“Vanagloriadiunregime”. Ha scritto Giacomo Papi in “Italica” – alle pagine 136/138 -: (…). …fino al 1943 la morte accadde soprattutto altrove. La guerra, finanziata in deficit, aveva fatto crescere l'occupazione, la produzione e gli ordini alle imprese.
Per i primi tre anni i matrimoni e le nascite si mantennero
stabili, come il numero di libri pubblicati che crollò soltanto nel e 944, dai
10.762 del r94 r a 2.248. Si spedirono più lettere, anche per via dei soldati
al fronte (2 miliardi e 856 milioni nel 1939, 3 miliardi e 65 7 milioni nel r
942) e più telegrammi, forse anche per via dei morti e dispersi in Russia (28
milioni e 500 mila nel 1939, 40 milioni e 600 mila nel 1942). Fino al 28 marzo
1941, nella notte della battaglia navale di Capo Matapan contro la
Mediterranean Fleet britannica, gli italiani poterono ancora esaltarsi al
pensiero di dominare il Mediterraneo come ai tempi dell'Impero romano. Nel 1950
Carlo Emilio Gadda, che aveva partecipato alla Prima guerra mondiale e ne aveva
scritto nel Castello di Udine, mandò il racconto Prima divisione nella notte al
Premio Taranto, sicuro di vincerlo. La giuria era composta da Giuseppe
Ungaretti, un altro che aveva cominciato a scrivere poesie durante la Prima
guerra mondiale, Gianna Manzini ed Enrico Falqui, scrittori, dall'ammiraglio
Giuseppe Fioravanzo, Alberto de' Stefani, ex ministro delle Finanze di
Mussolini, e Carlo Scarfoglio, giornalista e figlio di Matilde Serao, e Antonio
Rizzo, segretario del premio. La meraviglia del racconto si gioca proprio sulla
distanza tra la riviera ligure dove la vita prosegue elegante, come se niente
fosse, e la nave sul mare notturno, su cui si addensa la strage. Si gioca tra
il sole sopra la pace e gli ingranaggi degli aerei, delle navi e delle armi.
Tra la lingua con cui Gadda mette in scena il mondo di prima e la precisione
scientifica, da ingegnere, con cui racconta i missili che cadono. La battaglia
si svolse tra l'isola di Gaudio, a sud di Creta, identificata come l'isola di
Calypso dell'Odissea, e il capo più meridionale del Peloponneso, la fine della
penisola di Mani, dove secondo la mitologia greca si apriva la caverna di Ade,
il dio delle ombre e dei morti. Il primo bollettino, il n. 297, fu emesso il 1°
aprile 1941: «In una dura battaglia svoltasi nella notte dal 28 al 29 marzo nel
Mediterraneo centrale abbiamo perduto tre incrociatori di medio tonnellaggio e
due cacciatorpediniere. Molti uomini degli equipaggi sono stati salvati. Sono
state inflitte al nemico perdite non ancora completamente precisate, ma
certamente gravi. Un grosso incrociatore inglese ha avuto in pieno una bordata
dei nostri massimi calibri ed è affondato». I 2.335 morti italiani di Capo
Matapan furono l'annuncio dei morti civili in arrivo. I primi bombardamenti a
tappeto cominciarono alla fine di ottobre 1942. Il 17 dicembre il ministro
britannico dell'Aeronautica, Archibald Sinclair, assicurò in un memorandum di
essere in grado di «sganciare circa 4 mila tonnellate di bombe al mese» su
«tutte le città italiane». Era una quantità simile a quella riservata alla
Germania, ma fino all'8 settembre 1943 il principale l'obbiettivo della RAF, ha
scritto Claudia Baldoli dell'Università di Newcastle, era colpire le zone
industriali, i porti e il morale della popolazione. Dopo l'armistizio la
strategia cambiò. Scrive Baldoli: «I centri industriali del Nord come Genova,
Milano e Torino subirono più di 50 attacchi ciascuno; le città portuali del
Sud, come Messina e Napoli, più di un centinaio. Milano registrò più di 2 mila
vittime civili; Napoli, nell'anno peggiore, il 1943, perse quasi 6.100 abitanti
sotto le bombe. Città più piccole furono pure pesantemente danneggiate: per
esempio, a Foggia le bombe distrussero il 75 per cento degli edifici residenziali,
mentre altre località come Rimini subirono ripetuti attacchi per periodi
prolungati perché si trovarono per mesi sulla linea del fronte. L'Italia
centrale non fu attaccata fino alla primavera del 1943 (e per questa ragione ospitò
gli sfollati da altre regioni), per diventare la parte più bombardata del Paese
