“Memoriedalsottosuolo”. “Vestivamo alla sovietica” di Daria Galateria, pubblicato sul
settimanale “il Venerdì di Repubblica” del 4 di marzo 2022: Nel
1936 l'Urss chiese a Elsa Schiaparelli, la sofisticata stilista amica delle
avanguardie, di disegnare un abito per la donna media sovietica. Gli amici
intellettuali, anche quelli impegnati, fecero dell'umorismo; lei partì per
Mosca, in Transiberiana. Dai finestrini, scorreva uno strano disegno - era una
siepe di filo spinato; ma il vagone-ristorante, tutto rosso e liberty, sembrava
Chez Maxim's, e mancavano solo gli tzigani. Alla stazione di Mosca, un esercito
di donne si arrampicò sul tetto; "appese come scimmie", iniziarono a
strofinare i fianchi del treno: meglio di trapeziste, pur intralciate da grandi
gonne, cappotti maschili, e fazzoletto in testa. Schiap (si chiama così, nel
suo Shocking Life, edito da Donzelli) cominciò a preoccuparsi del suo "abito
medio sovietico". Al Metropole, le lenzuola erano bucate, e mancava
l'acqua (ma poi a Leningrado una cameriera portò con orgoglio, al mattino, un
pezzo di sapone usato). Comunque il Cremlino aveva una bellezza barbarica
inviolata; le sue chiese erano meravigliose, ma a pezzi ("Come mai?",
chiese Schiap. "È perché Napoleone ci è entrato a cavallo, e l'ha legato
alle colonne", fu la risposta; Schiap smise di fare domande). Nel Tesoro,
gli abiti di Caterina la Grande, pieni di ricami e con la vita sottile, stavano
in piedi come clessidre; gli appartamenti degli zar (ancora, sul calendario, la
data della dipartita) erano piccoli e semplici - la vasca da bagno dello zar
retroilluminata, per la sicurezza. Impagabili, gli spettacoli a teatro e i
musei dai tesori inestimabili (gli stivali si lasciavano all'entrata), la Neva,
gelata con tutte le onde, e le arance dorate sopra le chiese. Schiap si
sostenne a vodka e caviale, e tornò esile come un Giacometti. La notizia si
sparse subito in Europa: Schiap aveva disegnato un abito per 40 milioni di
russe; la moglie di Stakhanov, l'instancabile minatore, lo aveva ricevuto in
dono. Era nero con un collo molto alto, e un capospalla rosso a righe nere.
Schiap dovette inaugurare la prima casa di moda sovietica, la Dom Model:
un'orgia di chiffon, pieghe e balze; gli invitati erano "indecifrabili; le
differenze di classe non erano evidenti". In quel 1936 nasceva Yves
Saint-Laurent. Lui andò a Mosca, per una sua retrospettiva, mezzo secolo dopo.
Yves - il timido che in Giappone lo scrittore Mishima descrisse in lacrime -
ormai la notte vestiva "canaille" in cuoio nero e diamanti: ma le
donne le pretendeva in smoking nero, e camicie trasparenti sull'assenza di
seno. A Mosca, le russe apparatcik (dell'apparato) indossavano i suoi modelli,
ma così vistose e ingioiellate, che Yves si stupì: "Decisamente, il Kgb
non le ha informate". Di seguito, “Lenin, l’Ucraina e lo spettro di Orwell” di Stéphane Courtois –
storico del “comunismo” – pubblicato sul quotidiano “la Repubblica” del 4
di marzo 2022: Nel suo discorso di guerra del 21 febbraio, Vladimir Putin ha fatto
un’affermazione che ha lasciato sbigottiti gli storici. Ha detto che «l’Ucraina
contemporanea è stata completamente e interamente creata dalla Russia, per la
precisione dalla Russia comunista e bolscevica. Questo processo è iniziato
quasi subito dopo la rivoluzione del 1917, e Lenin e i suoi compagni hanno
agito in modo davvero scorretto con la Russia, arraffandole e strappandole una
parte dei suoi territori storici». Contestualizzando così la nascita
dell’Ucraina, Putin “dimentica” che essa era una realtà storica a sé da più di
1200 anni, quando fu creato il Rus, il primo stato slavo, in quell’ampio
territorio che si estendeva dal mar Baltico al Mar Nero, delimitato dal Dnepr e
dal Dnestr, con capitale Kiev — quando San Pietroburgo e Mosca non esistevano
nemmeno. L’Ucraina fu riannessa a forza nell’impero zarista soltanto alla fine
del XVIII secolo e vide emergere alla metà del XIX secolo, come in tutta
l’Europa del 1848 e la sua “primavera dei popoli”, un potente movimento
nazionalista incentrato sulla sua lingua, la sua letteratura e la memoria delle
grandi rivolte cosacche contro ogni forma di oppressione. Ebbene, evocando il
1917, il “professor” Putin “dimentica” che nel 1917 vi furono due rivoluzioni:
quella democratica nel mese di febbraio e quella di ottobre che consentì a
Lenin, il 7 novembre, di creare il primo regime totalitario della Storia.
L’abdicazione di Nicola II il 15 marzo aveva provocato il crollo dell’impero
zarista, conosciuto allora come “la prigione dei popoli”. I cittadini di etnia
russa rappresentavano appena il 44 della sua popolazione. Tutte le altre
identità nazionali si emanciparono: i polacchi, i finlandesi, gli estoni, i
lettoni, i lituani, i bessarabiani, i georgiani, gli armeni, gli azeri. Quanto
agli ucraini, il 17 marzo crearono una Rada, un’assemblea, presieduta da
Mykhailo Hruchevski, che il 23 marzo proclamò la sua indipendenza rispetto al
governo centrale. Poco dopo, fu creato un governo autonomo diretto da Volodymyr
Vynnychenko. Poiché Lenin l’8 novembre aveva creato il Consiglio dei commissari
del popolo, la Rada il 3 dicembre proclamò la Repubblica popolare di Ucraina.
