A lato. "San Gregorio" di Capo d'Orlando, acquerello (2021) di Anna Fiore.
Tratto da “Ma davvero solo chi non ha paura non fa paura?” di Claudia de Lillo – in arte Elasti – pubblicato sul settimanale “D” del 30 di settembre dell’anno 2017:
Da
circa un anno frequento un corso di boxe. Non ho alcuna ambizione di combattere
sul serio, di mandare qualcuno al tappeto, né tantomeno di finirci. Eppure mi
libera e mi diverte. Il mio insegnante dice spesso che devo essere più cattiva.
«Immagina di picchiare un tuo nemico!», mi sprona. «Ma non ho nemici!»,
rispondo io, boccheggiando con il poco fiato che mi resta in corpo perché il
pugilato, anche senza nemici da abbattere, è un'attività stremante. «Eddài! Non
odi nessuno??? Non è possibile!». Ho passato in rassegna le mie conoscenze, le
persone in cui inciampo malvolentieri, coloro che preferirei non incontrare.
Sono un discreto gruppetto, eppure nessuno di loro mi suscita un sentimento
tanto passionale e impegnativo quanto l'odio. Non ho nemici per colpa della mia
innegabile pigrizia ben più che per merito di una presunta bontà d'animo. «Allora
pensa a qualcuno che ti intimorisce e vinci quella paura prendendola a
cazzotti», mi urla il maestro, mostrando un inaspettato talento anche
nell'addestramento dello spirito. Alla scuola media
avevo paura di Fiumazzi Peppino che una mattina, approfittando di una
supplente distratta, mi si avvicinò con i suoi sgherri e mi minacciò con un
taglierino per punirmi del reato di sussiego nei suoi confronti. In quegli
stessi derelitti anni, mi intimoriva anche una ragazzina giunonica e violenta
che mi sibilava nell'orecchio con voce maschia: «Stai attenta: ti aspetto fuori
e ti meno». Di lei ricordo le mani paffute da bambina e l'afrore di
adolescente. Al ginnasio ero terrorizzata dalla professoressa di latino e
greco, una donna minuta dall'intelligenza limpida e implacabile. Riconobbe
subito la mia natura fragile e non ne ebbe alcuna pietà. Dopo di lei, furono
molti gli insegnanti capaci di atterrirmi. Per un breve periodo, neolaureata,
lavorai nella finanza. Compravo e vendevo titoli di borsa al comando di un capo
iracondo e geniale. Anche lui aveva su di me il superpotere del terrore.Ultimamente
c'era una mamma alfa nella classe di uno dei miei figli. La sua sicumera
polemica mi intimidiva e mi paralizzava. Mi ci voleva un guru, liberatore di
coscienza e upper cut, per capire che, a farmi paura, sono le persone
aggressive e giudicanti. Ad atterrirmi è la possibilità di non essere accettata
e di deludere il prossimo. Ne Il senso del dolore di Maurizio De Giovanni,
primo incantevole libro della serie del commissario Ricciardi, Don Pierino, uno
straordinario prete, dichiara: «Per non fare paura bisogna non avere paura». Sarà
vero? Il feroce Fiumazzi mi tormentava perché a sua volta era perseguitato da
terribili fantasmi? L'odorosa picchiatrice era da qualcun altro vessata? E
quali mostri agitavano i sonni della professoressa di greco? L'irascibile
trader, in grado di guadagnare fantastiliardi grazie a un click del mouse e al
suo fiuto infallibile, forse temeva quella crisi finanziaria planetaria che si
è poi puntualmente verificata? La mamma alfa mi pareva d'acciaio: era l'unica
fra tutte noi a non abbassare mai lo sguardo, nemmeno al cospetto della maestra
di matematica. Ma probabilmente anche lei, con i suoi lineamenti affilati e il
suo incedere da bersagliere, avrà un tallone vulnerabile da nascondere. La
prospettiva che anche io, che non ho nemici ma spauracchi, possa far paura a
qualcuno mi sembra inverosimile e ridicola, ma sul ring ho imparato che l'animo
umano è torbido e imperscrutabile e che ognuno di noi ha un volto da lupo e uno
da agnellino.
Nessun commento:
Posta un commento