"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi

"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi
"Il bruco" (2017). Nikon Coolpix P900. Foto macro. Stato larvale della falena diurna "Macroglossum stellatarum" volgarmente detta "sfinge colibrì".

domenica 27 marzo 2022

Eventi. 53 «In guerra vale tutto, sangue e merda non sono più una metafora».

 

“Media&guerra”. Ha scritto Diego Bianchi in “Il marketing del conflitto” pubblicato sul settimanale “il Venerdì di Repubblica” del 25 di marzo 2022: «Bisogna preventivamente distruggere ogni singolo aggressore che cerca di soggiogare altre nazioni. Guardate il video». Così Zelensky si rivolge, dopo 13 minuti di intervento, al Congresso degli Stati Uniti, in collegamento dall'Ucraina bombardata, per chiedere una no-fly zone sul suo Paese. A quel punto parte un video di due minuti e mezzo circa, con un violino ad accompagnare le immagini dell'Ucraina di ieri quasi subito sostituite da quelle dell'Ucraina di oggi. I nomi delle città colpite si succedono rapidamente, incalzate nel montaggio da un mix di video di bombardamenti, palazzi distrutti, morti, feriti, soldati, sangue, macerie, vecchi, donne, bambini. Sono immagini che ho già visto, rimbalzatemi più volte in faccia tra televisione, telefonino e computer, ma vederle tutte insieme produce l'effetto cercato di colpire ancora emotivamente, ancora un po' di più, dopo tre settimane di guerra dove ogni giorno ne vale mille. Quello che ci ha impressionato la prima settimana di conflitto è diventato sottofondo quotidiano, come fu per il covid e le bare in fila, come è stato per i migranti morti in fondo al mare e i salvataggi di chi a quella sorte è sopravvissuto grazie a chi a quelle notizie e a quelle immagini non si è mai abituato. il video mostrato da Zelensky agli americani, e quindi al mondo intero, è un prodotto altamente professionale realizzato attingendo alle immagini più forti tra le migliaia girate in Ucraina, a prescindere dalla professionalità di chi le ha girate, siano stati questi soldati, civili o reporter. In guerra vale tutto, sangue e merda non sono più una metafora e più la puzza di morte si percepisce, nausea e soffoca, più giusto è. Pochi giorni prima il Parlamento ucraino aveva realizzato un altro video ad altissimo impatto emotivo rivolto al pubblico occidentale (giudicandolo evidentemente non emotivamente coinvolto a sufficienza da quanto accade in Ucraina). Lo shock era generato da una ragazza in posa davanti alla Torre Eiffel nell'attimo esatto in cui il simbolo di Parigi veniva bombardato. Un finto video di una turista, magari destinato a un social come milioni di altri, che segue la stessa sorte e "popolarità" mondiale di tutti quelli girati in questo momento in Ucraina. «Provate a pensare se questo stesse succedendo in un'altra capitale europea», dice un messaggio a fine video. E il colpo arriva, violento, più da questo video finto forse che dai tanti veri. Forse è propaganda, forse è marketing di guerra, forse è il linguaggio dei social che cannibalizza ogni narrazione. Di certo c'è che non abituarsi a quel che si vede è l'unica speranza rimasta. Di seguito, “La lingua da serie TV che tifa guerra” di Fabio Mini, pubblicato su “il Fatto Quotidiano” del 18 di marzo 2022: (…). La prima lingua della guerra è stata probabilmente quella cinese che possiede il corpus più antico e numeroso di letteratura militare che tuttavia si è diffusa soltanto in Oriente. In Occidente la lingua della guerra è stata principalmente il greco, seguita dal latino e da alcune lingue derivate (italiano, francese e spagnolo) con incursioni del tedesco e del russo. Ma anche queste due erano derivate dalle lingue classiche ed erano costrette a semplificazioni e selezioni dei concetti in modo che il loro mondo potesse comprenderli. Nell'Impero austro-ungarico del 1908 su 52 milioni di abitanti, 12 milioni erano tedeschi, 10 milioni ungheresi, 8 milioni cechi e slovacchi, 5 milioni fra serbi e croati, 5 milioni polacchi, 4 milioni ruteni, 3,5 milioni rumeni, 2 milioni turchi, 1 milione sloveni e circa 1 milione italiani. Tutti questi, in varia misura, fornivano soldati all'esercito imperiale e i quadri di lingua tedesca usavano un linguaggio di caserma detto "il tedesco dell'esercito" articolato su non più di cento parole. Con l'espansione del colonialismo, si è affacciato l'inglese e soltanto a partire dalla fine della Seconda guerra mondiale è esplosa la letteratura militare dell'american english piena di fantasia, giochi di parole, acronimi, sensazionalismo, tecnicismo, mercantilismo e fanatismo pseudo patriottico/religioso. Questo inglese della letteratura sulla guerra asseconda