Ha scritto Umberto Galimberti in “È finita un’epoca?” pubblicato sul settimanale “d” del quotidiano “la Repubblica” del primo di aprile 2023: (…). noi siamo già usciti dalla storia, perché di storia si può parlare quando il tempo è iscritto in un disegno, che in versione religiosa si chiama salvezza, in versione laica progresso.
Oggi il corso della storia è regolato dal mercato
e dalla tecnica. Il mercato non ci vede come persone, ma unicamente come
produttori e consumatori dove, se non si consuma non si produce, e se non si
produce si crea disoccupazione, povertà e gravi problemi sociali facilmente
immaginabili. Per questo siamo invitati a un consumo forzato, che vuol dire
portare al nulla tutte le cose nel tempo più rapido possibile. A ciò si
aggiunga il fatto che gli uomini non si incontrano più come persone, ma come
rappresentanti delle merci. Dove non c'è il business non c'è necessità di
incontrarsi. Anche la tecnica non ci vede come persone, ma servendosi degli
algoritmi fa di noi dei profili che non dicono "chi siamo", ma
"a cosa serviamo". Siamo diventati dei curricula, dei funzionari di
apparati che devono compiere le azioni previste e prescritte dall'apparato che ci
giudica con i valori della tecnica, che sono funzionalità, efficienza,
produttività, velocizzazione del tempo. La tecnica, infine, non promuove un
senso, non tende a uno scopo, ma unicamente al suo autopotenziamento, perché sa
che, senza la sua strumentazione, gli scopi che si vogliono raggiungere
resterebbero dei sogni. A presiedere il mercato e la tecnica è una razionalità
molto rigorosa: "Raggiungere il massimo degli scopi con l'impiego minimo
dei mezzi". Tutto ciò che esce da questa razionalità per il mercato e per
la tecnica è privo di senso o al limite ininfluente e quindi inutile. Ma l'uomo
è anche irrazionalità, perché irrazionale è il dolore, irrazionale è l'amore,
la fantasia l'idealizzazione, l'ideazione, la fede, il sogno. Se tutti questi
aspetti non vengono più apprezzati e considerati, l'uomo esce dalla storia e
compare solo come produttore, consumatore e funzionario di apparati. Da ultimo
non (si) confonda il progresso con lo sviluppo. Il progresso è un miglioramento
della condizione umana, lo sviluppo è un potenziamento dei mezzi tecnici che
non ha in vista alcuno scopo. Per convincersene basta considerare che senso ha
"migliorare" nei laboratori nucleari la bomba atomica, se già quelle
in circolazione nel mondo sono sufficienti per distruggere 10 mila volte la
terra? A questo punto non ci resta che convenire con Giinther Anders là dove
dice:"Abbiamo rinunciato a considerare noi stessi
come i soggetti della storia; ci siamo detronizzati e al nostro posto
abbiamo collocato altri soggetti della storia, anzi un solo altro soggetto: la
tecnica, dal cui impiego dipende l'essere o il non-essere dell'umanità".
L'unica consolazione ce la dà Nietzsche là dove scrive: "L'uomo è un
animale non ancora stabilizzato". Quindi non è escluso che cessi di considerarsi
padrone della terra e incominci seriamente a prendersene cura, perché l'uomo
può anche andare sulla Luna o su Marte, ma, a quanto al momento ne sappiamo,
solo su questa terra ha la possibilità di vivere, perché la terra può benissimo
fare a meno dell'uomo, ma l'uomo non può fare a meno della terra. Di
seguito, “Governi whatsapp, cittadini in
ostaggio” - tratto dal testo di Jan Zielonka (politologo della “Università
Ca’ Foscari” di Venezia e della “Università di Oxford”) “Democrazia miope”, Laterza editore, pagg. 230, euro 22 – e
riportato su “il Fatto Quotidiano” di ieri, sabato 3 di giugno: Siete
sempre più frustrati dalle notizie politiche? Siete preoccupati per il futuro
del vostro Paese e dell'intero pianeta? Pensate che la democrazia sia sempre
meno capace di offrire soluzioni? Se è così, benvenuti nel club dei cittadini
ansiosi ed esasperati. I nostri politici sembrano darsi un gran daffare nel
perseguire nuovi e ambiziosi progetti, ma i risultati sono terribilmente
modesti. Negli ultimi anni, i governi hanno acquisito straordinari poteri
emergenziali, hanno avuto la possibilità di attingere alla ricerca scientifica
più avanzata e sono stati in grado di utilizzare mezzi di comunicazione
ultramoderni. Nonostante tutto ciò, gli effetti di questa febbrile attività
sulle nostre vite e sull'ambiente sembrano poca cosa. Persino i nostri politici
preferiti, per non parlare di quelli di cui non ci fidiamo o le cui idee
troviamo odiose, ci appaiono sempre più simili a criceti, apparentemente felici
di correre dentro una ruota che non li porterà mai da nessuna parte. (...).
