"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi

"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi
"Il bruco" (2017). Nikon Coolpix P900. Foto macro. Stato larvale della falena diurna "Macroglossum stellatarum" volgarmente detta "sfinge colibrì".

venerdì 9 giugno 2023

Memoriae. 58 Carlo Emilio Gadda: «Se non ci fosse guerra, ci sarebbe pace: nel cielo e nei cuori».


VanaGloriadiunRegime”. “Prima divisione nella notte”, racconto – proposto qui in parte - di Carlo Emilio Gadda riportato in “Italica” di Giacomo Papi alle pagine 155-160. Nota dell’Editore: Prima divisione nella notte fu pubblicato su «La Voce del Popolo» di Taranto il 13 gennaio 1951, dopo la vittoria ex aequo con Giobbe di Giovan Artieri del Premio Taranto 1950, terza edizione, sezione narrativa. Il premio era di 500 mila lire, a Gadda ne furono riconosciute 300 mila, ma si arrabbiò lo stesso e in una lettera insultò la giuria presieduta da Giuseppe Ungaretti per la presenza di Alberto de' Stefani, ex ministro delle Finanze di Mussolini. Il racconto sarebbe poi confluito in Accoppiamenti giudiziosi, pubblicato da Garzanti nel 1963.

Il racconto. (…). Era il 28 marzo '41. La squadra aveva raggiunto Gaudo, aveva invertito la rotta. Nave ammiraglia la Vittorio Veneto Radiotelegrammi di Supermarina, Roma, davano come avvistata dalla ricognizione aerea una forza navale nemica d'apprezzabile entità: ma l'avvistamento risultava insicuro, l'intercettazione dei dispacci radio avversari insufficiente ad ottenere sicurezza. Sì, una forza c'era, nel mare. Che forza fosse, questa forza, dove esattamente dislocata, e donde e dove movesse, era, è ovvio, un segreto cifrato del nemico: il comando comunicava in cifra, e in inglese, con Alessandria, con Creta. Doveva trattarsi dei quattro incrociatori di Pridham-Wippel: Orion e Aiax, Gloucester e Perth: 36 pezzi da sei pollici contro i 24 da otto del Trieste, della terza divisione. Niente paura, sicché. Il durissimo attacco che la Vittorio Veneto aveva subìto, alle 15,20, combinato di bombardieri e d'aerosiluranti, e il siluro avuto a poppa in accostata, denunciavano, è vero, la presenza d'una portaerei sul mare, veduto il tipo degli apparecchi attaccanti, Swordfish, in dotazione alla «Fleet Air Arm». La ricognizione inglese aveva analiticamente insistito sulla nostra squadra, mentre la ricognizione nostra non aveva insistito sulla inglese, sia perché la squadra inglese non doveva esserci, sia perché i nostri ricognitori non c'erano. La ricognizione inglese aveva talmente insistito, da raggiungere la certezza che le nostre navi da battaglia fosser tre: melius abundare quam deficere. I due incrociatori della ottava divisione, Garibaldi, Abruzzi, erano visibili dall'alto (molto alto), data la sagoma, come battleships: errore consueto, e addirittura doveroso. Alle 18, sulla via del ritorno, la Veneto dové ridurre la velocità. Ridusse a 15. Sulla velocità dell'ammiraglia, è ovvio, si ritrovò a scadere la velocità della squadra. Fortemente appoppata da sinistra, la Veneto navigava in timonaggio con le sole due macchine e le sole due eliche di destra. Aveva imbarcato di colpo, dopo il siluro, quattromila tonnellate d'acqua: e aveva perduto l'elica di sinistra esterna, il cui astuccio e stato colpito a una metà. Il mare, immobile: la luce ancor piena di quel tramonto di marzo investiva da sinistra avanti la formazione italiana, che aveva rotta trecento gradi, con fiancheggiamento della prima divisione e dei suddetti caccia sulla destra, della terza sinistra. La terza erano il Trento, il Trieste, il Bolzano, e la sua squadriglia, la dodici, Carabiniere, Corazziere, Ascari. In linea sulla Veneto la tredicesima squadriglia: Granatiere, Fuciliere a precedere, Bersagliere, Alpino a seguire. L'attacco aereo si scatenò per la seconda volta, al crepuscolo, da un cielo senza nubi e senza pace: nel quale nessun caccia italiano né