Ha scritto Ray Banhoff in “Solo lui sapeva vendere ghiaccio agli eschimesi” pubblicato sul
settimanale “L’Espresso” del 18 di giugno 2023: (…). Berlusconi era come uno di
famiglia nel grande inconscio collettivo italiano. Era il padre arcaico e
insuperabile che alimentava il nostro complesso di Edipo. Gli antiberlusconiani
vivevano per combatterlo, i berlusconiani per adularlo. Aveva conquistato tutti
in gioventù «vendendoci il Berlusconi che è dentro di noi», (…). Vero. Il
self-made man, l'imprenditore lombardo che sale sul tetto del mondo e cena coi presidenti,
ma è guascone, sempre al limite (…), sempre circondato da belle donne e impunità.
Questo piaceva alle persone, il suo lato fuorilegge, il suo essere borderline
tra la morale e l'abisso. Berlusconi era come il cattivo dei film, a cui ti
affezioni perché il buono c'ha la faccia di gomma stile Ben Affleck ed è
noioso. Aveva un'aura picaresca da Totò che vende la Fontana di Trevi, ma nella
realtà, il che lo rendeva mitologico; aveva suonato il piano, allenato squadre
di calcio dilettantistiche e fatto un botto di soldi. Berlusconi era il Milan
che vinceva tutto, le giganti tette di "Colpo Grosso" che ci tenevano
svegli la notte, il "Drive In", il Gabibbo e "Festivalbar";
era il tizio che raccontava le barzellette fuori luogo e faceva le corna nella
foto di gruppo con i grandi, era un personaggio di James Ellroy, era un gran
gonfiatore di mitologie, soprattutto la sua (si vantava di aver messo fine alla
Guerra Fredda facendo stringere la mano a Putin e Bush a Pratica di Mare). «Se
avesse un puntino di tette, farebbe anche l'annunciatrice», scrisse Enzo Biagi.
Un meme su Internet recita: da adesso, usando la locuzione «quando c'era lui»,
non sarà più così scontato a chi ci si stia riferendo. Insomma, è un mistero.
Non gli si riesce a voler male, soprattutto da morto, nonostante i danni che ha
fatto. Nella mia carriera l'ho incontrato due volte (una l'ho fotografato
mentre sveniva a Montecatini Terme) e ho visto persone di ogni rango sociale e
credo politico imbalsamarsi al suo cospetto e chiedergli un selfìe, chiamandolo
«presidente»: me compreso. Avrebbe venduto il ghiaccio agli eschimesi... Pure
Marco Travaglio, nel celebre episodio della sedia pulita con il fazzoletto, al
suo cospetto non fece che un risolino. Di sicuro B., come lo si chiamava nei
Duemila quand'era il Caimano, ci ricorda che l'essere umano e l'amore sono un
enigma.
“Zio Fester
o Condor: tra antenne e palloni nel nome sacro di B.”, testo di Pino
Corrias pubblicato su “il Fatto Quotidiano” di venerdì 21 di giugno ultimo: Sembra
Teo Teocoli travestito da zio Fester della Famiglia Addams. Invece è Adriano Galliani. Già pronto a rimettere gli scarpini da
senatore. Nel Senato vero, per volontà degli Eredi: "A richiesta,
obbedisco!". Lo fa nonostante si consideri, per sua stessa ammissione,
"un bimbo". Mai cresciuto più dei suoi sei anni, sebbene quelli veri
siano 79, imbambolato davanti alla prima partita di calcio vista dal vivo,
stadio di Monza, anno 1950, in compagnia della sua mamma. E da quella domenica
pomeriggio per sempre. Tutta la vita futura a rotolargli davanti come fa la
palla verso la rete, che nel suo caso è il villone di Arcore, sala da pranzo
con il tris di risotto. Anno 1979. A capotavola il suo destino che da quel
giorno in poi ha abitato dentro al sorriso smagliante del padrone di casa,
Silvio Berlusconi, e dei suoi multipli danè. Rotolati anche loro fino
all'ultimo giorno disponibile, prima fabbricando le 1700 antenne piazzate sui
1700 cocuzzoli dall'Alpe all'Appennino, comprati per illuminare le tre televisioni
(illegali) della Fininvest: "Che anni magnifici furono!". Poi per
cavalcare i 31 anni d'oro del Milan, 1986-2017, otto scudetti, cinque Coppe dei
campioni, 17 Coppe minori: "Che anni magnifici furono!". Anche al
netto di qualche inciampo nella cronaca giudiziaria per miliardi di lire e
milioni di euro dribblati al fisco, traffico di attaccanti come Lentini,
sovrafatturazioni, falsi in bilancio e altri accidenti. Tutto condonato,
prescritto, depenalizzato, amnistiato. Abbiamo scherzato, ci mancherebbe. Non
solo perché il suo presidente le leggi le ha cambiate direttamente con gli
avvocati e i camerieri in Parlamento, ma anche perché, mettetevi una mano sulla
coscienza, di cosa è mai imputabile un bimbo di sei anni? Uno che crede in dio
e in Marco Van Basten (dixit), ma ubbidisce a una sola legge, quella del
Presidente. E lo dice: "Il Presidente è l'uomo più buono che abbia mai
conosciuto. Il Presidente ha sempre ragione. Le parole del Presi-dente sono
sacre e non si commentano. Mai". Il povero bimbo non nasce povero. E
ricchissimo diventerà. Il babbo fa il segretario al Comune di Monza. La mamma
ha una piccola ditta di trasporti. È lei quella del primo calcio al pallone. È
lei quella che porta la Gazzetta dello Sport in casa. Dirà Adriano: "Ho
imparato a leggere sulla Rosea". Il Monza gioca in Serie C. Lui va tutti i
giorni a vedere gli allenamenti: "Pensavo al Monza 24 ore al giorno".
