"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi

"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi
"Il bruco" (2017). Nikon Coolpix P900. Foto macro. Stato larvale della falena diurna "Macroglossum stellatarum" volgarmente detta "sfinge colibrì".

mercoledì 11 giugno 2025

Lastoriasiamonoi. 66 Georgi Gospodinov: «I dittatori e alcuni manipolatori politici non possiedono la superforza dell'empatia. Per loro, è una superdebolezza. E comporta solo tristezza e sofferenza».


“Racconta una storia e il mondo non finirà”, testo di Georgi Gospodinov – poeta e narratore, vincitore del premio Strega europeo dell’anno 2021 con il volume “Cronorifugio” - pubblicato sul settimanale “Robinson” del quotidiano “la Repubblica” dell’otto di giugno 2025: Una biblioteca è un rifugio, un cronorifugio, che accoglie tutti i tempi. Non sono sicuro se ci rendiamo conto che, se permettiamo la distruzione del mondo oggi, abbiamo permesso l'annichilimento di tutti i tempi e le epoche precedenti. In questo senso la nostra responsabilità non riguarda solo il momento attuale, è una responsabilità storica, che si espande all'indietro nel tempo e nella storia. Dopo ogni catastrofe umana, che abbiamo permesso, possiamo ascoltare le grida dei nostri predecessori, filosofi, poeti, narratori di storie. (…). Sono stato un anno alla New York Public Library. E sempre, quando ero preoccupato e il mondo era sull'orlo della catastrofe (anche allora c'erano momenti del genere), andavo nella grande sala di lettura Rose Main Reading Roorn, sotto il cielo dipinto nello stile del Veronese e guardavo i libri ordinati su infiniti scaffali. Mi ci avvicinavo, li toccavo con la mano, qualche volta li aprivo o leggevo lentamente i loro titoli. E questo funzionava, ti consolava ed era il mantra migliore per salvarsi. Non aveva importanza che libri fossero, tutto faceva parte di un mondo che è sopravvissuto. Titoli di dizionari, di enciclopedie sulla Prima e sulla Seconda guerra mondiale - 24 tomi rilegati in rosso, enciclopedie di botanica, dizionari di anatomia... Guardavo per convincermi che il mondo è intero e rilegato. E prima o poi tutte le catastrofi si trasformano in libri. Proprio secondo quella frase di Mallarmé, amata da Borges, che dice che, prima o poi, tutto si trasforma in libri. In questo c'è una certa consolazione. Nulla ci tranquillizza come tomi uguali, ordinati, di enciclopedie di diversi continenti, di colore rosso ciliegia, marrone e nero. (…). Penso che in un mondo sconsolato come quello di oggi la letteratura tornerà sempre di più a questo suo ruolo un po' dimenticato. Oltre duemila anni fa la "Consolazione" era un genere molto diffuso nella letteratura. Seneca scrive la sua celebre “Consolazione per mia madre Elvia” che, letta oggi, risuonerà precisamente come le nostre rimandate consolazioni nei confronti delle nostre madri. (La loro tristezza non è cambiata molto nel corso di venti secoli). «Spesso, madre mia beatissima, ho provato un forte desiderio di consolarti, spesso mi sono fermato... Mi sembrava che, anche se non riuscissi ad arrestare le tue lacrime, ma se te le asciugassi, si sarebbero alleviate anche le mie pene».  Così comincia questo testo molto intimo di Seneca.  Se asciugo le tue lacrime, «si allevieranno anche le mie pene».  Non riposa qui un possibile meccanismo di ogni consolazione? Non puoi essere pienamente felice in un mondo dove, intorno a te, è pieno di persone che soffrono. Ma torniamo a Seneca. La strategia della consolazione, che viene scelta nel seguito del suo testo, sembra ugualmente inaspettata e al di fuori della logica. «Metterò a nudo di nuovo tutte le ferite dell'anima», scrive Seneca e comincia metodicamente a ricordare le sofferenze passate, le infelicità e le perdite sofferte dalla madre. Così, in maniera complessa, ci consola la letteratura. Non quando sottace, ma quando ci ricorda le nostre tristezze sottaciute, quando ci dà una lingua per esse, quando ci racconta di tristezze altrui finché «l'anima si vergogna» di soffrire, come scrive Seneca. La letteratura è consolazione, ma anche incoraggiamento di continuare a vivere. Consideriamo questo incoraggiamento come un dono o una superforza. Mentre scrivevo il mio libro “Il giardiniere e la morte” venni a sapere di un'antica tradizione slava, dei Balcani, da dove provengo. Quando il padrone di casa muore, i suoi congiunti devono comunicare la notizia agli animali domestici e al giardino. Da qualche parte sussurrano all'orecchio del bue e lui capisce tutto. Che bella lingua, immaginatela soltanto. Qualcuno va la mattina nella stalla, la mattina è gelida, si avvicina al caldo orecchio del bue e soltanto gli sussurra dentro. Trasmette la notizia attraverso il suo respiro. Il bue deve sapere che il suo padrone è morto, ma che la vita continua. Poi qualcuno va agli alveari e comunica a voce: il vostro padrone è morto ma voi, che siete vive e vegete, continuate a raccogliere miele. Questo si comunica anche ai ciliegi nel cortile, che diano frutto anche in questa primavera e ai fiori, che sappiano che la vita continua e che non smettano di fiorire a causa della tristezza. Qualcosa di simile fa la letteratura. Ci sussurra all'orecchio e ci comunica la triste notizia, non per ucciderci, ma per dirci che il mondo è mortale, il mondo è in crisi, in un infarto pre-apocalittico, ma voi non perdetevi d'animo e continuate a darvi da fare per leggere e per scrivere, a seminare e