tedesco era in volo. Portaerei la nostra marina non armava. Il maresciallo dalla greca tripla ne aveva decretato l'inutilità. Aveva riconosciuto che tutta la penisola è una divina portaerei, «una ideale piattaforma di lancio protesa nel Mediterraneo». Quest'aureo detto non è stato scolpito nel sasso del monte, come quel Pesaro, carued in the stone, - ma consegnato ai flutti pere il mare se lo tenga. Il ricognitore inglese alle 18,15 è in cielo, sinistro albatro sulla formazione italiana. Segnala ai suoi che «le forze navali italiane si stanno radunando», come difatti avviene: «che sono costituite da una nave da battaglia, sei incrociatori, un cacciatorpediniere, navigano per rotta 300° alla velocità 14». Più precisi di così... «Alle 18,15 il sole tramonta in una superba fantasmagoria di luci e di ombre. Verso ponente l’orizzonte è velato da nubi chiare, a disegni irregolari, le quali colorano successivamente di arancione, di zafferano o croco, di sanguigno, di viola, di violetto, di cioccolata, man mano e il sole scende, scende, sotto l'orizzonte del mare.» La Veneto sembra faticare, azzoppata: mantiene impavidamente la rotta. Gli incrociatori, non meno impavidi, da destra e da sinistra proteggono. Non la proteggono se non imperfettamente dal cielo, tuttavia. «Otto uccellacci del malaugurio le volteggiano da poppa, a un paio di miglia o poco meno, per inferirle, non appena possibile, il colpo di grazia.» «Intorno a noi» scrive l'Ammiraglio, «è la gran pace serena della sera: il mare è come una tavola dipinta: riflette, in tono attenuato, i colori del cielo in fiamme. Le navi procedono silenziosamente nella direzione del sole già scomparso, e tutto indurrebbe alla calma ed alla serenità, se non ci fosse la immediata minaccia di quegli ordigni di morte.» Se non ci fosse guerra, ci sarebbe pace: nel cielo e nei cuori. E la Vittorio Veneto, ch'è un ordigno di vita, potrebb'essere affittata ad un dancing. Alle 19,30 l'Alpino, ultimo sulla scia della Veneto, segnala con urgenza che gli aerei sono vicinissimi. Da ordigni di morte non si può sperare che l'avvicinamento. È una mania degli ordigni, si direbbe. Tra le cortine di nebbia nera dei caccia, alle radici dei coni-luce proiettati verso l'alto, ventagli o lame che sembrano tagliare a fette la notte, principiano a crepitare le mitragliere. Le vampe verticali delle artiglierie contraerei, i cannoni da quattro pollici che orrendamente latrano al cielo, il pandemonio, il dissennato frastuono. «Il rumore della battaglia», o per meglio dire della sparatoria, «copre il rombo dei motori degli aerei che si avvicinano alla formazione.» «Immersi come siamo nella nebbia, che è diventata più densa, non vediamo intorno a noi se non le scie luminose dei traccianti che si perdono in alto nell'oscurità: e non riusciamo a distinguere se non ad intervalli gli incrociatori dai due lati, nonostante la loro vicinanza e le loro grandi dimensioni.» Così l'Ammiraglio. La Veneto esce indenne dall'attacco: senza nuovo danno dopo il primo, cioè. I suoi ufficiali macchinisti e il suo personale di macchina l'hanno riportata a 19. L'Ammiraglio riceve dal profondo in plancia l'annuncio «che le condizioni delle macchine di destra consentono di aumentare la velocità fino a 19 nodi». Il Pola è stato colpito da un siluro. Si intercetta dallo Zara: «Da comando prima divisione a nave Pola: dite vostre condizioni». Poco dopo lo Zara all'ammiraglia: «Nave Pola informa essere stata colpita da un siluro a poppa». E Supermarina-Roma frattanto: «Da rilevamenti radiogoniometrici risulta che unità nemica sede comando complesso ore 17,45 trasmetteva ad Alessandria, miglia 40 da Capo Crio, rotta 240°». A 75 miglia dalla Veneto, allora. Di quali navi è questione? Non certo di navi da battaglia: «perché una sola di queste navi ci risulta uscita da Alessandria, insieme alla nave portaerei». Una più una fanno due... «E l'ultima volta che