nei 15 mesi seguenti mentre il fronte, lentamente, si spostava dal Sud al Nord
Italia». Lo studio Morti e dispersi per cause belliche negli anni 1940-45
pubblicato dell'ISTAT nel 1957 calcola che prima dell'8 settembre i
bombardamenti uccisero 18.376 italiani e 41.420 dopo. Le ultime bombe caddero
all'inizio di maggio 1945 sui tedeschi in fuga sul Brennero. Di seguito,
“Staffetta dell’umanità per dare voce
alla Pace” della filosofa Donatella Di Cesare pubblicato su “il Fatto
Quotidiano” del 4 di maggio 2023: (…). …Meloni – si sa - vien dal fior fiore della
tradizione democratica. Chi meglio di lei, e del suo governo postfascista, potrebbe
rappresentare i valori europei? Chi meglio, insieme al premier polacco
Morawiecki, potrebbe capeggiare la nuova Europa belligerante, il vecchio
continente ancora una volta in armi? La partita sarebbe, com'è noto, democrazie
contro autocrazie. Questo scenario parrebbe semplicemente grottesco, se non
avesse le conseguenze tragiche che sono già sotto gli occhi di tutti e che si
moltiplicheranno se questo conflitto continuerà a essere avallato e supportato.
L’Italia, tra i paesi europei più colpiti, e più coinvolti, sembra un caso
emblematico. Il draghismo liberista e atlantista ha fatto la sua parte
imprimendo sin dall'inizio della guerra una violenta sterzata. Meloni si è
collocata nel solco di quel fondamentalismo atlantista. Niente di meglio per
far digerire, nel contesto internazionale e in quello interno, il suo
indigeribile postfascismo. Così un paese a maggioranza pacifista, che da subito
ha espresso - come poteva - la propria opposizione all'invio di armi, è stato
tradito. Avrebbe potuto svolgere un decisivo ruolo diplomatico, in consonanza
con la propria storia, la propria geografia, la propria vocazione, mentre è
costretto al ruolo opposto, nel fronte anti-europeo di America e Inghilterra,
con l'appoggio delle forze più oscure e retrive, tra polacchi e baltici. Eppure
l'Italia ha una Costituzione che nell'articolo 11 la dovrebbe preservare da
ogni guerra e non permetterebbe in nessun modo l'invio di armi a Paesi non
alleati, cioè una cobelligeranza a tutti gli effetti. Quell'articolo è stato
calpestato, insieme con la Costituzione. Non la si venga a sbandierare nei
discorsi pubblici, inneggiando a una immaginaria "identità italiana"
fondata sulla guerra. Qualche incauta giornalista - non mancano davvero quelli
proni alla peggiore propaganda militarista – ha sostenuto di recente che sarebbero
"marginali" coloro che si prodigano per la pace o che la auspicano.
Si sbaglia. È la maggioranza del Paese, che da tempo non riesce a farsi
sentire. Questa maggioranza è favorevole all'invio di aiuti umanitari al popolo
ucraino, ma è· contraria alle armi. Non per indifferenza, bensì per ragioni
politiche ed etiche. Quando manca una rappresentanza, e si viene consegnati
all'impotenza, si può e si deve ricorrere a tutti quei mezzi che, mentre restituiscono
ai cittadini la capacità di cambiare le cose, riattivano la democrazia. (…).
Ogni giorno i pacifisti continuano a essere dileggiati. Inaccettabili sono i
distinguo di coloro che, tacciandoli di irrealismo o utopismo, pretendono di navigare
nell'ambiguità. È il caso purtroppo di Elly Schlein e di gran parte del Pd. Non
si può parlare di pace mentre si avalla la guerra. Le parole hanno un valore e
non possono essere deturpate e costrette a significare il contrario. Pace vuol
dire pace. Ci chiediamo piuttosto che cosa voglia dire la "vittoria"
preannunciata da Meloni e dal fronte atlantista. L'Ucraina, armata fino ai
denti dall'Occidente, forte di nuovissimi mezzi militari, tra carrarmati e
missili (ha ricevuto il 98% del materiale richiesto), si appresta alla
controffensiva. Per riprendere il Donbass? La Crimea? Per una campagna di
Russia? Per una guerra protratta? Qual è la strategia politica dell'Italia in
questo scenario in cui l'arma nucleare - a detta degli Usa - può essere ormai
un'arma preventiva? Pretendiamo democraticamente di saperlo.
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