la voglia di farla: è immaginifico, come il linguaggio televisivo e cinematografico, e come questo tende a manipolare la gente; ma quando vuole rivolgersi a un pubblico più qualificato, veste i panni della scienza e della retorica nazionalista. In Ucraina la guerra parla inglese, quello delle canzoni rock, dei serial televisivi, dei contractor che da anni bazzicano da quelle parti. (…). Un inglese incomprensibile, ma intuitivo, che propone e commenta immagini blasfeme per molta parte della popolazione non più giovane che non approva i costumi occidentali intrisi di ambiguità, promiscuità, amoralità, così come non approva le croci celtiche e quelle uncinate tatuate sulla pelle dei loro figli e nipoti poveri imitatori di una cultura aliena e oscena. Sono questi vecchi che non lasciano l'Ucraina e conoscono altre croci. Quella latina, quella greca, quella ortodossa di Mosca e ora quella di Kiev. Tutte si riflettono nella loro personale croce: quella della guerra. Le immagini di un video postato su Twitter da "fonti ucraine e che dovrebbero essere veritiere" come dice chi le diffonde (Sussidiario.net), mostrano della gente che si inginocchia sul bordo della strada al passaggio di un furgone che si dice stia trasportando il tesoro della cattedrale greco-cattolica di Santa Sofia di Kiev compreso il tabernacolo col Santissimo Sacramento in un posto "sicuro', un "bunker segreto". Alla prima osservazione, le immagini sono commoventi e di grande ispirazione, ma è alquanto improbabile che un furgone sia sufficiente a trasportare i tesori della millenaria cattedrale. E se si trattasse anche soltanto del carico dei valori più preziosi e del tabernacolo, bisognerebbe augurarsi che non fossero diretti a un bunker e non in Ucraina, meglio un caveau in Polonia. E questo dovrebbe essere un suggerimento per altri trasporti "eccezionali": i bunker in guerra sono protetti dal cemento ma da nessuna legge, come invece lo sono le sei cattedrali di Kiev e gli altri siti storico-culturali. È vero che le chiese sono obiettivi facili da colpire e che le leggi possono essere facilmente violate da chi fa la guerra. Ben 113 chiese serbo-ortodosse anche di grande valore storico-artistico, sono state profanate e saccheggiate dai "patrioti resistenti” in Kosovo dal 1999 al 2004. Le rimanenti rimaste sane sono ancora sotto la protezione delle truppe. Ma è anche vero che il cemento più duro cede alle bombe e se non cede, ogni bunker ha una porta che si apre dal di fuori e dal di dentro. "Sono giunte informazioni che le truppe russe stanno preparando un attacco aereo sul santuario più importante del popolo ucraino dai tempi della Rus' di Kyiv: la Cattedrale di Santa Sofia di Kyiv” aveva fatto sapere negli scorsi giorni con massima urgenza il segretariato dell'arcivescovo maggiore di Kiev della chiesa greco-cattolica ucraina in Vaticano. E anche questo suonava strano: il complesso monumentale di Santa Sofia non è più luogo di culto religioso da diversi anni e non è greco-cattolica, ma ortodossa. La cattedrale greco-cattolica è nuovissima e nei suoi sotterranei ha rifugi quasi anti-atomici: posto migliore per proteggere l'Eucaristia, in Ucraina non c'è. Rimaneva il fatto che comunque si trattasse di una dimostrazione della grande fede religiosa e patriottica del popolo ucraino in un periodo di grande pericolo bellico. Fede e patriottismo sono inequivocabili anche senza il bisogno di processioni. Gli ucraini lo hanno sempre dimostrato anche quando la patria era la Russia e la Russia considerava, e considera l'Ucraina come terra dei propri padri. Ma anche nel caso del tabernacolo si scorge un problema di lingua. Mentre il video si diffondeva in modo virale veicolato nella lingua della guerra, si scopre che è stato postato da un diacono cattolico inglese che lo aveva ricevuto da un altro diacono cattolico durante un forum di preghiera. Qualcuno ha scoperto che il video ritraeva un funerale di un eroe ucraino morto nel 2018, ma anche questo non era del tutto vero. Il video è stato messo su Youtube nel 2015, come dice Shannon Mullen della CNA - Catholic news agency- Washington, D.C. Mar 15, 2022 / 15:30 p.m., nel solito inglese che i vecchi ucraini non capiscono. A questo accertamento dei fatti qualcuno ha commentato con il nostro "vabbeismo": "Vabbè l'importante è pregare", qualcun altro ha detto "questo dimostra quanto facilmente l'essere umano si possa essere manipolato quando è preda delle emozioni'; in inglese. Hanno ragione entrambi. E la gente ucraina si predispone a subire un doppio martirio: quello del corpo a causa delle bombe e quello della mente a suon di emozioni.

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