è stata vista era molto lontana.» Certo. Le navi da battaglia inglesi fanno ostriche sulle carene alla fonda, nel porto d'Alessandria. È questo il loro senso, il loro compito. Gli inglesi non arrischiano volentieri le loro navi da battaglia contro gli incrociatori italiani. Troppe ne hanno perdute nei mari, per potersi permettere di farne uscire tre da Alessandria. «Alle 20,38 si conferma l'ordine allo Zara di andare col Fiume e con la squadriglia caccia, la nona, a soccorrere il Pola.» Alle 20,53 dallo Zara all'ammiraglia è ritrasmesso un nuovo radiotelegramma del Pola: «Da nave Pola a nave Zara. Colpito da siluro al centro. Allagati i tre compartimenti apparato motore prora, caldaie quattro-cinque et sei-sette. Chiedo assistenza e rimorchio». Poco dopo le 21 si distinguono dalla plancia della Veneto le due grandi sagome oscure degli incrociatori Zara e Fiume che accostano a dritta, invertendo la rotta, seguiti dai quattro caccia della nona tipo Alfieri, in linea di fila. Il bollettino di guerra numero 297, dopo aver tuonato battaglia, e battaglia dura, enunciò: «Molti uomini degli equipaggi sono stati salvati», omettendo il complemento di agente. «Sono state inflitte al nemico perdite non ancora completamente precisate, ma certamente gravi.» Il nemico infatti, perdé l'aerosilurante che aveva appiccicato il siluro in sottopoppa all'astuccio di sinistra esterno della Veneto, durante l'accostata a dritta di questa: (mossa scarognata quant'altre, ahimè, che finì per piazzar la mole della Veneto proprio dove meno bisognava: e cioè sulla rotta dello squalo). Bersagliato dalle mitragliere di bordo, l'aereo col disgraziato che c'era dentro si tuffò nel mare, discese nel profondo. L'aviatore inglese aveva risalito la linea della Veneto mentre che tutti abbadavano a quegli altri, ai bombardieri, aveva virato ad alto nel pandemonio dei tiri, l'aveva ridiscesa in controrotta, con esattezza intrepida, silurando di prora. Ferito a morte, era sparito nel mare. Lo Zara e il Fiume seguiti dai caccia viaggiavano a lumi spenti nel buio, coi 203 sull'asse, le torri a brandeggio zero cioè: senza nemmeno i colpi in canna, come il regolamento di servizio in guerra molto opportunamente prescrive: (contro i 381 delle navi da battaglia non ce la fanno, contro lo zanzarume imprendibile dei cacciatorpediniere sarebbero altrettante salve sprecate, buttate inutilmente alla notte). Ignari ancora della sua posizione precisa, stavano tuttavia per poter raggiungere il Pola, solo e fermo nella tenebra a poche miglia più in là. Dal nero enigma del mare alcuni razzi rossi, a 10° di prora. Il Pola segnalava il punto. In quel medesimo momento... una luce sùbita, come suscitata da spetri, investì lo Zara, il Fiume: il cieco e accecante splendore d'una cognizione impreveduta, inesorabile. Erano, a meno di due miglia, il Greyhound e il Griffin, "in pursuit of enemy destroyers", con rotta inversa, dunque, alla rotta della prima divisione. Allora, solo allora, le nere sagome delle navi da battaglia si disegnarono come ritagliate dalla carta sul nero piano del mare, al di là dei due caccia fattisi portatori di quella pupilla e di quello sguardo non presagito: la luce. Il tenente d'armi, a due passi da Vittorio, ebbe ancora il tempo di sillabare quattro nomi: Warspite - mormorò atterrito - Valiant, Formidable, Barham... La linea delle folgori divampò rossa fuor dalla notte lungo la catena spaventosa delle navi, sopra le fiancate delle quattro. Vittorio si ricusò d'abbrividire. "L'incrociatore" pensò. "Regia Nave Fiume" gli parve leggere, sulla fascia fredda del proprio cuore. Tremendi ululati furono loro addosso, la bordata piena della Valiant; il tessuto del mondo, allora, si lacerò: Vittorio arrivò a capir che si lacerava con lui, con ogni suo viscere, dentro, con ogni possibilità di seguitare ad amare, a conoscere.

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