Ci fu in un tempo passato un tale storico a nome Giustino Fortunato (1848-1932) che aveva definito la Calabria “uno sfasciume pendulo sul mare”. Ebbene, i suoi posteri ci hanno impiegato meno di 100 anni, dalla sua dipartita ad oggi, a ridurre tutto il “bel paese” a quello “sfasciume pendulo sul mare”, senza distinzione alcuna tra nord e sud, tra est ed ovest. Una grande conquista non vi è che dire: una unità finalmente conquistata dalle Alpi nevose (?) al Mongibello fumante. Ha scritto Michele Serra in “Il Ponte è un lifting” pubblicato sul settimanale “il Venerdì di Repubblica” in edicola da oggi 2 di giugno 2023:
(…).
La mia opinione è questa: non ho nessuna pregiudiziale “ideologica” contro il
Ponte sullo Stretto, né in generale contro le grandi opere e l’innovazione
tecnologica che fosse in grado di supportarle. Ma mi sembra imprevidente e
anche un po’ vanaglorioso pensare al Ponte quando l’evidenza dimostra che è
l’intero corpo del Paese ad avere bisogno di cura urgente, e dunque di
inventiva, denaro, coraggio, progetti che provvedano a mettere a norma, e in
sicurezza, ciò che non lo è. L’idea del
Ponte mi fa pensare a una persona ammalata che, trascurando le cure primarie,
si illude di guarire facendosi un lifting. È come se la vetrina fosse più
importante della bottega. È come se la propaganda politica (ripenso alle
ridicole esibizioni di Berlusconi da Vespa) contasse più di un’assennata,
previdente cura di ciò che siamo e di ciò che già abbiamo. Vedrei volentieri un
leader politico andare in televisione con l’umile modellino di una chiusa, di
un argine, di una canalizzazione, spiegando che è l’insieme delle opere piccole
e medie a comporre l’affresco. Ma non accadrà mai. Ha così commentato i
fatti disastrosi della Romagna Ray Banhoff in “Il vero scandalo è che ognuno si salva da solo” pubblicato sul
settimanale “L’Espresso” del 28 di maggio ultimo: Sfido chiunque a capire cosa sia davvero
successo in Romagna. L'alluvione è colpa del clima impazzito, delle amministrazioni
di sinistra, di quelle di destra? Stando ai media queste sono le piste principali,
anche perché sono le più semplici da seguire nei casi di emergenza in cui
l'emotività prevale sulla narrazione. Il giornalismo è sempre più frenetico e
schierato, la tragedia viene spolpata di volta in volta con fame cannibale e
poi arriva un'altra tragedia ancora più grande, su cui il predatore mediatico
concentra la sua attenzione bulimica. Sono sopravvissuto per miracolo all'alluvione
di Livorno del 2017 e quando vedo le immagini della Romagna rivivo le stesse
emozioni di allora. Così come mi è successo con l'alluvione di Ischia (12 morti
nel 2022), con quella delle Marche (12 morti nel 2022) o con quella del
Palermitano (10 morti nel 2018) e così via a ritmo di una volta l'anno circa. Lo
schema è sempre lo stesso: titoloni dei giornali e dirette tv, interviste ad
anziani e gente che piange, romanticizzazione degli angeli del fango, conta dei
danni e richiamo alla solidarietà con collette ed eventi di raccolta fondi in
cui i cittadini mettono mano al portafoglio, quando ci sono miliardi di euro
stanziati e mai utilizzati che la politica non ha saputo gestire. Per carità,
guai ad arginare la solidarietà, ma a che serve allora lo Stato? Dal
climatologo al politico, si sono sentite le tesi più disparate. Non criticherei
Achille Occhetto per aver dichiarato a "In Onda" che l'alluvione è
una punizione divina, piuttosto per aver detto che la colpa non può essere di
«due fili d'erba» sul letto dei fiumi. Non sono due fili d'erba, ma tronchi e
detriti che uniti alla potenza dell'acqua diventano devastanti. La prevenzione
degli alvei non viene fatta, lo dicono tutti gli esperti. Sui giornali le
spiegazioni razionali ci sono, ma non fanno il botto di clic. (…). Alessandro
Barbera su La Stampa scrive: «Il 93 per cento del territorio è a rischio. Ventimila
chilometri di fiumi tombati (...) competenze frammentate, fondi disponibili e
inutilizzati, una scarsa cultura della prevenzione». Evidentemente è noioso.
