"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi

"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi
"Il bruco" (2017). Nikon Coolpix P900. Foto macro. Stato larvale della falena diurna "Macroglossum stellatarum" volgarmente detta "sfinge colibrì".

giovedì 8 giugno 2023

Memoriae. 57 Italo Calvino: «Il mondo porta in sé troppa parte del suo anacronistico armamentario per andare avanti senza tragiche scosse».

 
“La Guerra è un’Infamia. Sempre”. Ha scritto Michele Serra in “L’anima brutta della guerra” pubblicato sul quotidiano “la Repubblica” di oggi, giovedì 8 di giugno 2023: La grande diga spaccata per “ragioni strategiche” lascia intendere che per “ragioni strategiche” gli uomini in guerra sgozzerebbero i loro figli, sventrerebbero le loro madri, soffocherebbero i loro vecchi perché non siano di impiccio. Le campagne distrutte, gli animali affogati, le case allagate, il lavoro bestemmiato, l’opera di migliaia di operai e ingegneri sbriciolata, ciò che è stato fatto negli anni che viene disfatto in un attimo: a che serve avere così tanta paura della distruzione atomica, se la distruzione è già qui, pratica quotidiana? Perché non ci spaventa altrettanto questa ferocia a puntate, questa soluzione finale che si finge parziale, centellinata come le serie tivù? Le case bombardate con i bambini dentro, la gente alla fermata dell’autobus promossa a bersaglio (“ragioni strategiche”, si suppone), tutto che brucia e marcisce, e mica solo in Ucraina: la Siria, lo Yemen, il Sudan, l’Eritrea... La distruzione di ciò che si è costruito, in termini materiali e in termini di socievolezza, di affinità, di rapporto tra gli umani: questo è la guerra, solo questo. Distruzione che qualche governante sadico ha concepito, qualche generale ottuso chiama “dovere”, qualche intellettuale scellerato giustifica, qualche poeta imbecille esalta. Eppure la guerra non è un tabù. Non se ne parla come del più orrendo dei delitti mai visti sotto il cielo. Come il più irrimediabile e definitivo dei mali. La guerra, nel mondo, è norma, e normalità. Si scandalizzano in pochi, di questa normalità, e a quei pochi tocca anche sentirsi derisi come “anime belle”. Come per chiarire che le anime brutte sono al potere ovunque, e ovunque maggioranza. Di seguito, “A bruschi contraccolpi” (1956) di Italo Calvino riportato sul quotidiano “la Repubblica” con il titolo «Ungheria e ‘68” la Storia siamo noi» del 26 di febbraio 2023: A bruschi contraccolpi è sottoposto il nostro modo di stare nella storia. Per cinque o sei anni abbiamo vissuto a nervi tesi come chi sta sull'orlo di un precipizio, o di sentinella ad una immensa polveriera; cercando di munirci d'una stoica armatura interiore, per guardare fisso, senza chiudere le palpebre, il cielo corrusco di lampi atomici incombenti sulle nostre esistenze. Poi, quasi tutt'a un tratto, risultò che non sarebbe andata così, ma tutto all'opposto. L'assedio era rotto, per il mondo volava una kermesse di sorrisi e di brindisi, s'apriva l'era della pace, la bipartizione del genere umano in amici e nemici faceva luogo all'interesse per ciò che di migliore ognuno in sé sviluppa, l'avvento del socialismo era nelle cose, nelle macchine, in ogni moto dell'ingegno umano. Il corso dei nostri pensieri mutò: passammo l'estate a sognare centrali d'energia solare, pianificazioni universali, età di Pericle. Invece venne l'ottobre, e ci portò quello che non ci aspettavamo: il sangue. Non la guerra degli enormi eserciti contrapposti: sangue di gente che annera i selciati. In Ungheria ed in Egitto (Calvino scrive a fine 1956, si riferisce all'invasione dell'Ungheria e alla crisi di Suez) è avvenuto tutto quel che pareva più lontano, ancora più lontano della guerra fredda. Passano le settimane, la ridda di notizie non dà tregua: ora commossi, ora adirati, ora soltanto desiderosi di veder chiaro, non pensiamo neppure più a configurarci una nuova immagine del nostro tempo. Forse è sbagliato questo nostro vivere così attaccati alla storia? Forse la saggezza va ancorata fuori dal tempo, e il nostro comportarci in mezzo ai fatti va improntato ad un empirico pessimismo? No, per quel che possiamo discernere attraverso l'ansia dei giorni, le prospettive del mondo non mutano. Ma il mondo porta in sé troppa parte del suo vecchio anacronistico armamentario per andare avanti senza queste tragiche scosse. Siamo in un trapasso d'epoca. L'immagine di sé che il socialismo ha dato in Ungheria - questo caso limite di non-identificazione tra volontà popolare e potere socialista - era già superata dalla storia, una via senza uscita. L'immagine che il mondo capitalistico ha dato di sé in Egitto, è l'immagine di guerra coloniale più stantia, che pare evochi davvero la borghesia ottocentesca di questi fantomatici azionisti del Canale, con la bombetta e con le ghette. Entrambe queste immagini corrispondono certo a una realtà di fatto, ma a una realtà che sopravvive per una sua inerzia, non a una realtà in sviluppo. Le vie per cui la storia marcia sono altre: Gomulka, il piano di disarmo sovietico, Nehru, le dimissioni di protesta di Nutting, Hammarskjöld in Egitto coi suoi soldati danesi e colombiani. La lezione è d'una urgente chiarezza per il nostro campo come per quello a noi avversario. Il mondo che vogliamo non ci giunge per miracolo ma dobbiamo conquistarcelo, forse anche duramente, costruircelo nella teoria e nella pratica. Di questa coscienza della dura lotta che ci attende è nutrito oggi il nostro ottimismo. (…). 

Nessun commento:

Posta un commento