"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi

"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi
"Il bruco" (2017). Nikon Coolpix P900. Foto macro. Stato larvale della falena diurna "Macroglossum stellatarum" volgarmente detta "sfinge colibrì".

domenica 4 giugno 2023

Memoriae. 56 Giinther Anders: «Abbiamo rinunciato a considerare noi stessi come i soggetti della storia».


Ha scritto Umberto Galimberti in “È finita un’epoca?” pubblicato sul settimanale “d” del quotidiano “la Repubblica” del primo di aprile 2023: (…). noi siamo già usciti dalla storia, perché di storia si può parlare quando il tempo è iscritto in un disegno, che in versione religiosa si chiama salvezza, in versione laica progresso.

Oggi il corso della storia è regolato dal mercato e dalla tecnica. Il mercato non ci vede come persone, ma unicamente come produttori e consumatori dove, se non si consuma non si produce, e se non si produce si crea disoccupazione, povertà e gravi problemi sociali facilmente immaginabili. Per questo siamo invitati a un consumo forzato, che vuol dire portare al nulla tutte le cose nel tempo più rapido possibile. A ciò si aggiunga il fatto che gli uomini non si incontrano più come persone, ma come rappresentanti delle merci. Dove non c'è il business non c'è necessità di incontrarsi. Anche la tecnica non ci vede come persone, ma servendosi degli algoritmi fa di noi dei profili che non dicono "chi siamo", ma "a cosa serviamo". Siamo diventati dei curricula, dei funzionari di apparati che devono compiere le azioni previste e prescritte dall'apparato che ci giudica con i valori della tecnica, che sono funzionalità, efficienza, produttività, velocizzazione del tempo. La tecnica, infine, non promuove un senso, non tende a uno scopo, ma unicamente al suo autopotenziamento, perché sa che, senza la sua strumentazione, gli scopi che si vogliono raggiungere resterebbero dei sogni. A presiedere il mercato e la tecnica è una razionalità molto rigorosa: "Raggiungere il massimo degli scopi con l'impiego minimo dei mezzi". Tutto ciò che esce da questa razionalità per il mercato e per la tecnica è privo di senso o al limite ininfluente e quindi inutile. Ma l'uomo è anche irrazionalità, perché irrazionale è il dolore, irrazionale è l'amore, la fantasia l'idealizzazione, l'ideazione, la fede, il sogno. Se tutti questi aspetti non vengono più apprezzati e considerati, l'uomo esce dalla storia e compare solo come produttore, consumatore e funzionario di apparati. Da ultimo non (si) confonda il progresso con lo sviluppo. Il progresso è un miglioramento della condizione umana, lo sviluppo è un potenziamento dei mezzi tecnici che non ha in vista alcuno scopo. Per convincersene basta considerare che senso ha "migliorare" nei laboratori nucleari la bomba atomica, se già quelle in circolazione nel mondo sono sufficienti per distruggere 10 mila volte la terra? A questo punto non ci resta che convenire con Giinther Anders là dove dice:"Abbiamo rinunciato a considerare noi stessi come i soggetti della storia; ci siamo detronizzati e al nostro posto abbiamo collocato altri soggetti della storia, anzi un solo altro soggetto: la tecnica, dal cui impiego dipende l'essere o il non-essere dell'umanità". L'unica consolazione ce la dà Nietzsche là dove scrive: "L'uomo è un animale non ancora stabilizzato". Quindi non è escluso che cessi di considerarsi padrone della terra e incominci seriamente a prendersene cura, perché l'uomo può anche andare sulla Luna o su Marte, ma, a quanto al momento ne sappiamo, solo su questa terra ha la possibilità di vivere, perché la terra può benissimo fare a meno dell'uomo, ma l'uomo non può fare a meno della terra. Di seguito, “Governi whatsapp, cittadini in ostaggio” - tratto dal testo di Jan Zielonka (politologo della “Università Ca’ Foscari” di Venezia e della “Università di Oxford”) “Democrazia miope”, Laterza editore, pagg. 230, euro 22 – e riportato su “il Fatto Quotidiano” di ieri, sabato 3 di giugno: Siete sempre più frustrati dalle notizie politiche? Siete preoccupati per il futuro del vostro Paese e dell'intero pianeta? Pensate che la democrazia sia sempre meno capace di offrire soluzioni? Se è così, benvenuti nel club dei cittadini ansiosi ed esasperati. I nostri politici sembrano darsi un gran daffare nel perseguire nuovi e ambiziosi progetti, ma i risultati sono terribilmente modesti. Negli ultimi anni, i governi hanno acquisito straordinari poteri emergenziali, hanno avuto la possibilità di attingere alla ricerca scientifica più avanzata e sono stati in grado di utilizzare mezzi di comunicazione ultramoderni. Nonostante tutto ciò, gli effetti di questa febbrile attività sulle nostre vite e sull'ambiente sembrano poca cosa. Persino i nostri politici preferiti, per non parlare di quelli di cui non ci fidiamo o le cui idee troviamo odiose, ci appaiono sempre più simili a criceti, apparentemente felici di correre dentro una ruota che non li porterà mai da nessuna parte. (...). Pare, insomma, che alcuni di noi abbiano del tutto perso fiducia nel futuro della democrazia. È possibile recuperare il futuro perduto e farlo ancora nostro? Non è necessario credere ai sondaggi per convincersi che le prospettive per il futuro sono piuttosto fosche. Nonostante i progressi scientifici e gli sforzi eroici di medici e infermieri, la pandemia ha ucciso milioni di persone e sconvolto la vita di un numero ancora maggiore di esse. Despoti come Vladimir Putin non hanno rinunciato a invadere altri Paesi, uccidere persone innocenti e minacciare l'annientamento nucleare. Il degrado ambientale va avanti incurante dei summit sul cambiamento climatico. L'ineguaglianza sociale ha raggiunto livelli senza precedenti nonostante le reiterate