Più facile dare spazio alle fake news di Red Ronnie, che vede complotti aerei
di non si sa chi e scambia il volo di ricognizione del Giro d'Italia per un
piano demoniaco studiato a tavolino. Col cambiamento climatico come unico
colpevole, ogni altro dato è svilito, eppure in Romagna mancano le casse di
espansione per i fiumi, che già in Veneto furono fondamentali. «Nel 2018, la
tempesta Vaia fece precipitare 715 millimetri di pioggia in 70 ore. I danni ci
furono, ma non paragonabili a quelli visti in Romagna. Dove di acqua, sebbene
concentrata in 24 ore, ne è caduta poco meno della metà: 300 millimetri»
(Corriere della Sera). Non sono un climatologo, non sono un esperto, non sono
un politico, ma da cittadino so una cosa: è già successo e continuerà a
succedere e quando arriverà il momento sarò solo ad affrontarlo. La vera ferita
qual è? Campi coltivabili inutilizzabili per anni, miliardi di euro di danni e
quelli stanziabili per sanarli, i piani per il dissesto che ogni governo
istituisce e il governo successivo disfa, il rischio che le assicurazioni non
paghino. È un disastro e ognuno si salverà da solo. Questo è lo scandalo. Sarà
meglio che vi creiate un piccolo kit di sopravvivenza in casa, quello prima o
poi servirà. Di seguito, “Dramma
Emilia-Romagna: dove ha colpa Bonaccini” di Tomaso Montanari – Storico dell’Arte,
Rettore della “Università per gli Stranieri” di Siena – pubblicato su “il fatto
Quotidiano” del 19 di maggio 2023: (…). …ha ricordato Paolo Pileri su
Altreconomia, “tra il 2020 e il 2021 l’Emilia-Romagna è stata la terza Regione
italiana per consumo di suolo, più 658 ettari cementificati in un solo anno,
pari al 10,4% di tutto il consumo di suolo nazionale. In pochi anni – e con
questi governanti – la Regione è arrivata ad avere una superficie impermeabile
dell’8,9% contro una media nazionale del 7,1%. E tutti sappiamo perfettamente
che sull’asfalto l’acqua non si infiltra e scorre veloce accumulandosi in
quantità ed energia, ovvero provocando danni e vittime”. I dati dell’Ispra
citati da Pileri non lasciamo molti dubbi sulle responsabilità del governo
locale. Del resto, nonostante la pandemia, proprio Ravenna ha visto, tra 2020 e
2021, un consumo di suolo pro capite spaventoso: quasi tre metri per abitante
all’anno, che le assicurano il secondo posto in Italia, dopo Roma. Nel 2017, un
gruppo di urbanisti, territorialisti, giuristi, storici denunciò in un libro
dal titolo esplicito (Consumo di luogo. Regresso neoliberista nel disegno di
legge urbanistica dell’Emilia-Romagna, scaricabile liberamente in Rete) che il
governo regionale guidato da Bonaccini aveva presentato “una legge definita, in
perfetta neolingua stile 1984, ‘contro il consumo di suolo’. Una legge
farlocca, truffaldina, il cui scopo reale era permettere la cementificazione” (…).
Naturalmente, quella documentatissima denuncia non è riuscita a salvare le
almeno quattordici vittime di questa ennesima alluvione annunciata: ma oggi
almeno permette di non parlare (solo) di maltempo, bensì anche di malgoverno,
respingendo le lacrime di coccodrillo di chi dovrebbe ora solo chiedere scusa. Parlare
apertamente di malgoverno del territorio dell’Emilia-Romagna è oggi
particolarmente urgente, perché l’autonomia differenziata così fortemente
voluta proprio da Bonaccini (le cui richieste di autonomia, scrive Gianfranco
Viesti, hanno “messo le ali ai piedi alle richieste lombardo-venete”) prevede per
la sua regione una totale autonomia, tra l’altro, in materia di “tutela
dell’ambiente, rifiuti, bonifiche, caccia, difesa del suolo, governo del
territorio, infrastrutture stradali e ferroviarie, rischio sismico, servizio
idrico” (…). Vi immaginate un’Italia in cui 20 regioni godano di questa
autonomia, ispirandosi alla regione che l’ha così ben usata da essere oggi
costretta a contare i morti? Di fronte al disastro di queste ore, spetta
innanzitutto al Pd (guidato ora da Elly Schlein, che con Bonaccini ha condiviso
il governo della regione dal febbraio del 2020 all’ottobre scorso…) una chiara
e forte ammissione di responsabilità, insieme al fattivo proposito di cambiare
strada. Il Pd, non solo in Emilia-Romagna, è stato indistinguibile da Lega o
Forza Italia nel presentarsi come il partito del cemento e delle Grandi Opere.
E nel suo scellerato sostegno al governo Draghi si iscrive anche la
responsabilità di un Pnrr che invece di finanziare la rimessa in sesto del
territorio, continua a cementificare il Paese. Ma la responsabilità è ancora
più profonda: ed è quella di aver visto nel cemento l’unico sviluppo, e nella
semplificazione (cioè nel liberarsi dalle regole che permettono di tutelare il
territorio) l’unica riforma. Ciò che oggi occorre è un profondo cambio di
mentalità, anzi una pubblica conversione: quella che a livello globale dovrebbe
servirci a invertire la rotta della crisi climatica, e a livello locale a mitigarne,
o almeno a non esasperarne, gli effetti. Non è questione di strategie, o
posizionamenti: è una questione di vita o di morte.
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