Poeta delle ceneri: "Abitammo in una casa
senza tetto e senza intonaco/ una casa di poveri, all'estrema periferia, vicina
a un carcere. C'era un palmo di polvere d'estate, e la palude d'inverno".
Oggi non è più così. "Qua erano tutti buròni" dice Enzo. Adesso,
invece, non si distingue più dove finiscono le case. "So che a quei tempi
Pasolini se la passava male economicamente". Non si sbaglia. (…). Pasolini
fu licenziato dalla scuola di Valvasone nella quale insegnava. Il Partito
comunista, di cui era segretario di sezione a San Giovanni di Casarsa, lo
espulse per indegnità morale. In un colpo solo, ridotto in miseria e sepolto
dalla vergogna. "In paese ci fu un gran clamore" racconta Elio Ciol,
fotografo, 93 anni a marzo. "Ma credo che il problema più grande Pier
Paolo lo avesse dentro casa". La casa era quella degli avi del ramo
materno, i Colussi. Qui Pier Paolo rimase "solo col dolore mortale di mio
padre e mia madre". Il padre, Carlo Alberto, era un militare, e anche
fascista. Lesse la notizia sul giornale. Tornò a casa e chiese urlando alla
moglie cosa fosse successo. Furioso. Da tempo beveva ed era spesso preda
dell'ira, ma stavolta arrivò al culmine. "Un altro al mio posto si
ammazzerebbe" scrisse Pasolini. Anche per questo, poco più tardi, di
nascosto dal padre, scappò da Casarsa. "Fuggii con mia madre a Roma"
scrive, "come in un romanzo". Prima e dopo. La vita e l'opera di
Pasolini sono spezzate in due da questo trauma. C'è un prima e c'è un dopo la
fuga da Casarsa. Nella vita di prima, c'è Bologna. La città in cui è nato il 5
marzo 1922, in via Borgonuovo 4. Anche qui una targa ricorda solennemente
l'avvenimento ("Qui nacque"). Eppure la casa veramente importante di
Pasolini a Bologna è un'altra, mi spiega Roberto Chiesi, critico
cinematografico e responsabile dell'Archivio Pasolini della Cineteca di
Bologna. "Si trova a via Nosadella 48". Dopo la nascita del
primogenito, i Pasolini cambiano varie case, seguendo i trasferimenti di Carlo
Alberto: Parma, Belluno, Conegliano, Sacile, Cremona, Scandiano. Quando tornano
a Bologna è il 1937. A via Nosadella niente ricorda il passaggio di Pasolini.
Studiò prima al liceo Galvani, poi all'università. Oggi la casa è abitata da
un'attrice, Eleonora Massa. "Ho saputo che era stata casa sua solo quando
ho firmato il contratto d'affitto" racconta. "Il proprietario, dopo
aver chiuso le carte, mi disse: 'E sa, qui ha vissuto anche Pasolini'. La mia
anziana vicina, Maria, se lo ricorda. Sostiene di non averlo mai visto salire
le scale senza libri in mano". In questa casa di Bologna, racconta Chiesi,
Pasolini "scrive i primi versi che saranno pubblicati" e si
"nutre dei libri che acquista a metà prezzo alle bancarelle della libreria
Nanni, al Portico della Morte". Poi c'è il cinema Splendor, gli spettacoli
teatrali, inscenati anche in casa, gli amici letterati e su tutti l'incontro
all'università con il leggendario critico e storico dell'arte Roberto Longhi,
"sguainato come una spada". Le estati le passava a Casarsa, in
Friuli, dove nel 1942 si trasferì definitivamente. Per la madre, durante la
guerra, Bologna era diventata troppo insicura. Pier Paolo matura la sua vocazione
pedagogica, insegnando ai figli dei contadini friulani. "Nella chiesetta
di Sant'Antonio", racconta Elio Ciol, "ci faceva grattare gli
affreschi con la cipolla perché risaltassero meglio i colori e poi ce li
spiegava. Portava delle novità che erano al di là della nostra
immaginazione". Tutt'altro è il Pasolini che arriva a Roma in fuga da
Casarsa. È in preda alla disperazione. La madre va ad abitare dallo zio, lui
affitta una camera, entrambi a piazza Costaguti, nel quartiere ebraico. Lei, Susanna,
farà per un periodo la governante presso una famiglia con due bambini per
guadagnare qualche soldo. Questo lo prostra ancor di più. "L'altro ieri si
è gettato nel Tevere un giovane dai venticinque ai trent'anni", scrive.