In subordine tifa Juventus - "in Brianza si usa così" - e studia da
geometra. La madre muore giovane. Lui eredita dal padre un posto fisso in
Comune e il voto alla Democrazia cristiana. Per arrotondare vende citofoni. Poi
antenne della Elettronica Industriale, ditta di un tale Ottorino Barbuti che
fabbrica cavi. Nel 1975 Galliani racconta di essersi ipotecato l'appartamento
per comprarsela. Gli frulla l'idea di illuminare le nascenti tv locali. Va da
Rizzoli che non capisce l'affare. Va da Mondadori che non lo ascolta. Va da
Rusconi che non lo riceve. Gli resta il Dottore che ha appena acceso la sua
Telemilano per gli inquilini di Milano Due il quartiere che non è un quartiere,
"ma un modo di abitare". Il Dottore lo invita a cena. Racconta:
"Quando mi chiese come la pensavo in politica, gli dissi: Mio padre mi ha
insegnato che i comunisti mangiano i bambini. Mi sono fermato lì".
Ingaggiato al volo. E poi la domanda delle cento pistole: "Lei saprebbe
illuminarmi tre reti su territorio nazionale?" Risposta: "Tre reti?
Ma è proibito dalla legge". "E allora? Lei faccia il tecnico. Io
penso alle strategie". La strategia è tre reti private contro tre reti
Rai. Per farlo occorre simulare la diretta televisiva spedendo le cassette in
ogni Regione e sincronizzando la messa in onda. L'obiettivo è incassare la
pubblicità nazionale. È un reato, ma è anche l'uovo di Colombo. Con il vantaggio
supplementare di offrire la potenza di fuoco a Bettino Craxi, astro nascente
dell'Italia da bere, e incassare la sua protezione politica contro i soliti
pretori ficcanaso. L'operazione riesce. Per Galliani il Presidente non è un
bandito, "ma un visionario". E lo è anche per il VI governo Andreotti
che con un blitz notturno, il primo giorno di agosto del 1990, approva con voto
segreto la celebre legge Mammì sul riordino delle frequenze tv, detta legge
Polaroid, perché fotografa il duopolio esistente, con tutti i vantaggi per le
reti Fininvest nascenti e lo status quo per quelle telemorenti della Rai.
Seguono inchieste, specie nei giorni di Mani Pulite, per traffici tra Fininvest
e il ministero delle Poste. Indagato tutto lo stato maggiore: Galliani, Gianni
Letta, Fedele Confalonieri, Giancarlo Foscale, Dell'Utri. Otto anni di carte,
qualche arresto, compreso un tale Davide Giacalone, braccio destro del ministro
Mammì, che la legge l'ha scritta e che, subito dopo, diventerà consulente della
Fininvest con ingaggio da 600 milioni di lire. Poi tutto passa in cavalleria,
cioè alla Procura di Roma, con Renato Squillante regnante e l'avvocato Cesare
Previti a benedire: la bella coppia del futuro Lodo Mondadori. Più o meno
stessa sorte per le molte inchieste aperte, trascinate e chiuse nella stagione
del Milan che inizia fragorosamente nell'anno 1986, quando Berlusconi, che in
realtà vorrebbe comprare l'Inter, incassa la squadra e i debiti di Giussy
Farina, quello della Lanerossi. Dichiara Berlusconi: "Impiegheremo la
nostra esperienza nella tv commerciale per esaltare l'immagine del Milan".
L'identico spartito che userà otto anni dopo per lanciare il partito, ma
nessuno impara la lezione. Si scopre che il più milanista di tutti è proprio il
bimbo Galliani, icona psico sportiva che ogni domenica, mani al cielo e
cravatta gialla al vento, freme, soffre, esulta, sviene a ogni goal di Gullit,
Weah, Shevchenko, Kakà, Per due dozzine d'anni - salvo il guaio di Calciopoli e
la ruggine con Barbara B. - plenipotenziario della Lega Calcio e del
calciomercato, detto il Condor, per come plana sulle stelle della pedata, con
scia sempre milionaria e confessione standard: "Penso al Milan 24 ore al
giorno". Almeno fino a quando il Presidente vende la squadra ai cinesi, anno
2017. E per consolazione, l'anno dopo, offre al suo adepto un giro di giostra
in Senato. Finalmente arrivano i supplementari quando l'ultimissimo Berlusca
decide di comprare il Monza per lanciarlo in stile cene eleganti: "Se vincete, vi prometto un pullman di troie!".
Galliani ride: "Le parole del Presidente sono sacre".
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