"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi

"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi
"Il bruco" (2017). Nikon Coolpix P900. Foto macro. Stato larvale della falena diurna "Macroglossum stellatarum" volgarmente detta "sfinge colibrì".

lunedì 19 giugno 2023

ItalianGothic. 60 Isaia Sales: «L'unica fonte di dolore è la memoria. Perciò gli italiani sono meno infelici di altri popoli».


Ha scritto James L. Newell - autore di “Silvio Berlusconi: a Study in Failure”, edito da “Manchester University Press” (2019), docente presso l’Università “Carlo Bo” di Urbino – in “Sia funerali di Stato sia lutto nazionale per B.: ma siete seri?” pubblicato su “il Fatto Quotidiano” del 14 di giugno 2023: Ieri mattina non sono riuscito a trattenere l’indignazione quando ho sentito che sia il Papa che il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella avevano rilasciato dichiarazioni pubbliche in risposta all’annuncio della morte di Silvio Berlusconi. Ma poi la situazione è peggiorata. Poi è stato annunciato che mercoledì Berlusconi avrebbe avuto un funerale di Stato alla presenza di Mattarella e che ci sarebbe stata una giornata di lutto nazionale con bandiere a mezz’asta. È come se, alla morte di Boris Johnson – un uomo noto, come Berlusconi, per il suo disprezzo per le istituzioni dello Stato – le autorità decidessero di fargli un funerale nell’Abbazia di Westminster alla presenza di Re Carlo! In questo caso, mi auguro che ci sia una sorta di rivolta pubblica! I notiziari televisivi di ieri sera erano interamente dedicati a Berlusconi. Avrebbe potuto verificarsi una grande catastrofe, ma il telespettatore non ne sarebbe stato informato. In realtà una catastrofe c’è stata: l’ultimo di una serie infinita di incidenti sul lavoro, quando due uomini sono morti per asfissia in un’azienda vinicola dopo che uno di loro era caduto in un container e l’altro aveva tentato di salvarlo – ma di questa tragedia o eroismo non si è parlato. Berlusconi era amato da molti, ma milioni di persone hanno votato contro di lui e questo è il punto. La mia indignazione deriva dal fatto che la Costituzione italiana stabilisce che il dovere più importante del Presidente è quello di rappresentare l’unità nazionale, quindi l’idea che egli presti la sua autorità a un evento che segna la scomparsa di una figura così divisiva mi sembra del tutto inappropriata. Sono i contribuenti a pagare il conto dei funerali di Stato. Quell’uomo era un membro della loggia massonica sovversiva P2, per carità, per non parlare di colui che è stato giudicato colpevole di frode fiscale; che è entrato in politica per salvare il suo monopolio sulle trasmissioni televisive private; che è diventato famoso per aver abusato della sua posizione di primo ministro per approvare leggi destinate a servire i suoi interessi di privato cittadino. La più grande abilità di Berlusconi è stata quella di difendere i propri interessi. È stata la riuscita personalizzazione della campagna politica di Berlusconi a fornire la spiegazione essenziale del fallimento dei partiti del centro-sinistra, quando erano in carica dal 1996 e di nuovo dal 2006, nel garantire una legislazione che affrontasse efficacemente il conflitto di interessi dell’imprenditore; perché erano ben consapevoli che gli sforzi in quella direzione sarebbero stati inevitabilmente percepiti dall’opinione pubblica come un caso di uso del potere pubblico per attaccare Berlusconi personalmente; percepito, quindi, come irragionevole, e pertanto senza la possibilità che portasse loro qualche significativo dividendo elettorale. Ricordo le polemiche suscitate dal funerale di Margaret Thatcher e spero – immagino – che anche in questo caso ci saranno numerose espressioni pubbliche di dissenso.