"Potrei essere io". In un'altra lettera: "Disgraziatamente devo
vivere per mia madre". Si iscrive al sindacato delle comparse di
Cinecittà. Piazza qualche articolo su giornali cattolici e di destra. E nel
frattempo scopre Roma, traghettato da due guide: Sandro Penna, che lo inizia
all'erotismo omosessuale della città pagana, e Sergio Citti, un imbianchino di
diciotto anni conosciuto sull'Aniene che lo fa immergere nel mondo delle
borgate dall'interno, diventando il suo "dizionario vivente". Si
vanta con gli amici di aver imparato a dire "li mortacci vostra" e si
sente come le persone che abitano Primavalle, il Quarticciolo, Tiburtino,
Pietralata. Loro scartati dalla città. Lui dalla società. "Più da bancario
che da artista". L'appartamento di Rebibbia non era grande. La camera
studio di Pasolini diventava sala da pranzo quando c'erano ospiti. Susanna era
una brava cuoca e gli amici - Attilio Bertolucci, Giorgio Caproni, Carlo Emilio
Gadda - arrivavano col fiasco di Frascati per gustare i suoi manicaretti.
Quando più tardi si trasferirà da Rebibbia a via Fonteiana, "un posto delizioso e dignitoso",
reinventerà letterariamente il mondo delle borgate, con il romanzo Ragazzi di
vita, un successo folgorante per il quale subirà anche un processo per pubblicazione
oscena, avviato dalla segnalazione alla procura del presidente del Consiglio,
Antonio Segni. Rispetto a Rebibbia, le altre tre case che Pasolini avrà a Roma
sono accomunate da un tratto progressivamente sempre più borghese e placido.
Due sono nel quartiere di Monteverde. La prima, appunto, è in via Fonteiana 86.
Lo ricorda l'ennesima targa. Bisogna citofonare per vederla, perché si trova
nell'atrio. La seconda, poco distante, è in via Giacinto Carini 45. È al primo
piano. Al suo posto, oggi, uno studio dentistico. Su, al quinto piano abitava Bertolucci.
Al secondo, invece, il signor Paolo. Giocando, racconta, gli capitava di far
cadere dei giocattoli sul terrazzo sottostante. Pasolini, disturbato, apriva la
porta stizzito. Una scena dissonante rispetto all'estrema gentilezza a cui
viene sempre associato. Alla quale se ne aggiunge un'altra, ancora più intensa.
Nel 1963 Pasolini viene processato per direttissima per il film La ricotta.
L'accusa è vilipendio della religione cattolica. Entra in casa la sera alle
sette e mezza e dà la notizia: "Sono stato condannato". La madre
emette un urlo e sviene. Lui va nell'angolo dove c'è il telefono e chiama
furibondo il pubblico ministero. Gli urla che è responsabile della sofferenza
inflitta alla madre. La terza casa è all'Eur, in Via Eufrate 9, vicino alla
metafisica Basilica dei Santi Pietro e Paolo. Oggi si vede sporgere dal
giardino pensile un delizioso albero di limoni. Pare che la madre all'inizio
abbia fatto fatica ad ambientarsi, poi fu felice di occuparsi del giardino.
Osservando queste case si rimane colpiti dalla strepitosa normalità. Più
Pasolini diventa famoso, ha successo come scrittore e regista, in Italia e
all'estero, più è perseguitato dalla magistratura e scandalizza, più,
paradossalmente, si rafforza nella sua vita domestica un tratto anonimo.
