“Media&guerra”. Ha scritto Diego Bianchi in “Il marketing del conflitto” pubblicato
sul settimanale “il Venerdì di Repubblica” del 25 di marzo 2022: «Bisogna preventivamente distruggere
ogni singolo aggressore che cerca di soggiogare altre nazioni. Guardate il video».
Così Zelensky si rivolge, dopo 13 minuti di intervento, al Congresso degli
Stati Uniti, in collegamento dall'Ucraina bombardata, per chiedere una no-fly
zone sul suo Paese. A quel punto parte un video di due minuti e mezzo circa,
con un violino ad accompagnare le immagini dell'Ucraina di ieri quasi subito
sostituite da quelle dell'Ucraina di oggi. I nomi delle città colpite si
succedono rapidamente, incalzate nel montaggio da un mix di video di
bombardamenti, palazzi distrutti, morti, feriti, soldati, sangue, macerie,
vecchi, donne, bambini. Sono immagini che ho già visto, rimbalzatemi più volte
in faccia tra televisione, telefonino e computer, ma vederle tutte insieme
produce l'effetto cercato di colpire ancora emotivamente, ancora un po' di più,
dopo tre settimane di guerra dove ogni giorno ne vale mille. Quello che ci ha
impressionato la prima settimana di conflitto è diventato sottofondo
quotidiano, come fu per il covid e le bare in fila, come è stato per i migranti
morti in fondo al mare e i salvataggi di chi a quella sorte è sopravvissuto
grazie a chi a quelle notizie e a quelle immagini non si è mai abituato. il
video mostrato da Zelensky agli americani, e quindi al mondo intero, è un
prodotto altamente professionale realizzato attingendo alle immagini più forti
tra le migliaia girate in Ucraina, a prescindere dalla professionalità di chi
le ha girate, siano stati questi soldati, civili o reporter. In guerra vale
tutto, sangue e merda non sono più una metafora e più la puzza di morte si
percepisce, nausea e soffoca, più giusto è. Pochi giorni prima il Parlamento
ucraino aveva realizzato un altro video ad altissimo impatto emotivo rivolto al
pubblico occidentale (giudicandolo evidentemente non emotivamente coinvolto a
sufficienza da quanto accade in Ucraina). Lo shock era generato da una ragazza
in posa davanti alla Torre Eiffel nell'attimo esatto in cui il simbolo di
Parigi veniva bombardato. Un finto video di una turista, magari destinato a un
social come milioni di altri, che segue la stessa sorte e
"popolarità" mondiale di tutti quelli girati in questo momento in
Ucraina. «Provate a pensare se questo stesse succedendo in un'altra capitale
europea», dice un messaggio a fine video. E il colpo arriva, violento, più da
questo video finto forse che dai tanti veri. Forse è propaganda, forse è
marketing di guerra, forse è il linguaggio dei social che cannibalizza ogni
narrazione. Di certo c'è che non abituarsi a quel che si vede è l'unica
speranza rimasta. Di seguito, “La
lingua da serie TV che tifa guerra” di Fabio Mini, pubblicato su “il Fatto Quotidiano”
del 18 di marzo 2022: (…). La prima lingua della guerra è stata
probabilmente quella cinese che possiede il corpus più antico e numeroso di
letteratura militare che tuttavia si è diffusa soltanto in Oriente. In
Occidente la lingua della guerra è stata principalmente il greco, seguita dal
latino e da alcune lingue derivate (italiano, francese e spagnolo) con incursioni
del tedesco e del russo. Ma anche queste due erano derivate dalle lingue
classiche ed erano costrette a semplificazioni e selezioni dei concetti in modo
che il loro mondo potesse comprenderli. Nell'Impero austro-ungarico del 1908 su
52 milioni di abitanti, 12 milioni erano tedeschi, 10 milioni ungheresi, 8
milioni cechi e slovacchi, 5 milioni fra serbi e croati, 5 milioni polacchi, 4
milioni ruteni, 3,5 milioni rumeni, 2 milioni turchi, 1 milione sloveni e circa
1 milione italiani. Tutti questi, in varia misura, fornivano soldati
all'esercito imperiale e i quadri di lingua tedesca usavano un linguaggio di
caserma detto "il tedesco dell'esercito" articolato su non più di
cento parole. Con l'espansione del colonialismo, si è affacciato l'inglese e
soltanto a partire dalla fine
della Seconda guerra mondiale è esplosa la letteratura militare dell'american english
piena di fantasia, giochi di parole, acronimi, sensazionalismo, tecnicismo,
mercantilismo e fanatismo pseudo patriottico/religioso. Questo inglese della
letteratura sulla guerra asseconda la voglia di farla: è immaginifico, come il
linguaggio televisivo e cinematografico, e come questo tende a manipolare la
gente; ma quando vuole rivolgersi a un pubblico più qualificato, veste i panni
