“L’acido muriatico della destra sulle nostre famiglie allargate e speciali”, testo di Nichi Vendola pubblicato sul quotidiano “la Repubblica” del 10 di giugno ultimo: (…). Mi piace appartenere ad una famiglia che somiglia ad un arcipelago, così popolosa e speciale, che abita in diverse parti del mappamondo, si scambia video e foto, tiene viva una relazione affettiva che non credo rappresenti una minaccia per la società. La famiglia, al di là dell’iconografia che la sacralizza, è una esperienza sociale le cui forme e i cui valori sono segnati dalla cultura specifica di ogni tempo e di ogni luogo, ed è assai vasto e assai vario il repertorio storico dei tipi di famiglia che sono esistiti, già a partire dalla preistoria. Oggi vengono censite e studiate le famiglie nella pluralità della loro costituzione: non esiste la famiglia se non come icona o ideologia. Appunto, ci sono le famiglie. Nucleari, allargate, monoparentali, omogenitoriali, una fenomenologia cangiante fatta di reti protettive e solidali tutte meritevoli di ascolto e di accoglienza. E capita talvolta che nel recinto blindato di “famiglie tradizionali” piuttosto che l’amore vada in scena il degrado e la sopraffazione: questo per dire che ciò che conta, sempre, è la qualità e la ricchezza delle relazioni. Chi vorrebbe discriminare oggi, usando l’ustione dello stigma morale per un genitore o per un figlio, dovrebbe ricordare le puntate precedenti della storia delle discriminazioni: contro le donne rese prigioniere del patriarcato, contro le ragazze madri la cui maternità illecita veniva punita con la sottrazione del figlio e il sequestro a vita nei monasteri-lager, contro i figli del peccato considerati illegittimi e privati dei diritti dei loro fratelli legittimi, contro gli omosessuali puniti con ogni sorta di atrocità nel nome della morale. È un elenco lunghissimo. E troppo spesso il diritto ha accompagnato e non corretto lo storto, ha cioè legittimato la violenza istituzionale esercitata da un giudice-boia o da un padre-padrone, sempre nel nome del Dio della normalità: che è un dio blasfemo e falso, soprattutto quando viene invocato per sopprimere una diversità, cioè il multiverso che irrompe nell’universo. Leggo le parole della destra al potere, ma anche di frammenti di sinistra e di femminismo novecentesco, e resto ammutolito dalla loro biblica perentorietà. Capisco il dissenso, ovviamente. Ma non capisco l’acido muriatico sulle nostre vite. Un figlio sognato, desiderato, scelto, può mai essere un delitto, anzi un crimine universale? E una donna, non ricattata dalla povertà, non condizionata da alcuna ipoteca, non potrà mai e in nessun caso decidere liberamente di mettere al mondo un figlio non suo? Lo Stato è proprietario del suo corpo? Lei non può scegliere? Pure se lo fa per altruismo il suo sarà un gesto di complicità con un crimine? Un crimine? Non il frutto di uno stupro. Non il bottino di un commercio clandestino. Ma questo bambino sereno che cresce, consapevole della sua storia e della sua “specialità”, figlio voluto in un’epoca che i figli li fa sempre meno, è lui il vostro assillo, la vostra soglia morale? Non è crimine universale il genocidio, né la strage, né l’omicidio, né la tortura, né la produzione e il commercio di armi, né la guerra, né il turismo sessuale, né la pedofilia. Dare la vita è un delitto mentre toglierla è un accidente o un effetto collaterale? (…). Ci sono più cose tra cielo e terra, direbbe il poeta, di quante non ce ne siano nelle prescrizioni delle polizie morali. E c’è sempre qualcosa del vivente che sfugge ai codici ideologici e giuridici che cercano di incasellare, di normare, di dare una legittimazione alla vita viva. La vita che semina tracce di umano, che cova passioni, che reclama luce e calore, che corre e inciampa e si rialza, che costruisce l’inimitabile e caleidoscopica singolarità dei vissuti, che accoglie la grande storia che pure la contiene e la plasma, che impara sbagliando o inventando: ecco, questa vita multiforme e cangiante, quando non rompe il vincolo di umanità che la lega a tutte le altre vite, merita perlomeno l’ascolto, e non un racconto deformato come nei talk di regime, dove per la prima e ultima volta ascolterete sermoni contro quella mercificazione della vita che invece difenderanno per tutto il resto, subito dopo la pubblicità. Sarò sincero, è da quando ero ragazzino che lotto contro le parole che semplificano, che insozzano, che feriscono, che crocifiggono. (…). Per questo non ricambieremo gli odiatori seriali offrendo loro il nostro risentimento. Solo e semplicemente continueremo ad avere cura delle parole, perché le parole costruiscono il mondo. E difenderemo con le unghie e con i denti noi stessi, i nostri sentimenti, i nostri diritti. E i nostri figli.