"Quando sono entrato per la prima volta nella casa all'Eur" racconta
il regista Pupi Avati, "ho pensato che sarebbe potuta benissimo essere la
casa di un impiegato, di un bancario. Tutto sembrava fuorché la casa di un
artista". Ogni mercoledì e giovedì Avati andava in via Eufrate per
scrivere la sceneggiatura di Salò o le 120 giornate di Sodoma. "Era come
posseduto. Voleva scrivere l'opera definitiva sul Male, oltrepassare ogni
limite, ogni regola". E tutto questo avveniva in un ambiente del tutto
convenzionale, escluso un enorme lampadario ottocento inglese, di ottone, a più
bracci. Quasi che la sua immaginazione, come la sua vita, avesse bisogno di un
rifugio rassicurante per riuscire a spingersi all'estremo. La sua vita privata
rimaneva fuori di lì. La casa romana era il luogo privilegiato del rapporto con
la madre, ambiva a soddisfare il desiderio e il gusto materno. Per trovare la
prima casa che assomigli davvero a Pier Paolo ci sono da fare circa
un'ottantina di chilometri da Roma e arrivare nell'alto Lazio, in provincia di
Viterbo. "Non citofonate". La casa nella Torre di Chia, Pasolini la
progetta con il suo scenografo Dante Ferretti, ristrutturando un fortilizio
medievale abbandonato. Aveva scoperto la Torre nel 1964 girando la prima scena
in esterno del suo Vangelo secondo Matteo. Scrive che è "nel paesaggio più
bello del mondo, dove l'Ariosto/ sarebbe impazzito di gioia nel vedersi
ricreato con tanta/ innocenza di querce, colli, acque e botri". Se ne
innamora all'istante e decide di comprarla. Ci riuscirà solo nell'autunno del
1970. Di recente la casa è stata venduta a un giovane attore. Quando si arriva
davanti all'ingresso si trova scritto: "Questa è un'abitazione privata.
Non citofonate". Qui Pasolini scrive molte pagine di Petrolio e sale sino
alla perfezione stilistica degli Scritti corsari. "In nessun posto riesco
a lavorare così come in quel posto di querce così perfettamente arcaico. A
lavorare, dico, non a vivere. Io amo vivere in una grande città. E non avrei
mai preveduto che le grandi città italiane sarebbero divenute luoghi così
orribili". Mentre si dispera per la mutazione antropologica che ha
investito l'Italia e soprattutto gli italiani, trova un altro rifugio più a
sud, una villa a Sabaudia che acquista in comproprietà con Alberto Moravia.
"Sa dov'è la casa di Pasolini e Moravia?". "Ma nun so'
morti?" risponde uno dei pochi pescatori sulla spiaggia. La casa è di
colore chiaro. Ha una forma estremamente geometrica. "Ci andavamo anche
d'inverno" mi racconta Dacia Maraini. "Pier Paolo si concedeva un
paio d'ore per nuotare o giocare sulla spiaggia, poi lavorava come un
pazzo". Sembra di rivederlo su queste dune, salire e scendere come un
folletto, al modo in cui è ripreso nel documentario La forma della città. Dice
che il fascismo che ha costruito Sabaudia non è riuscito a intaccare
minimamente la realtà italiana. Mentre la civiltà dei consumi nel giro di pochi
anni l'ha distrutta. Scrive ancora: "Per me l'unico modo giusto per vivere
fuori dalla città è vivere in una grande città straniera". Pare volesse
comprare casa in Africa, altre volte la immaginava ancora più lontano, a
Sana'a, nello Yemen. Ninetto Davoli gli diceva: "A Pa' ma come fai coi
film?". La risposta è misteriosa. Ma è verosimile dedurre che Pasolini non
avesse smesso di cercare, oltre a tutto il resto, anche il posto giusto dove
abitare.
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