"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi

"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi
"Il bruco" (2017). Nikon Coolpix P900. Foto macro. Stato larvale della falena diurna "Macroglossum stellatarum" volgarmente detta "sfinge colibrì".

venerdì 30 giugno 2023

Piccolegrandistorie. 47 Carlo Lucarelli: «I "mostri" non sono mai tali, ma solo persone».

Sopra. Foto di Alessandro Marani sulla targa affissa presso la "Casa della Carità" di Borgo Panigale.

Ha scritto Carlo Lucarelli in chiusura della Sua “storiamostruosa 2” che «per quanto possano non piacerci, i "mostri" non sono mai tali, ma solo persone». Che di “mostri” ci piaccia sapere e parlare oltre misura è giustificato ed incoraggiato anche dalle produzioni di “mostri” in tutte le sfaccettature delle umane “arti”. Il “mostro” attira, conquista le menti e gli spiriti. Ma cosa ne sappiamo di codesti “mostri”? Poco o nulla, tanto meno che il “mostro” delle nostre insane fantasie potrebbe essere nascosto proprio in noi stessi.

StorieMostruose” 1“Povero e mostro” di Carlo Lucarelli pubblicato sul settimanale “il Venerdì di Repubblica” del 9 di giugno 2023: Di famiglia "modesta ma onesta", lo definirà la stampa, che però accanto al suo nome aggiungerà spesso il sostantivo "mostro". E se possibile di più, "perché un mostro è ancora un uomo". Settimo di tredici figli, quindicenne inquieto in una periferia bolognese appena uscita dalla guerra, Alessandro non aveva voglia né di studiare né di lavorare, e per questo aveva lasciato sia le elementari che uno dopo l'altro i lavori da apprendista che gli avevano trovato. Una cosa, però, la sapeva, e la disse, anche, quando finì tutto: "Ero stanco di essere povero". Così, nel primo pomeriggio di mercoledì 30 novembre 1949, Alessandro Marani si presenta all'asilo delle suore di via Bombelli, a Borgo Panigale. Si è messo un cerotto sulla faccia, una sciarpa sulla bocca e un passamontagna perché non vuole essere riconosciuto. Chiede di un bambino, Lamberto Bonora, detto Tato, dice che la nonna si è sentita male e i genitori lo hanno incaricato di portarlo a casa, la suora gli crede e glielo consegna. Alessandro carica Tato sulla canna della bicicletta e se ne va, diretto verso la campagna, ma ad un certo punto perde il controllo e cadono tutti e due. Tato si spaventa, vorrebbe scappare, Alessandro lo ferma, gli mette una mano sulla bocca, stringe troppo e Tato muore. Bruttissima storia, che assieme alla famiglia di Tato sconvolge l'intero paese. Il giallo, però, dura meno di 24 ore. Alessandro si è camuffato, ma non abbastanza: a riconoscerlo sono i bambini dell'asilo, che lo raccontano alla polizia. In questura, Alessandro nega, poi accusa un'altra persona, un signore con i baffetti, a cui avrebbe consegnato Tato, poi cambia di nuovo versione. Il commissario Turi, della Mobile di Bologna, non molla e alla fine, dopo ore di terzo grado, Alessandro confessa. Voleva nascondere il bambino in una buca, legato, per chiedere un riscatto alla famiglia di ricchi commercianti, ma era andata male. La freddezza di Alessandro, la superficialità con cui sembra affrontare quello che è successo, sgomentano stampa e opinione pubblica. Quindici anni, praticamente un bambino anche lui, famiglia modesta ma onesta, chi è, un mostro, un diavolo, un figlio deviato dei tempi? Aveva anche fondato una banda criminale, nonostante fosse composta da lui solo.

StorieMostruose” 2. «L’atroce fine di un povero “mostro”» di Carlo Lucarelli pubblicato sul settimanale “il Venerdì di Repubblica” del 23 di giugno ultimo: C'è un colpo di scena alla fine della storia che abbiamo raccontato qui due settimane fa. Me l'hanno ricordato due lettori, Sandra e Ugo, che ringrazio vivamente. Era la vicenda di Alessandro, un ragazzo di 15 anni, che nel 1949, a Borgo Panigale, in provincia di Bologna, aveva rapito un bambino prelevandolo dall'asilo con l'intento di chiedere un riscatto, ma le cose erano andate male e il bambino era morto. Scoperto subito, Alessandro era finito su tutti i giornali sotto l'etichetta di "mostro", era stato condannato a 29 anni di carcere e dimenticato, e anche la nostra storia finiva lì. Era tornato in un articolo sulla Domenica del Corriere nel 1952, quando aveva scritto a Padre Pio proponendo di donare i suoi occhi per un bambino cieco, ma anche allora la stampa aveva sollevato molti dubbi sulla sincerità dell'offerta del "mostro". Scontata la pena, Alessandro era tornato a Borgo Panigale, dove aveva vissuto come uno spettro. Alcolizzato, si aggirava barcollando per le vie del paese, ubriaco perso, finché non finiva per crollare a terra, e a un certo punto le suore che gestivano la Casa della Carità lo avevano accolto nella struttura, dove era rimasto per tanti anni. Poi, nell'agosto del 2004, gli ospiti della casa protetta erano andati in vacanza sull'Appennino modenese, ma Alessandro no. Solitario e taciturno, un uomo di 70 anni con una grande barba bianca, precocemente invecchiato ma tranquillo e autosufficiente, era rimasto lì da solo. Una mattina la cuoca arriva verso le 7 e si accorge che Alessandro non c'è. Sarà da qualche parte, pensa, si mette a lavorare per casa, come al solito, poi va in cucina, apre la cella frigorifera e lo trova riverso sul pavimento, semiassiderato. Lo portano di corsa all'ospedale ma non c'è niente da fare e dopo poco muore. Un incidente. Alessandro aveva fame, è entrato nella cella per prendere delle pesche, si è sentito male, ha cercato disperatamente di uscire, come dimostrano i segni delle mani sulla porta, ma è rimasto chiuso dentro. Poche righe in cronaca per un evento sfortunato occorso ad un pover'uomo. Del "mostro" che aveva ucciso il piccolo Tato non si ricordava più nessuno. E infatti la mettiamo sempre tra virgolette, quella parola, per dire che non dovremmo usarla, perché per quanto possano non piacerci, i "mostri" non sono mai tali, ma solo persone. E qualunque cosa abbia fatto Alessandro tanti anni prima, una cosa brutta, bruttissima, a pensarlo da solo a morire di freddo grattando con le unghie una porta chiusa, comunque fa un po' male.

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