"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi
venerdì 23 giugno 2023
Dell’essere. 91 Nichi Vendola: «Non esiste la famiglia se non come icona o ideologia. Appunto, ci sono le famiglie».
Ha scritto Umberto Galimberti in “La maternità surrogata” pubblicato sul
settimanale “d” del quotidiano “la Repubblica” del 10 di giugno 2023: (…).
Leggiamo nella Genesi (21, 1-21) che siccome Sara non riusciva ad avere figli
offrì a suo marito Abramo la schiava egiziana Agar che partorì Ismaele. In seguito,
come Iddio le aveva predetto, anche Sarà partorì un figlio, Isacco, e a quel
punto intimò al marito di scacciare quella schiava e suo figlio per evitare che
Ismaele diventasse, al pari di Isacco, erede. Ma a quel punto Iddio disse ad
Abramo: "Non dispiacerti per il fanciullo e la tua schiava: ascolta la
parola di Sara, perché da Isacco dovrà uscire la progenie che porterà il tuo
nome, e dal figlio della tua schiava farò nascere un popolo perché anche quel
figlio è seme tuo". Allora Abramo prese del pane e un otre d'acqua li
caricò sulle spalle di Agar e la allontanò con suo figlio nel deserto. Lungo il
percorso, quando l'acqua vene meno, Agar depose il figlioletto all'ombra di un
cespuglio e disperata alzò un grido: "Non voglio vedere la morte di mio
figlio". Dio udì la voce del fanciullo e un angelo dal cielo chiamò Agar e
le disse: "Agar non temere, perché Dio ha udito la voce del fanciullo.
Alzati, prendi il fanciullo e sii la sua guida sicura, perché io ne farò un
grande popolo". Da Isacco discese la stirpe d'Israele e da Ismaele la
stirpe dei musulmani. Ma proseguiamo con un'altra storia. Anche Leonardo da
Vinci è un figlio da maternità surrogata. Il padre, Ser Piero da Vinci, ha
avuto Leonardo da una sua contadina che si chiamava Caterina. Prima che
Leonardo nascesse, il padre aveva cercato di avere un figlio da ben due mogli,
ma nessuna glielo aveva saputo dare. Solo dalla terza moglie ebbe finalmente
sei figli, ma dopo che Leonardo era già nato dalla contadina Caterina. Il padre
lo portò a Firenze come figlio suo e, quando si accorse dei suoi talenti, lo
mandò a bottega dal Verrocchio, la più prestigiosa bottega d'arte di quel
tempo, dove si vede che la cosa più importante non è come i figli nascono, ma
come sono curati e come crescono accuditi dal riconoscimento e dall'amore.
Nessuno misconosce che i figli hanno diritto ad avere una mamma e un papà, come
spesso si sente dire con toni perentori. Ma quando mamma e papà non si
sopportano più, quando litigano in continuazione, quando si separano e usano i
figli per i loro reciproci ricatti, i figli di queste coppie eterosessuali, in
queste condizioni che non sono assolutamente rare, crescono meglio dei figli di
coppie omosessuali dalle quali magari sono curati e amati con dedizione?
Bisogna essere davvero ottusi per non capire che la felicità di un figlio
dipende dall'amore che ha ricevuto e dai traumi che gli sono stati evitati e
non dalla gravidanza dalla quale sono nati.
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