promesse di interventi destinati a ridurla. Il capitalismo passa da una crisi all'altra a spese delle famiglie comuni. In aggiunta ai pericoli posti dalle armi nucleari, dai carri armati e dalle mitragliatrici a disposizione di Stati predatori e di individui fanatici, ci troviamo ora a far fronte anche alle minacce portate alla sicurezza informatica. Niente di tutto questo è una fake news. Possiamo discutere della gravità di questo o di quel disastro e dubitare dei profeti dell'apocalisse. Possiamo cercare conforto nei "migliori angeli della nostra natura" (come li ha chiamati Steven Pinker, citando Abraham Lincoln) o citare qualche statistica economica particolarmente ottimistica. Ma è difficile negare che ci troviamo davanti a un accumularsi di calamità per le quali ci mancano risposte adeguate. Davanti a tutto questo, i giovani sono particolarmente spaventati. (...). Si suppone che i governi eletti siano capaci di proteggerci dagli choc esterni, come le crisi finanziarie, le invasioni straniere e le epidemie. Sono loro che hanno la responsabilità di tenere sotto controllo i difetti del capitalismo, di prevedere e, quando possibile, evitare le calamità naturali e di mitigare gli effetti collaterali negativi delle trasformazioni tecnologiche. I governi hanno il compito di mantenere l'ordine e di rendere la nostra vita prevedibile, almeno in qualche misura. Senza questo tipo di prevedibilità, sono a rischio il lavoro e le pensioni, e qualsiasi investimento (persino una decisione personale come quella di sposarsi) si trasforma in una mossa azzardata. I governi attuali, però, si dimostrano incapaci di svolgere queste funzioni basilari. Si limitano ad amministrare il presente senza alcuna visione plausibile per il futuro. Si affannano da una crisi all'altra senza direzione. Danno priorità al loro territorio sebbene nessuna delle sfide che devono affrontare possa essere fermata da una frontiera. Anche se le elezioni possono cambiare le persone al potere, abbiamo sempre meno speranza che questi cambiamenti possano migliorare significativamente le cose. Per usare l'espressione di Jonathan White, ci sentiamo ormai nelle mani di "governi WhatsApp". Persino impor-tanti deliberazioni politiche e negoziati internazionali vengono oggi condotti attraverso rapidi messaggi di testo, pieni di bits e bytes, ma privi di piani, progetti o visioni di base. Il populismo e la scarsa capacità dei nostri leader sono spesso considerati le principali cause del disordine politico contemporaneo. (…). Il futuro è sempre più cupo perché la politica democratica non si presta a maneggiare il tempo e lo spazio in modo tale da proteggere gli interessi delle generazioni future e da travalicare i confini nazionali. È ovvio che per restituire significato al futuro e renderlo desiderabile abbiamo bisogno di politici con una visione ampia del tempo e dello spazio, ma anche gli uomini di Stato più responsabili possono essere indotti a prendere scorciatoie per aggirare la cornice istituzionale nella quale si trovano ad operare. Al momento, la democrazia è legata agli Stati nazionali che difendono gli interessi egoistici di determinati territori e comunità. La democrazia, inoltre, è ostaggio degli elettori di oggi, con implicazioni negative per le generazioni future. In un contesto globale sempre più interdipendente e che si muove sempre più velocemente, la politica incespica e si fa sempre più forte l'impressione che le istituzioni democratiche siano vulnerabili e impotenti, a dispetto di tutti i progressi tecnologici. Per questo la politica è sempre meno in sintonia con il tempo e con lo spazio. Cambiare leader o abbracciare nuove ideologie non basterà a risolvere il problema. Abbiamo bisogno di riformare e forse persino di reinventare la democrazia e di mettere in atto un nuovo sistema di governance globale. Governance e democrazia devono lavorare in tandem: la prima rappresenta l'output di un sistema politico, mentre la seconda ne costituisce l'input. La democrazia può restare rigogliosa solo quando è sostenuta da una governance efficiente e viceversa. Senza una governance forte, la democrazia è incapace di acquisire e mantenere un livello di controllo significativo sul tempo e sullo spazio. Senza una democrazia forte, la governance diventa uno strumento burocratico utilizzato da vari funzionari per farci rispettare le loro decisioni arbitrarie. (…). …sostengo che gli Stati-nazione non rappresentano né gli unici né i migliori contesti per la democrazia e per la governance. Tuttavia, sia la democrazia che la governance richiedono trasparenza, deliberazione e il coinvolgimento dei cittadini. Sono d'accordo con Mare Plattner quando scrive che è difficile immaginare una buona governance in assenza di responsabilità democratica; ci sono però modi diversi di assicurare tale responsabilità e i Parlamenti nazionali sono spesso meno efficienti delle organizzazioni non governative (Ong) o dei media nel controllare l'esercizio del potere. Per questo motivo suggerisco di dare più potere alle Ong e alle associazioni professionali. Suggerisco, inoltre, che il potere venga distribuito fra attori urbani, nazionali, regionali e globali, perché ogni livello possiede risorse differenti per la gestione del tempo e dello spazio. (...). Anche le modalità della governance democratica devono cambiare. È possibile sviluppare una governance meno concentrata sull'adozione e sull'applicazione di leggi rigide e più aperta alla mediazione, al coordinamento e al networking. Non si tratta di creare un impero globale del tempo e dello spazio, ma piuttosto di facilitarne il governo democratico per il bene del pianeta e dei suoi abitanti.

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