"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi

"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi
"Il bruco" (2017). Nikon Coolpix P900. Foto macro. Stato larvale della falena diurna "Macroglossum stellatarum" volgarmente detta "sfinge colibrì".

venerdì 2 giugno 2023

MadreTerra. 09 Ray Banhoff: «È un disastro e ognuno si salverà da solo. Questo è lo scandalo».


Ci fu in un tempo passato un tale storico a nome Giustino Fortunato (1848-1932) che aveva definito la Calabria “uno sfasciume pendulo sul mare”. Ebbene, i suoi posteri ci hanno impiegato meno di 100 anni, dalla sua dipartita ad oggi, a ridurre tutto il “bel paese” a quello “sfasciume pendulo sul mare”, senza distinzione alcuna tra nord e sud, tra est ed ovest. Una grande conquista non vi è che dire: una unità finalmente conquistata dalle Alpi nevose (?) al Mongibello fumante.  Ha scritto Michele Serra in “Il Ponte è un lifting” pubblicato sul settimanale “il Venerdì di Repubblica” in edicola da oggi 2 di giugno 2023:

(…). La mia opinione è questa: non ho nessuna pregiudiziale “ideologica” contro il Ponte sullo Stretto, né in generale contro le grandi opere e l’innovazione tecnologica che fosse in grado di supportarle. Ma mi sembra imprevidente e anche un po’ vanaglorioso pensare al Ponte quando l’evidenza dimostra che è l’intero corpo del Paese ad avere bisogno di cura urgente, e dunque di inventiva, denaro, coraggio, progetti che provvedano a mettere a norma, e in sicurezza, ciò che non lo è.  L’idea del Ponte mi fa pensare a una persona ammalata che, trascurando le cure primarie, si illude di guarire facendosi un lifting. È come se la vetrina fosse più importante della bottega. È come se la propaganda politica (ripenso alle ridicole esibizioni di Berlusconi da Vespa) contasse più di un’assennata, previdente cura di ciò che siamo e di ciò che già abbiamo. Vedrei volentieri un leader politico andare in televisione con l’umile modellino di una chiusa, di un argine, di una canalizzazione, spiegando che è l’insieme delle opere piccole e medie a comporre l’affresco. Ma non accadrà mai. Ha così commentato i fatti disastrosi della Romagna Ray Banhoff in “Il vero scandalo è che ognuno si salva da solo” pubblicato sul settimanale “L’Espresso” del 28 di maggio ultimo: Sfido chiunque a capire cosa sia davvero successo in Romagna. L'alluvione è colpa del clima impazzito, delle amministrazioni di sinistra, di quelle di destra? Stando ai media queste sono le piste principali, anche perché sono le più semplici da seguire nei casi di emergenza in cui l'emotività prevale sulla narrazione. Il giornalismo è sempre più frenetico e schierato, la tragedia viene spolpata di volta in volta con fame cannibale e poi arriva un'altra tragedia ancora più grande, su cui il predatore mediatico concentra la sua attenzione bulimica. Sono sopravvissuto per miracolo all'alluvione di Livorno del 2017 e quando vedo le immagini della Romagna rivivo le stesse emozioni di allora. Così come mi è successo con l'alluvione di Ischia (12 morti nel 2022), con quella delle Marche (12 morti nel 2022) o con quella del Palermitano (10 morti nel 2018) e così via a ritmo di una volta l'anno circa. Lo schema è sempre lo stesso: titoloni dei giornali e dirette tv, interviste ad anziani e gente che piange, romanticizzazione degli angeli del fango, conta dei danni e richiamo alla solidarietà con collette ed eventi di raccolta fondi in cui i cittadini mettono mano al portafoglio, quando ci sono miliardi di euro stanziati e mai utilizzati che la politica non ha saputo gestire. Per carità, guai ad arginare la solidarietà, ma a che serve allora lo Stato? Dal climatologo al politico, si sono sentite le tesi più disparate. Non criticherei Achille Occhetto per aver dichiarato a "In Onda" che l'alluvione è una punizione divina, piuttosto per aver detto che la colpa non può essere di «due fili d'erba» sul letto dei fiumi. Non sono due fili d'erba, ma tronchi e detriti che uniti alla potenza dell'acqua diventano devastanti. La prevenzione degli alvei non viene fatta, lo dicono tutti gli esperti. Sui giornali le spiegazioni razionali ci sono, ma non fanno il botto di clic. (…). Alessandro Barbera su La Stampa scrive: «Il 93 per cento del territorio è a rischio. Ventimila chilometri di fiumi tombati (...) competenze frammentate, fondi disponibili e inutilizzati, una scarsa cultura della prevenzione». Evidentemente è noioso. Più facile dare spazio alle fake news di Red Ronnie, che vede complotti aerei di non si sa chi e scambia il volo di ricognizione del Giro d'Italia per un piano demoniaco studiato a tavolino. Col cambiamento climatico come unico colpevole, ogni altro dato è svilito, eppure in Romagna mancano le casse di espansione