della scienza e della retorica nazionalista. In Ucraina la guerra parla
inglese, quello delle canzoni rock, dei serial televisivi, dei contractor che
da anni bazzicano da quelle parti. (…). Un inglese incomprensibile, ma
intuitivo, che propone e commenta immagini blasfeme per molta parte della
popolazione non più giovane che non approva i costumi occidentali intrisi di
ambiguità, promiscuità, amoralità, così come non approva le croci celtiche e
quelle uncinate tatuate sulla pelle dei loro figli e nipoti poveri imitatori di
una cultura aliena e oscena. Sono questi vecchi che non lasciano l'Ucraina e
conoscono altre croci. Quella latina, quella greca, quella ortodossa di Mosca e
ora quella di Kiev. Tutte si riflettono nella loro personale croce: quella
della guerra. Le immagini di un video postato su Twitter da "fonti ucraine
e che dovrebbero essere veritiere" come dice chi le diffonde (Sussidiario.net),
mostrano della gente che si inginocchia sul bordo della strada al passaggio di
un furgone che si dice stia trasportando il tesoro della cattedrale
greco-cattolica di Santa Sofia di Kiev compreso il tabernacolo col Santissimo
Sacramento in un posto "sicuro', un "bunker segreto". Alla prima
osservazione, le immagini sono commoventi e di grande ispirazione, ma è
alquanto improbabile che un furgone sia sufficiente a trasportare i tesori
della millenaria cattedrale. E se si trattasse anche soltanto del carico dei
valori più preziosi e del tabernacolo, bisognerebbe augurarsi che non fossero
diretti a un bunker e non in Ucraina, meglio un caveau in Polonia. E questo
dovrebbe essere un suggerimento per altri trasporti "eccezionali": i
bunker in guerra sono protetti dal cemento ma da nessuna legge, come invece lo
sono le sei cattedrali di Kiev e gli altri siti storico-culturali. È vero che
le chiese sono obiettivi facili da colpire e che le leggi possono essere
facilmente violate da chi fa la guerra. Ben 113 chiese serbo-ortodosse anche di
grande valore storico-artistico, sono state profanate e saccheggiate dai
"patrioti resistenti” in Kosovo dal 1999 al 2004. Le rimanenti rimaste
sane sono ancora sotto la protezione delle truppe. Ma è anche vero che il cemento
più duro cede alle bombe e se non cede, ogni bunker ha una porta che si apre
dal di fuori e dal di dentro. "Sono giunte informazioni che le truppe
russe stanno preparando un attacco aereo sul santuario più importante del
popolo ucraino dai tempi della Rus' di Kyiv: la Cattedrale di Santa Sofia di
Kyiv” aveva fatto sapere negli scorsi giorni con massima urgenza il
segretariato dell'arcivescovo maggiore di Kiev della chiesa greco-cattolica
ucraina in Vaticano. E anche questo suonava strano: il complesso monumentale di
Santa Sofia non è più luogo di culto religioso da diversi anni e non è
greco-cattolica, ma ortodossa. La cattedrale greco-cattolica è nuovissima e nei
suoi sotterranei ha rifugi quasi anti-atomici: posto migliore per proteggere
l'Eucaristia, in Ucraina non c'è. Rimaneva il fatto che comunque si trattasse
di una dimostrazione della grande fede religiosa e patriottica del popolo
ucraino in un periodo di grande pericolo bellico. Fede e patriottismo sono
inequivocabili anche senza il bisogno di processioni. Gli ucraini lo hanno
sempre dimostrato anche quando la patria era la Russia e la Russia considerava,
e considera l'Ucraina come terra dei propri padri. Ma anche nel caso del tabernacolo
si scorge un problema di lingua. Mentre il video si diffondeva in modo virale
veicolato nella lingua della guerra, si scopre che è stato postato da un
diacono cattolico inglese che lo aveva ricevuto da un altro diacono cattolico
durante un forum di preghiera. Qualcuno ha scoperto che il video ritraeva un
funerale di un eroe ucraino morto nel 2018, ma anche questo non era del tutto
vero. Il video è stato messo su Youtube nel 2015, come dice Shannon Mullen
della CNA - Catholic news agency- Washington, D.C. Mar 15, 2022 / 15:30 p.m.,
nel solito inglese che i vecchi ucraini non capiscono. A questo accertamento
dei fatti qualcuno ha commentato con il nostro "vabbeismo": "Vabbè
l'importante è pregare", qualcun altro ha detto "questo dimostra
quanto facilmente l'essere umano si possa essere manipolato quando è preda
delle emozioni'; in inglese. Hanno ragione entrambi. E la gente ucraina si
predispone a subire un doppio martirio: quello del corpo a causa delle bombe e
quello della mente a suon di emozioni.
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