Lenin reagì con rabbia e brutalità. Sapeva che se l’Ucraina si fosse sottratta
al suo potere, avrebbe perso il granaio d’Europa e una forte industria
carbonifera e metallurgica. Ma, più di ogni altra cosa, da vero marxista
radicale, Lenin sapeva che la potenza del sentimento nazionale ucraino avrebbe
fatto esplodere il principio della guerra di classe che improntava ogni sua
azione. Così il 5 dicembre annunciò: «Oggi siamo testimoni di un movimento
nazionale in Ucraina e diciamo: sosteniamo senza riserve la libertà totale e
incondizionata del popolo ucraino. (…) Tuttavia, tendiamo una mano fraterna
agli operai ucraini e diremo loro: “Con voi lotteremo contro la vostra e la
nostra borghesia”». Era già Orwell! Il 16 dicembre, la Rada reagì con un
manifesto e regalò la terra ai contadini, fissò la giornata lavorativa a otto
ore e proclamò un’amnistia politica generale. Lenin contrattaccò sulle pagine
della Pravda il 18 dicembre con un “Manifesto al popolo ucraino” accompagnato
da un ultimatum. Dopo aver ricordato, per mantenere le apparenze, il diritto di
tutte le nazioni «a staccarsi dalla Russia», attaccò frontalmente con un
fantastico “politichese”: «Noi accusiamo la Rada ucraina di portare avanti,
celata sotto frasi patriottiche, una politica borghese doppiogiochista che si
esprime da molto tempo con il rifiuto a riconoscere i soviet e il loro potere
in Ucraina. (…) Questo doppio gioco, che ci impedisce di riconoscere la Rada in
qualità di rappresentante plenipotenziario delle masse operaie sfruttate della
Repubblica di Ucraina, l’ha condotta in questi ultimi tempi a prendere
provvedimenti che, di fatto, eliminano qualsiasi possibilità di intesa». La
conclusione era senza appello: «Nel caso in cui entro 48 ore non pervenga una
risposta soddisfacente alle nostre domande, il Consiglio dei commissari del
popolo considererà la Rada di Ucraina in stato di guerra dichiarato contro il
potere dei Soviet in Russia e in Ucraina». Il Sovnarkom (Consiglio dei
commissari del popolo dell’Unione Sovietica) interferiva in modo invadente
negli affari interni dell’Ucraina e accusava la Rada di essere responsabile
della guerra che lui stesso dichiarava! Ecco un prototipo di menzogne,
disinformazione e minacce che avrebbe avuto una bella discendenza totalitaria. In assenza di risposte, il 25 dicembre Lenin fece proclamare a Kharkov una
Repubblica Sovietica di Ucraina che riconobbe all’istante. Poi alcuni reparti
di Giubbe rosse si impadronirono di Kiev l’8 febbraio 1918. E così, a meno di
sei settimane da quando aveva preso il potere, il capo bolscevico aveva
dichiarato la sua prima guerra a una nazione di cui ufficialmente riconosceva il
diritto all’indipendenza. Ancora una volta Orwell! Nonostante ciò, l’Ucraina a
novembre partecipò alle prime elezioni organizzate in Russia a suffragio
universale maschile e femminile che portarono alla formazione dell’Assemblea
costituente, invocata da più di mezzo secolo tanto dai democratici quanto dai
rivoluzionari. L’Assemblea costituente, riunitasi a San Pietroburgo il 18
febbraio 1918, fu dispersa con la forza il giorno dopo, su ordine diretto di
Lenin. In reazione a ciò, la Rada il 22 dicembre proclamò l’indipendenza
definitiva dell’Ucraina e il 29 aprile Hruchevski fu eletto presidente della
Repubblica popolare di Ucraina. A partire da quel momento, e fino al 1991, il
potere sovietico non smise di combattere con il terrore di massa le aspirazioni
nazionali degli ucraini, cercando, col ferro e col fuoco, di obbligarli a
sottomettersi all’Urss: nel 1920, in occasione dell’offensiva dell’Armata rossa
su Varsavia; nel 1932-1933 in occasione di una carestia genocida organizzata da
Stalin contro i contadini (circa 4 milioni di persone morirono di fame per la
carestia detta Holodomor); nel 1937-1938 con il Grande terrore guidato da
Krusciov; nel 1939-1941 con l’annessione dell’Ucraina occidentale in occasione
della distruzione dello Stato polacco da parte di Stalin e Hitler; nel 1944 e
nel 1956 con lo sterminio di tutti i partigiani nazionalisti antisovietici per
mano degli uomini del Kgb. Quel Kgb di cui Vladimir Putin è rimasto tenente
colonnello fedele. Quello stesso Vladimir Putin sulle pagine de Le Figaro del 7
maggio 2005 dichiarò che era indispensabile «affermare i principi della
tolleranza e del rispetto dei popoli gli uni verso gli altri, inculcare l’idea
che l’unità degli esseri umani è indispensabile per venire a capo delle
difficoltà comuni e delle minacce. Creare, in fin dei conti, un’atmosfera di
comprensione attorno all’idea che i popoli hanno i medesimi diritti, siano o no
più o meno numericamente importanti, ivi compreso il diritto di decidere la
strada da seguire per il loro sviluppo. Che metta dunque in pratica i principi
che ha proclamato!
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