Pare, insomma, che alcuni di noi abbiano del tutto perso fiducia nel futuro
della democrazia. È possibile recuperare il futuro perduto e farlo ancora
nostro? Non è necessario credere ai sondaggi per convincersi che le prospettive
per il futuro sono piuttosto fosche. Nonostante i progressi scientifici e gli
sforzi eroici di medici e infermieri, la pandemia ha ucciso milioni di persone
e sconvolto la vita di un numero ancora maggiore di esse. Despoti come Vladimir
Putin non hanno rinunciato a invadere altri Paesi, uccidere persone innocenti e
minacciare l'annientamento nucleare. Il degrado ambientale va avanti incurante
dei summit sul cambiamento climatico. L'ineguaglianza sociale ha raggiunto
livelli senza precedenti nonostante le reiterate promesse di interventi
destinati a ridurla. Il capitalismo passa da una crisi all'altra a spese delle
famiglie comuni. In aggiunta ai pericoli posti dalle armi nucleari, dai carri
armati e dalle mitragliatrici a disposizione di Stati predatori e di individui
fanatici, ci troviamo ora a far fronte anche alle minacce portate alla
sicurezza informatica. Niente di tutto questo è una fake news. Possiamo
discutere della gravità di questo o di quel disastro e dubitare dei profeti
dell'apocalisse. Possiamo cercare conforto nei "migliori angeli della
nostra natura" (come li ha chiamati Steven Pinker, citando Abraham
Lincoln) o citare qualche statistica economica particolarmente ottimistica. Ma
è difficile negare che ci troviamo davanti a un accumularsi di calamità per le
quali ci mancano risposte adeguate. Davanti a tutto questo, i giovani sono
particolarmente spaventati. (...). Si suppone che i governi eletti siano capaci
di proteggerci dagli choc esterni, come le crisi finanziarie, le invasioni
straniere e le epidemie. Sono loro che hanno la responsabilità di tenere sotto
controllo i difetti del capitalismo, di prevedere e, quando possibile, evitare
le calamità naturali e di mitigare gli effetti collaterali negativi delle
trasformazioni tecnologiche. I governi hanno il compito di mantenere l'ordine e
di rendere la nostra vita prevedibile, almeno in qualche misura. Senza questo
tipo di prevedibilità, sono a rischio il lavoro e le pensioni, e qualsiasi
investimento (persino una decisione personale come quella di sposarsi) si
trasforma in una mossa azzardata. I governi attuali, però, si dimostrano
incapaci di svolgere queste funzioni basilari. Si limitano ad amministrare il
presente senza alcuna visione plausibile per il futuro. Si affannano da una
crisi all'altra senza direzione. Danno priorità al loro territorio sebbene
nessuna delle sfide che devono affrontare possa essere fermata da una
frontiera. Anche se le elezioni possono cambiare le persone al potere, abbiamo
sempre meno speranza che questi cambiamenti possano migliorare
significativamente le cose. Per usare l'espressione di Jonathan White, ci
sentiamo ormai nelle mani di "governi WhatsApp". Persino impor-tanti
deliberazioni politiche e negoziati internazionali vengono oggi condotti
attraverso rapidi messaggi di testo, pieni di bits e bytes, ma privi di piani,
progetti o visioni di base. Il populismo e la scarsa capacità dei nostri leader
sono spesso considerati le principali cause del disordine politico contemporaneo.
(…). Il futuro è sempre più cupo perché la politica democratica non si presta a
maneggiare il tempo e lo spazio in modo tale da proteggere gli interessi delle
generazioni future e da travalicare i confini nazionali. È ovvio che per
restituire significato al futuro e renderlo desiderabile abbiamo bisogno di
politici con una visione ampia del tempo e dello spazio, ma anche gli uomini di
Stato più responsabili possono essere indotti a prendere scorciatoie per
aggirare la cornice istituzionale nella quale si trovano ad operare. Al
momento, la democrazia è legata agli Stati nazionali che difendono gli
interessi egoistici di determinati territori e comunità. La democrazia,
inoltre, è ostaggio degli elettori di oggi, con implicazioni negative per le generazioni
future. In un contesto globale sempre più interdipendente e che si muove sempre
più velocemente, la politica incespica e si fa sempre più forte l'impressione
che le istituzioni democratiche siano vulnerabili e impotenti, a dispetto di
tutti i progressi tecnologici. Per questo la politica è sempre meno in sintonia
con il tempo e con lo spazio. Cambiare leader o abbracciare nuove ideologie non
basterà a risolvere il problema. Abbiamo bisogno di riformare e forse persino
di reinventare la democrazia e di mettere in atto un nuovo sistema di
governance globale. Governance e democrazia devono lavorare in tandem: la prima
rappresenta l'output di un sistema politico, mentre la seconda ne costituisce
l'input. La democrazia può restare rigogliosa solo quando è sostenuta da una
governance efficiente e viceversa. Senza una governance forte, la democrazia è
incapace di acquisire e mantenere un livello di controllo significativo sul
tempo e sullo spazio. Senza una democrazia forte, la governance diventa uno strumento
burocratico utilizzato da vari funzionari per farci rispettare le loro
decisioni arbitrarie. (…). …sostengo che gli Stati-nazione non rappresentano né
gli unici né i migliori contesti per la democrazia e per la governance.
Tuttavia, sia la democrazia che la governance richiedono trasparenza,
deliberazione e il coinvolgimento dei cittadini. Sono d'accordo con Mare
Plattner quando scrive che è difficile immaginare una buona governance in
assenza di responsabilità democratica; ci sono però modi diversi di assicurare
tale responsabilità e i Parlamenti nazionali sono spesso meno efficienti delle
organizzazioni non governative (Ong) o dei media nel controllare l'esercizio
del potere. Per questo motivo suggerisco di dare più potere alle Ong e alle
associazioni professionali. Suggerisco, inoltre, che il potere venga
distribuito fra attori urbani, nazionali, regionali e globali, perché ogni
livello possiede risorse differenti per la gestione del tempo e dello spazio.
(...). Anche le modalità della governance democratica devono cambiare. È
possibile sviluppare una governance meno concentrata sull'adozione e
sull'applicazione di leggi rigide e più aperta alla mediazione, al
coordinamento e al networking. Non si tratta di creare un impero globale del
tempo e dello spazio, ma piuttosto di facilitarne il governo democratico per il
bene del pianeta e dei suoi abitanti.
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