per i fiumi, che già in Veneto furono fondamentali. «Nel 2018, la tempesta Vaia fece precipitare 715 millimetri di pioggia in 70 ore. I danni ci furono, ma non paragonabili a quelli visti in Romagna. Dove di acqua, sebbene concentrata in 24 ore, ne è caduta poco meno della metà: 300 millimetri» (Corriere della Sera). Non sono un climatologo, non sono un esperto, non sono un politico, ma da cittadino so una cosa: è già successo e continuerà a succedere e quando arriverà il momento sarò solo ad affrontarlo. La vera ferita qual è? Campi coltivabili inutilizzabili per anni, miliardi di euro di danni e quelli stanziabili per sanarli, i piani per il dissesto che ogni governo istituisce e il governo successivo disfa, il rischio che le assicurazioni non paghino. È un disastro e ognuno si salverà da solo. Questo è lo scandalo. Sarà meglio che vi creiate un piccolo kit di sopravvivenza in casa, quello prima o poi servirà. Di seguito, “Dramma Emilia-Romagna: dove ha colpa Bonaccini” di Tomaso Montanari – Storico dell’Arte, Rettore della “Università per gli Stranieri” di Siena – pubblicato su “il fatto Quotidiano” del 19 di maggio 2023: (…). …ha ricordato Paolo Pileri su Altreconomia, “tra il 2020 e il 2021 l’Emilia-Romagna è stata la terza Regione italiana per consumo di suolo, più 658 ettari cementificati in un solo anno, pari al 10,4% di tutto il consumo di suolo nazionale. In pochi anni – e con questi governanti – la Regione è arrivata ad avere una superficie impermeabile dell’8,9% contro una media nazionale del 7,1%. E tutti sappiamo perfettamente che sull’asfalto l’acqua non si infiltra e scorre veloce accumulandosi in quantità ed energia, ovvero provocando danni e vittime”. I dati dell’Ispra citati da Pileri non lasciamo molti dubbi sulle responsabilità del governo locale. Del resto, nonostante la pandemia, proprio Ravenna ha visto, tra 2020 e 2021, un consumo di suolo pro capite spaventoso: quasi tre metri per abitante all’anno, che le assicurano il secondo posto in Italia, dopo Roma. Nel 2017, un gruppo di urbanisti, territorialisti, giuristi, storici denunciò in un libro dal titolo esplicito (Consumo di luogo. Regresso neoliberista nel disegno di legge urbanistica dell’Emilia-Romagna, scaricabile liberamente in Rete) che il governo regionale guidato da Bonaccini aveva presentato “una legge definita, in perfetta neolingua stile 1984, ‘contro il consumo di suolo’. Una legge farlocca, truffaldina, il cui scopo reale era permettere la cementificazione” (…). Naturalmente, quella documentatissima denuncia non è riuscita a salvare le almeno quattordici vittime di questa ennesima alluvione annunciata: ma oggi almeno permette di non parlare (solo) di maltempo, bensì anche di malgoverno, respingendo le lacrime di coccodrillo di chi dovrebbe ora solo chiedere scusa. Parlare apertamente di malgoverno del territorio dell’Emilia-Romagna è oggi particolarmente urgente, perché l’autonomia differenziata così fortemente voluta proprio da Bonaccini (le cui richieste di autonomia, scrive Gianfranco Viesti, hanno “messo le ali ai piedi alle richieste lombardo-venete”) prevede per la sua regione una totale autonomia, tra l’altro, in materia di “tutela dell’ambiente, rifiuti, bonifiche, caccia, difesa del suolo, governo del territorio, infrastrutture stradali e ferroviarie, rischio sismico, servizio idrico” (…). Vi immaginate un’Italia in cui 20 regioni godano di questa autonomia, ispirandosi alla regione che l’ha così ben usata da essere oggi costretta a contare i morti? Di fronte al disastro di queste ore, spetta innanzitutto al Pd (guidato ora da Elly Schlein, che con Bonaccini ha condiviso il governo della regione dal febbraio del 2020 all’ottobre scorso…) una chiara e forte ammissione di responsabilità, insieme al fattivo proposito di cambiare strada. Il Pd, non solo in Emilia-Romagna, è stato indistinguibile da Lega o Forza Italia nel presentarsi come il partito del cemento e delle Grandi Opere. E nel suo scellerato sostegno al governo Draghi si iscrive anche la responsabilità di un Pnrr che invece di finanziare la rimessa in sesto del territorio, continua a cementificare il Paese. Ma la responsabilità è ancora più profonda: ed è quella di aver visto nel cemento l’unico sviluppo, e nella semplificazione (cioè nel liberarsi dalle regole che permettono di tutelare il territorio) l’unica riforma. Ciò che oggi occorre è un profondo cambio di mentalità, anzi una pubblica conversione: quella che a livello globale dovrebbe servirci a invertire la rotta della crisi climatica, e a livello locale a mitigarne, o almeno a non esasperarne, gli effetti. Non è questione di strategie, o posizionamenti: è una questione di vita o di morte.

Nessun commento:

Posta un commento