“Donne&Arte”. 2 “Lasciare il meglio di sé”: (…). Roma, agosto 1980. Goliarda Sapienza guarda fuori dalla finestra in una giornata senza vento. I pini sono fermi e sembrano sculture, l'aria è immobile, la luce abbaglia e il rombare lontano di qualche macchina colora il silenzio di promesse. Goliarda ne ha ascoltate tante e qualcuna l'ha fatta anche balenare. Le prime e le seconde si sono incagliate su un fondale da cui risalire è difficile. Goliarda sa stare in apnea, ma è una donna che rifiuta apparenze e definizioni. Dicono che provi a fare la scrittrice e non è falso, ma diventi ciò che fai solo quando qualcuno ti consegna una patente e sul suo esame pesano infrazioni e sospetti. Goliarda la velleitaria e l'intrattabile, Goliarda la pazza, Goliarda la depressa, Goliarda la viziata che abita in un bel quartiere, ma è attratta dai margini e dai marginali, Goliarda l'ingrata che è stata accolta a corte e poi si è rifiutata di seguirne le logiche. Quando la bella stagione che sta per finire le soffia sul cuore, Goliarda balla per l'ultima volta. Va a una festa del suo vecchio mondo, si infila in una stanza, arraffa una manata di gioielli della padrona di casa e poi quando in autunno la arrestano e la rinchiudono in galera, scopre quello nuovo, l'università di Rebibbia. Uscita dal carcere non si riconosce più. E lo dice a Citto Maselli, il compagno di un'epoca che sembra lontanissima, nel novembre di quel 1980, con una lettera: "Da quando sono uscita non devo più vestirmi bene per andare a una cena, sono serena (se non fosse per il timore solito di restare all'asciutto sarei felice) e non mi pesa affatto né vivere poveramente né rinunciare non dico al cinema o al ristorante o a vestiti nuovi, ma neanche ai pochi lussi ai quali mi ero abituata". È ancora povera: "Da piccola vedevo girare per casa questi scrittori che sono sui libri di testo: facevano tutti la fame. E infatti, questo mi è successo", ma nulla le pesa perché dietro le sbarre, nella comune che appiana censo, provenienze e ipotesi di futuro, così simile al mare "che ascolta e non giudica", ha scoperto un presente da interpretare con più desiderio di quanto non facesse nei panni dell'attrice, la prima delle sue tante esistenze, quella in cui pensava fosse ancora possibile vivere senza farsi male. Ha nuove amiche, nuove curiosità, nuovi incontri che sostituiscono l'ansia dell'odiato telefono. Ha di nuovo voglia di respirare: "Sono da così poco sfuggita all'immensa colonia penale che vige fuori, ergastolo sociale distribuito nelle rigide sezioni delle professioni, del ceto, dell'età, che questo improvviso poter essere insieme - cittadine di tutti gli stati sociali, cultura, nazionalità - non può non apparirmi una libertà pazzesca, impensata". Ha Angelo, Angelo Pellegrino, che la capisce e la sostiene. Che la farà conoscere. E che a Mario Martone, che sul quel periodo della vita di Goliarda Sapienza ha girato Fuori, per filologia offre la possibilità di girare nei veri luoghi in cui quella storia è stata vissuta. Se al cinema la ricostruzione d'epoca è il più insidioso dei pericoli e l'azzardo che si propone di restituire l'inquietudine del protagonista la più rischiosa delle scommesse e la via più rapida per precipitare nel ridicolo involontario, Martone è pronto per Las Vegas. Tutto è sincero, tutto credibile, tutto giustamente crudo e mai consolatorio. Ma intanto, mentre Valeria Golino si muove e parla proprio come Goliarda Sapienza e tu dimentichi di essere spettatore, capisci che ne è valsa la pena: "Si muore per lasciare il meglio di sé a quelli che ti hanno saputo leggere".
N.d.r. I testi sopra riportati sono a firma di Malcom Pagani e sono stati pubblicati, rispettivamente, sul settimanale “d” del quotidiano “la Repubblica” del 24 di maggio e del 31 di maggio dell’anno 2025.
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