“La santificazione laica e le amnesie di un Paese che trasfigura in virtù i suoi peggiori vizi”, testo di Isaia Sales pubblicato sul quotidiano “la Repubblica” del 16 di giugno ultimo: (…). Più volte accadimenti importanti della nostra vicenda unitaria ci hanno costretto a porci una domanda assillante: in che nazione viviamo? Quale idea di Stato noi italiani abbiamo in testa? Quale idea di etica personale e collettiva perseguiamo? A quale idea di fede religiosa ci ispiriamo? Nei giorni scorsi abbiamo assistito a qualcosa di ancora più inquietante: non solo la trasfigurazione in virtù di alcuni dei vizi nazionali, ma la pretesa di venerarli urbi et orbi come un dato assodato, come un'acquisizione storica definitiva su cui non si ammettono dubbi e deroghe. Mai nella nostra storia si è arrivati così vicini a pretendere che la vicenda complessa di un uomo di successo (piena di tanti lati oscuri) si identificasse come una seconda pelle degli italiani e diventasse un dogma, cioè come qualcosa in cui credere oltre ogni evidente inverosimiglianza. La santificazione laica di Berlusconi, la trasformazione di una vita opaca in una vita immacolata, rappresenta il primo dogma della nuova religione politica del Paese. Se si arriva a considerare padre della patria uno come Silvio Berlusconi, che patria è la nostra? E se è considerato un grande statista chi ha assunto un mafioso per proteggere la sua famiglia e le sue aziende, in che Stato viviamo? E che religione pratichiamo se non solo, com'è giusto, proviamo a comprendere le debolezze umane dei peccatori ma in morte li liberiamo da ogni responsabilità per gli atti (privati e pubblici) compiuti in vita, mentre si pretende che facciano abiura tutti quelli che lo hanno avversato in nome di altri principi e valori? Berlusconi ha scritto sicuramente la storia della televisione italiana, ma la storia politica e civile dell'Italia non la si può scrivere, certo, tramite i mezzi televisivi. Sono stati i suoi funerali e il lutto proclamato per tre giorni la prima santificazione politica della vita repubblicana a reti unificate e il primo tentativo di (ri)scrivere la storia per via televisiva. Forse ciò che è accaduto in questi giorni ci darà la possibilità di comprendere meglio perché alcuni fenomeni che ci accompagnano fin dalla nascita dell'Italia (come le mafie) sono ancora lì, mai sconfitti, mai fino in fondo combattuti. E soprattutto ci fornirà elementi preziosi per comprendere come si può forgiare la storia in una democrazia attraverso il controllo semi-monopolistico dell'informazione, come si può pensare di sbianchettare ogni atto, azione, vicenda che oscuri la figura salvifica di un personaggio così discutibile e discusso. Gli sono state concesse non solo cose a nessun altro politico permesse, ma addirittura si è proclamato quasi un editto a non discuterne la funzione storica positiva a prescindere, direbbe Totò. Hannah Arendt ha scritto che è tipico dei sistemi che si avviano sulla china di concezioni totalitarie introdurre "la menzogna coerente" come mezzo per salvaguardare il proprio mondo fittizio. Abbiamo assistito in questi giorni a uno dei casi più clamorosi e più premonitori di ciò che ci aspetta se non si reagisce adeguatamente. Se si vuole fare un confronto con un altro momento della nostra storia, dobbiamo riferirci alle vicende che hanno riguardato Giulio Andreotti, sette volte presidente del Consiglio dei ministri, il democristiano più influente del secondo dopoguerra assieme ad Alcide De Gasperi e ad Aldo Moro, che è stato ritenuto in rapporti con Cosa nostra fino al 1980, secondo una sentenza definitiva di un tribunale italiano. Anche la sua morte e i suoi funerali furono caratterizzati da elogi sperticati e polemiche feroci ma senza nessun tentativo di manipolazione dei fatti, nel modo in cui si è provato a fare con Silvio Berlusconi, e senza un timore da parte delle opposizioni di venire meno ai doveri di pietà umana segnalandone il ruolo di cerniera con l'universo mafioso e altre tragiche vicende nazionali. Ma, si dirà, Andreotti fu comunque segnato dalla vicenda giudiziaria e, se pure fu accreditata la tesi falsa di una sua assoluzione, per il "divo" gli atti giudiziari sono stati inequivocabili: fino al 1980 fu in relazioni con i mafiosi siciliani. Insomma, due capi di governo nella nostra storia repubblicana sono stati segnati anche dal rapporto con la mafia. E a dirlo non sono state solo le opposizioni. Berlusconi viene definito "mafioso" da Umberto Bossi. Sul giornale della Lega Nord, la Padania, il 30 giugno 1998, comparve una copertina che raffigurava insieme i principali boss di Cosa nostra con Berlusconi, Dell'Utri e Andreotti, con un titolo molto significativo, Baciamo le mani. Insomma, Bossi definì mafioso colui che era stato e sarà poi suo principale alleato fino ai giorni nostri. Una cosa del genere non si era mai verificata nella storia politica dell'Italia repubblicana, cioè l'accusa a un alleato di governo di aver costruito la sua fortuna economica e politica con il sostegno della mafia, e dopo queste accuse pesantissime, tornare a governare insieme. Ma anche questa è l'Italia: l'ostentato garantismo di chi nel passato ha definito mafioso Berlusconi senza la pronuncia di una sentenza della magistratura. Un garantismo del tutto particolare e originale: si diffida fortemente dei magistrati ma si ritiene che ogni assoluzione di un tribunale sia di per sé un attestato a vita di pulizia e onestà, un lasciapassare per la storia. Ma neanche le sentenze dei magistrati scrivono la storia, e nel caso di Berlusconi sono tanti e tali i fatti da analizzare prima di farne un nuovo Cavour. L'unica fonte di dolore è la memoria, scriveva Roberto Bolaño. Perciò gli italiani sono meno infelici di altri popoli.

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