a coltivare il vostro orto. E se ci chiedono: perché continuate a scrivere libri e a costruire biblioteche, dal momento che il mondo va evidentemente verso la sua fine, dominato da idioti, noi possiamo rispondere: ma voi perché non costruite biblioteche vedendo come il mondo va verso la sua fine, spinto da idioti? Nei libri c'è consolazione e incoraggiamento. Come anche nello stesso scrivere. Per quanto siamo disperati e i motivi della disperazione non erano stati da tempo così forti, se scriviamo vuol dire che abbiamo speranza nel domani. Per un possibile domani in cui la poesia sarà finita, il romanzo sarà scritto e qualcuno lo prenderà in mano, lo aprirà e comincerà a leggere per risvegliare coi propri occhi cosa c'è scritto. Una volta, in un pomeriggio italiano, girellando nelle vie di una cittadina, vidi una donna che leggeva sul balcone. Stavo all'ombra di un albero, guardavo come sfogliava le pagine, poi alza la testa, getta uno sguardo distratto e ritorna nel rifugio del libro. E ricordo cosa mi dissi: questo mondo non può finire, almeno finché quella donna continua a leggere sul balcone. Raccontiamo o scriviamo libri per rimandare la fine del mondo e la nostra stessa fine. Consideratela come la prossima superforza, magia e dono. Lo sappiamo meglio di tutto dalle “Mille e una notte” e il grande esempio di Sherazade. Con ogni storia narrata, interrotta nel momento più intricato, lei rinfocola la curiosità di Shahriar, questo assassino seriale di donne e allontana la fine ancora di un giorno. (…). Il dono risveglia dono, ma la storia, non finita, risveglia ovviamente la curiosità del tiranno: «Per Dio, non la ucciderò, voglio sentire il racconto sino alla fine». Ma il racconto è infinito, come è infinito il labirinto del mondo. Dobbiamo però riconoscere che l'oppio delle storie e la loro capacità di risvegliare empatia funzionano solo se possiedi cuore e orecchio per esse. Purtroppo, i dittatori e alcuni manipolatori politici non possiedono la superforza dell'empatia. Per loro, è una superdebolezza. Non a caso Musk ha dichiarato che l'empatia è il punto debole dell'Europa. E comporta solo tristezza e sofferenza. Questa gente non riconosce la tristezza (non potete vedere in pubblico un dittatore triste). (…). E tuttavia la letteratura e il raccontare producono empatia. Questa è un'ulteriore loro superforza e dono. Non puoi - se sei una persona normale - gridare, offendere o scacciare una persona che hai di fronte se hai appena sentito o letto la sua storia. Detto in breve, la propaganda cerca di privare l'uomo della sua natura umana, di spogliarlo del suo volto e della sua storia per regolare più facilmente i conti con lui. Ma la letteratura fa proprio il contrario - restituisce l'umanità. La letteratura e il raccontare costituiscono l'antidoto naturale alla propaganda e alla volontà di aizzare coscientemente gli uni contro gli altri. E questa è un'importante qualità politica. L'uomo che legge dovrebbe riconoscere facilmente tutto il fake e il kitsch della propaganda e delle teorie cospirative che ci sommergono. Il male, in particolare il male politico, è sempre un cattivo stilista, dice Brodskij. E qui, mi sembra, risieda la nostra forza - nell'elaborazione del gusto che riconosce perfettamente il male politico e il nuovo e vecchio kitsch. Abbiamo finito di vivere il tempo in cui ogni racconto è valido, il mondo è pieno di fake. Anche i populisti scrivono storie - per un grande passato che nessuna nazione si è neanche sognato. Le teorie cospirative conquistano la nostra immaginazione, come se non ci fossero stati Galileo, Copernico, Newton, Einstein o Heisenberg. Ogni volta che oggi si dice qualcosa sulla terra piatta, ad esempio, è come se Giordano Bruno ardesse di nuovo sul rogo. Che cosa dobbiamo fare noi che scriviamo, quali storie e come raccontarle per cancellare le storie di chi cancella secoli di conoscenza, di Rinascimento, di Illuminismo? Qual è la differenza tra finzione letteraria e falsificazione? Tra il mito e la teoria cospirativa? Non posso spiegarlo in breve e in generale non posso spiegarlo. Ma so con certezza che la finzione ha come scopo di arricchire con la fantasia la realtà umana. Mentre le storie e le teorie fake hanno lo scopo di restringere e disumanizzare questa realtà umana. Il lettore colto può stabilire questa differenza. E forse è questa la cosa importante: educare lettori colti e critici, educare il cuore e la mente, non smettere di educarli. Essere migliori narratori dei narratori di storie false. Tornare alla conversazione e di far tornare la conversazione stessa. Perché noi ormai quasi non ci parliamo, ci scambiamo solo furiosi monologhi, la conversazione tra di noi si è spezzata. Ci troviamo come in quella fase così bene schizzata nel penultimo capitolo della “Montagna incantata” di Thomas Mann che descrive la vigilia, gli ultimi minuti prima della Grande Guerra. «Cosa c'era in realtà? Cosa c'era nell'aria? L'avvicinarsi della crisi. Irascibilità. L'irritabilità pronta a scatenarsi. In sofferenza senza nome. Una tendenza generale ai discorsi irritanti agli sfoghi leciti e anche agli scontri. Polemiche spietate, grida sfrenate, travolgevano ogni giorno singoli o interi gruppi». Oggi questo passaggio risuona più che attuale in un'altra vigilia, non voglio neppure dire di che cosa. Perciò dobbiamo in tutta fretta tornare alla conversazione.

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